13 aprile 2011
di Ivo Andrić
casa editrice: Zandonai
anno di pubblicazione: 2011
collana: I fuochi
pagine: 144
prezzo: 15,00 euro
traduzione di Alice Parmeggiani
Come pochi altri scrittori Andrić si rivela maestro nel suscitare gli interrogativi estremi dell’esistenza toccando le sensazioni più semplici ed esplorando le evidenze quotidiane. Non a caso ogni racconto di questa straordinaria raccolta ci offre il ritratto di un’indimenticabile protagonista donna, quasi che l’autore scandagliasse nelle pieghe più intime dell’animo femminile e dietro le mura domestiche proprio per avvertirci che la vita e il destino degli esseri umani non sono fenomeni facilmente accessibili. Anzi, essi appaiono bifronti: la parte in chiaro, quella rivolta al mondo, ne sottende sempre un’altra, interamente in ombra, da cui promanano le forze più indomabili. Eppure le donne di questo libro si svelano tutte in un gesto, in un’esitazione, in un inatteso moto di rivolta: dalla cantante lirica alle prese con il dramma dell’invecchiamento ma capace di una potente catarsi poetica, alla moglie maltrattata che rivendica il suo diritto alla scelta, fino alla sconosciuta della quale ci viene descritta solo la danza che i suoi piedi compiono sotto il tavolo di un ristorante, osservata da un solitario avventore a cui quei piedi, irrequieti e separati dal resto del corpo, sembrano mossi da «fili invisibili, seguendo un testo sconosciuto, al ritmo di una musica impercettibile, nello spirito di una regia fantastica». Un Andrić inedito, lontano dall’epos balcanico che lo ha reso celebre, ma vicinissimo alle radici segrete della sua grande arte narrativa.
Ivo Andrić (1892-1975) è uno dei più grandi autori europei del Novecento nonché unico rappresentante delle letterature slave meridionali insignito del premio Nobel (1961). All’attività di scrittore affiancò per lunghi anni la carriera diplomatica, culminata nella nomina ad ambasciatore del Regno di Jugoslavia a Berlino nel 1939. Rimise il proprio mandato nel 1941, nell’immediata vigilia dell’aggressione nazista e dello smembramento politico del proprio Paese, per ritirarsi a vita privata e dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Durante gli anni della seconda guerra mondiale, trascorsi a Belgrado in totale e volontario isolamento, scrisse i suoi tre capolavori, i romanzi Il ponte sulla Drina, La cronaca di Travnik e La signorina, in cui traccia una sorta di cosmogonia della sua terra natale, la Bosnia, tra il periodo ottomano e quello austriaco, un luogo dal fascino complesso, dalla composita identità e dai tormentati destini. Carattere timido e introverso, personaggio schivo e refrattario alle pubbliche ribalte, la sua vasta produzione letteraria, in parte ancora inedita in Italia, annovera, oltre ai romanzi “epici” che gli hanno conferito notorietà internazionale, anche una ricca collezione di racconti, novelle e prose meditative.
Morì in solitudine e le sue ceneri sono conservate presso il cimitero belgradese di Novo groblje, nel “Viale dei cittadini benemeriti” riservato alle personalità illustri del Paese.