Quando si tratta di riconoscimenti internazionali di territori contesi, considerazioni politiche ed economiche entrano in gioco, a maggior ragione se a decidere è un piccolo stato. L'altalenante politica di Vanuatu, le polemiche a San Marino
Sono passati cinque anni dalla guerra dell’agosto del 2008 che ha portato al riconoscimento da parte della Federazione russa delle repubbliche di Abkhazia e di Ossezia meridionale. Nel caso della prima, invece di aumentare i riconoscimenti sembrano diminuire. Vanuatu infatti ha recentemente instaurato relazioni diplomatiche con Tbilisi e i tentativi di perorare la propria causa internazionalmente da parte delle autorità de facto di Sukhumi o dalle comunità di abkhazi o simpatizzanti all’estero non hanno ancora portato a nuovi riconoscimenti.
Vanuatu ci ripensa
Le relazioni fra Vanuatu e l’autoproclamatasi repubblica di Abkhazia erano cominciate male, e sono finite peggio. Ce ne si era occupati nel 2011, quando le voci sul riconoscimento si confondevano con le smentite. Alla fine pareva che Sukhumi l’avesse vinta: Vanuatu si univa al gruppo, per la verità non folto, dei paesi che riconoscevano l’Abkhazia non come una repubblica autonoma facente parte della Georgia, ma come un attore internazionale dotato di piena sovranità. Ma il riconoscimento viene smentito dopo due anni. Il 12 luglio 2013 la Georgia e Vanuatu hanno stabilito relazioni diplomatiche. Il Rappresentante permanente di Vanuatu presso l’ONU a New York ha firmato il protocollo che stabilisce che “la Repubblica di Vanuatu riconosce l’integrità territoriale della Georgia nei suoi confini internazionali riconosciuti, incluse la Repubblica Autonoma di Abkhazia e la Regione di Tskhinvali/Ossezia meridionale”. Viva soddisfazione viene espressa dalla diplomazia georgiana , il cui lavorio ha evidentemente dato dei risultati, e che auspica che la scelta di Vanuatu possa ispirare anche gli altri stati che riconoscono l’Abkhazia, ad eccezione della Russia, tutti collocati dall’altra parte del pianeta: Venezuela, Nicaragua, Tuvalu e Nauru. La notizia diffusa da fonti georgiane è stata ripresa anche da altri media internazionali e sembra confermata, benché la diplomazia di Sukhumi sostenga che nella firma del protocollo del 12 luglio vi sia un vizio di competenza poiché il firmatario di Vanuatu sarebbe stato in verità sollevato dal proprio incarico nel marzo scorso.
Un atto politico
Il riconoscimento di un paese è un atto politico. Nonostante la dottrina sulla sovranità sia ricca, antica, articolata ed entro certi margini anche precisa, il riconoscimento della sovranità di uno stato subisce l’influenza di valutazioni di natura politica, nazionale o – molto spesso – internazionale. Certo, non è cambiato nulla dal 2011 ad oggi per cui Vanuatu possa aver cambiato la propria valutazione sulla sovranità esercitata sul territorio conteso fra le autorità de jure di Tbilisi e quelle de facto di Sukhumi. A meno di una nuova smentita da parte di Vanuatu, l’unica cosa che è cambiata è che è prevalsa la posizione georgiana.
La diplomazia georgiana ostacola attivamente, i riconoscimenti o gli atti che li possano favorire, interventi che vengono denunciati esplicitamente da chi perora la causa di questi territori separatisti. Parla di “pesanti intromissioni georgiane” attraverso il Consiglio d’Europa su San Marino il rappresentante dei de facto ministeri degli Affari Esteri di Abkhazia e Ossezia meridionale per l’Italia e San Marino, Mauro Murgia in occasione dell’incontro “Caucaso, costruire la pace” tenutosi a San Marino il 30 giugno scorso cui ha preso parte Vjacheslav Chirikba de facto ministro degli Affari Esteri” abkhazo. L’incontro è stato seguito da una scia di polemiche sulle responsabilità politiche dell’organizzazione dell'evento. Si sono defilate prima le autorità sammarinesi poi quelle del Partito Socialista della piccola repubblica, che era stato indicato dalle prime come ospite dell’evento.
In verità Vjacheslav Chirikba era già stato in Italia e a San Marino, e pare ormai farvi tappa fissa dopo le discussioni di Ginevra. E i viaggi italiani-sammarinesi sono una tradizione che Chirikba ha ereditato dal suo predecessore Maksim Gvindja, già in Italia nel 2010 e nel 2011, prima e dopo aver assunto a sua volta l’incarico di ministro degli Esteri di Sukhumi . Una serie di viaggi e contatti che attestano la presenza di circoli (si era parlato, nel 2010 di uomini d’affari, di élite culturale e scientifica) sensibile ai richiami della lobby di Sukhumi, o forse alle potenzialità economiche dell’area.
La monetizzazione della politica dei riconoscimenti
Di economia parla anche Mauro Murgia, che ancora il rapporto San Marino-Abkhazia agli interessi economici che gravitano da e verso la Russia: “Ora, solo per fare i “conti della serva” in politica internazionale, che senso ha, per San Marino rifiutare un approccio verso questi paesi, sapendo bene che si andrà ad irritare la Russia che oggi è la fonte principale del turismo di San Marino e, verso la quale, storicamente esistono buoni rapporti bilaterali? Se oggi turismo ed affari con la Russia si stanno sviluppando sempre più e ancora di più si ritiene possano crescere, che logica ci può essere nella politica dello struzzo?”
Che oltre ad essere condizionati da fattori politici i riconoscimenti abbiano anche un movente economico è noto, e non è certo una specificità dell’area o un comportamento esclusivo degli attori politici di cui ci si sta occupando.
Nel caso specifico di Abkhazia e Ossezia meridionale, peraltro, da sempre si è vociferato che sia la Russia a pagare, anche perché le due entità non paiono in condizione da esercitare pressione con mezzi economici propri.
Dal 2008 si è affermata la così detta “diplomazia del libretto degli assegni ”, con Nauru che avrebbe ricevuto 10 milioni di dollari dalla Russia, mentre Fiji – contesa fra le parti - otteneva computer da Tbilisi e contanti da Mosca. Un responsabile della politica estera australiana per l'area pacifica ha recentemente espresso preoccupazione per la politica russa di promettere risorse economiche a piccoli stati insulari in cambio del riconoscimento di Abkhazia e Ossezia del sud, chiamando in causa direttamente le autorità russe, senza ottenerne risposta.
Dove non arriva il peso politico, pare, arrivano i soldi, in linea con la monetizzazione degli strumenti politici che dominano le relazioni internazionali, e non solo.
Una geopolitica che ha un retrogusto di campagna acquisti basata su motivazioni assai più prosaiche rispetto agli appelli alla giustezza della causa, che sia essa l’integrità territoriale o il diritto all’autodeterminazione.
Fuori bilancio
La voce che rimane fuori bilancio in questo mercanteggiamento di riconoscimenti è senza dubbio quella degli sfollati, vittime del riconoscimento senza condizioni.
Ogni riconoscimento che non tenga presente i diritti degli sfollati riduce infatti la reversibilità non solo della soluzione politica, ma anche i margini delle negoziazioni su rientri e restituzioni. Gli sfollati diventano ancora più invisibili. Chi ha perso tutto vede nella legittimazione della realtà politica post-agosto 2008 la pietra tombale alle proprie speranze di rientrare, o di venire indennizzato. Sono gli stessi invisibili che peraltro sono tagliati fuori anche dal diritto di autodeterminazione, che pure viene invocato come base dell’indipendenza dei territori secessionisti di Abkhazia e Ossezia meridionale: quella metà di residenti nel territorio la cui opinione su quale dovesse essere lo status della propria regione può essere dichiarata vittima di guerra.
Qualsiasi riconoscimento dell’Abkhazia o dell’Ossezia meridionale che li ignori sarà comunque un riconoscimento a metà.
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