Mine land
Progetto fotografico di Rocco Rorandelli che racconta le storie di uomini e donne vittime di mine, campi minati, protesi al fine di informare la popolazione rispetto ai rischi ancora attuali dei campi minati, ma anche per sensibilizzare la società sulle conseguenze drammatiche, perduranti e permanenti dei conflitti
Il percorso narrato è iniziato in Kosovo, lì dove, parafrasando Paolo Rumiz, “tutto ha avuto inizio e tutto doveva concludersi”. Il progetto ha così cercato di raccontare la brutalità dei campi minati attraverso immagini di terre apparentemente innocue fotografate dal drone. I volti ritratti sono testimonianza di un dolore inenarrabile. Nel reportage viene dato rilievo, anche alle protesi. E ancora, altri soggetti di difficile decifrazione: i resti di mine esplose. Indecifrabili perché sembrano per lo più giocattoli vecchi e arrugginiti, di quelli persi per strada e corrosi dal tempo. Del resto per molte vittime tutto è iniziato per gioco come per Avni Lubovci che ha perso la gamba nel 1999 quando aveva solo 15 anni: al momento dell'esplosione non ha sentito nulla, ma ha avvertito un dolore acuto solo quando si è reso conto di aver perso l'arto e questa è un'esperienza comune a tutti i mutilati. Ma il suo calvario non è finito in quell'anno: la sua protesi gli ha causato un'infezione tale da dover amputare un'altra parte del ginocchio nel 2011. Oggi è il presidente di una piccola NGO "Association for wonded people from mines" che raccoglie fondi e fa attività di lobby per le vittime. Lo stato kosovaro non le riconosce come tali e ricevono solo una piccola pensione di 135 euro mensili e nessun supporto per gli arti prostetici.
Inoltre, nonostante nel 2006 le Nazioni Unite dichiararono il paese completamente sminato oggi in Kosovo sono presenti ancora campi minati non segnalati. Alla fine del 2014 il Kosovo contava 77 aree minate che si trovano principalmente al confine tra Albania e Macedonia e in alcuni territori del sud e centro e sono circa 500 i casi di vittime, di cui un centinaio di morti e circa 400 feriti. Nel 1999 quando la convenzione internazionale di Ottawa proibiva l'uso, stoccaggio, produzione e vendita di mine antiuomo, durante i 78 giorni del conflitto in Kosovo, la NATO ha bombardato 333 zone rilasciando 1,392 bombe e 295,700 munizioni: decine di tonnellate sono rimaste inesplose.
Durante la guerra diventa infatti cruciale rallentare l’avanzata del nemico. Le mine antiuomo sono designate appositamente per ferire e/o mutilare perché sul campo di battaglia un soldato ferito è maggiormente d'intralcio di un soldato morto.
I più esposti al pericolo delle mine sono gli abitanti delle zone rurali che non possono coltivare né pascolare i propri animali, oltre ad essere le prime vittime.