Cattedrale armena a Isfahan, Iran

Cattedrale armena a Isfahan, Iran (Cordelia Persen/Flickr )

L'Armenia è isolata geograficamente. L'Iran è isolato politicamente. Facendo di necessità virtù, i due Paesi stanno aumentando le relazioni bilaterali. Lo sviluppo dello snodo armeno-iraniano nell'asse Mosca-Yerevan-Teheran e nel contesto regionale

25/07/2012 -  Marilisa Lorusso

Nell’impero ottomano, il “dragomanno” doveva avere le competenze di interprete e traduttore, ma aveva un ruolo che andava ben al di là delle funzioni linguistiche. A metà fra un mediatore culturale e un ministro degli Esteri, il dragomanno – tradizionalmente un greco – permetteva al Sultanato di relazionarsi con l’Europa cristiana, così come con tutto il Medio Oriente arabo e persiano. Dall’era ottomana tutto è cambiato, ma qualche dinamica regionale è rimasta.

Pare che la politica estera armena contemporanea abbia fatto di necessità virtù e che a livello strategico - anche grazie alla sua numerosa e diffusa diaspora - l’Armenia possa fungere in un certo senso da dragomanno nel quadro geopolitico del Medio Oriente arabo e persiano, sempre più intricato e frammentato. Soprattutto per quanto riguarda i rapporti con l’Iran.

Fra necessità e legami storici

L’Armenia è territorialmente isolata. Legata con un patto profondo e radicato alla Russia, non condivide con quest’ultima confini, essendone separata dalla Georgia. E dato i tesi rapporti russo-georgiani questa condizione geografica pesa e trasmette periodicamente un senso di rischio e precarietà. A est ed ovest i confini di terra sono chiusi, rispettivamente con l’Azerbaijan e con la Turchia, per l’irrisolta questione del Nagorno-Karabakh, regione azerbaijana secessionista sotto il controllo armeno dall’inizio degli anni ’90. Mentre con la Turchia sono stati ripristinati almeno i voli – una breccia, almeno aerea, nel confine - quello con l’Azerbaijan è non solo sigillato ma pericoloso. Il cessate il fuoco del 1994 non sta reggendo e quasi quotidianamente si registrano violazioni. Questo quadro attribuisce una grande importanza al confine sud, quello con l’Iran. E' attraverso questo confine che gli approvvigionamenti di gas raggiungono l’Armenia, per un accordo Gazprom-Iran. E’ da questo confine che affluiscono numerosi turisti, avvengono scambi, economici e culturali. E’ cioè il confine che permette all’Armenia di non essere una strada senza uscita.

Ma non è solo la necessità che sta alla base dei rapporti irano-armeni. L’Iran rimane un importante attore regionale e ha esercitato nei secoli un’influenza culturale non trascurabile e l’Armenia continua – nonostante le notevoli differenze sociali e religiose – a coltivare iniziative congiunte di profilo ambientale e culturale con il vicino, forte anche della presenza di una significativa diaspora armena in territorio iraniano che ivi gode di tutele e autonomia culturale. Due dei cinque seggi per le minoranze del Mejlis iraniano – il parlamento - sono riservati agli armeni, che anche nelle elezioni di marzo 2012 hanno dimostrato di partecipare attivamente alla vita politica del Paese .

Gli scambi culturali sono intensi e continui: sul confine si pianifica di creare un parco a gestione condivisa , la Galleria Nazionale Armena ha ospitato in occasione del trentatreesimo anniversario della Rivoluzione Islamica una mostra d’arte contemporanea iraniana , dovrebbe nascere un’orchestra irano-armena “per l’amicizia e la pace”, solo per menzionare le iniziative degli ultimi mesi.

Investimenti e diplomazia: un patto contro l’isolamento (e la guerra)

L’amicizia e la pace servono davvero ad ambedue i Paesi. Se l’Armenia è isolata geograficamente, l’Iran lo è politicamente e una mano tesa è la benvenuta, soprattutto se proviene da parte di un “amico di un altro amico”. E così pare prendere forma quell’asse Mosca-Yerevan-Teheran che si contrapporrebbe al Washington-Tbilisi-Baku-Ankara. Queste geometrie (in realtà variabili: un tempo si suggerivano anche le Mosca-Atene-Yerevan versus Ankara-Baku-Tel Aviv) piacciono molto ai geopolitici, e sono forse semplificazioni di processi complessi in cui ogni attore muove a livello regionale - pragmaticamente - i propri passi.

Quello che si può registrare è che da un patto di amicizia Teheran e Yerevan traggono mutuo beneficio. L’Iran in particolare dimostra di voler investire in Armenia. E’ di gennaio di quest’anno la notizia che circa 570 milioni di dollari iraniani dovrebbero essere impiegati per sviluppare il settore energetico armeno (l’idroelettrico, che in Caucaso ha un buon potenziale ancora largamente sottoutilizzato). Il contratto, che seguiva la visita di Mahmoud Ahmadinejad a Yerevan , è uno dei numerosi esempi di business che nasce dopo un’intensa attività diplomatica. E gli scambi fra i due Paesi sono costanti e frequenti: a febbraio il vice-ministro degli Esteri armeno si è recato a Teheran, due mesi dopo era il turno del ministro degli Esteri Edward Nalbandyan che oltre alla propria controparte ha incontrato il presidente e ha visitato il parlamento. In questa occasione Nalbandyan ha espresso apprezzamento per l’atteggiamento bilanciato dell’Iran sulla questione del Nagorno Karabakh.

L’Iran si era posto come mediatore, all’inizio degli anni ’90, complice anche la momentanea debolezza della Russia post-sovietica. Nel 1992, a conflitto ancora in corso, l’allora ministro degli Esteri Mahmud Vaezi era andato a Baku e a Yerevan nel tentativo di facilitare un cessate il fuoco e lo scambio di prigionieri. Il tentativo era stato poi travolto dagli eventi bellici e, come è noto, il formato riconosciuto dalle parti in causa per negoziare la pace è in seguito diventato il Gruppo di Minsk, presieduto da Russia, Francia e Stati Uniti.

Ma l’Iran continua a far sentire la propria voce in merito, esprimendosi a favore di una soluzione rigorosamente pacifica del conflitto. Ad aprile Mohammad Bagher Bahrami, ambasciatore iraniano a Baku ammoniva l’Azerbaijan che solo questo scenario è legittimo e rivendicava un ruolo più attivo per gli attori regionali a fronte di quello che definiva il fallimento negoziale del Gruppo di Minsk. Il ministro degli Esteri Ali Akbar Salehi si esprimeva ugualmente per una soluzione pacifica e sottolineava, durante la visita di Nalbandyan, “il ruolo vitale” svolto dall’Armenia nella regione. E le dichiarazioni provenienti dal mondo diplomatico non si fermano qui: l’ambasciatore iraniano a Yerevan parlava del ruolo centrale dell’Armenia nel garantire stabilità nella regione e rigettava l’ipotesi che il conflitto del Karabakh potesse avere un qualsivoglia movente religioso, ipotesi che ovviamente rema contro la collaborazione irano-armena. A ribadire la pacifica convivenza fra i cristiani armeni e i musulmani iraniani si è espresso anche Aram I, Catholicos della Chiesa di Armenia, recatosi a Teheran lo scorso maggio in occasione della Conferenza del Dialogo fra le Civiltà.

L’Armenia da parte sua replica opponendosi strenuamente ad ogni ipotesi di attacco all’Iran. Durante una conferenza stampa congiunta russo-armena, Nalbandyan si è espresso inequivocabilmente a favore di una soluzione pacifica della questione iraniana facendo eco a quanti nel Paese temono uno scenario che a livello regionale potrebbe portare a imprevedibile esacerbazione i conflitti latenti nell’area, in primis quello del Nagorno Karabakh.

 

(http://marilisalorusso.blogspot.com/ - il blog di Marilisa Lorusso dedicato al Caucaso del sud)


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