Tre vagoni, quattro locomotrici, una carrozza ristorante: in viaggio sul Sarajevo-Belgrado alcuni mesi dopo la celebrata riapertura del collegamento ferroviario tra le due capitali. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Ore 11.35 del mattino. A Sarajevo è una piovosa giornata di aprile, il puzzo di ćevapčići e Drina [popolare marca di sigarette bosniaca, ndr] avvolge il grande salone della stazione centrale. Sotto il portico una voce squillante annuncia: “Treno internazionale rapido per Belgrado in partenza dal binario 1”. Silenzio. Nessun movimento. Nessuna corsa verso i sottopassi e nessuno strisciare di valigie. Dalla stazione di Sarajevo ogni giorno partono solo una dozzina di treni, pochi passeggeri, nessun via vai.
Due parole in particolare ci colpiscono: internazionale e rapido.
Internazionale. Il treno Sarajevo - Belgrado, ripristinato da soli tre mesi dopo diciotto lunghi anni di inattività, deve fare i conti con la nuova situazione politica regionale emersa nella prima metà degli anni Novanta. La linea è rimasta sempre la stessa. Sulle rotaie è ancora possibile intravedere il marchio di produzione delle ferrovie jugoslave ma, nel frattempo, nuovi Stati e soprattutto nuovi confini sono stati eretti e rafforzati al fine di separare le popolazioni della penisola balcanica.
Rapido. Le aspettative ci portano ad attendere l’arrivo di un treno nuovo, moderno, capace di attraversare il Paese in poche ore. Dinnanzi ai nostri occhi appare un treno con attaccate alla locomotrice tre sole carrozze: una della Federacija, una della Republika Srpska [le due entità in cui è divisa la Bosnia Erzegovina, ndr] e una della Serbia.
Fino agli anni Ottanta erano sufficienti meno di sei ore per raggiungere Belgrado da Sarajevo. Oggi ne servono nove, e le cause non sono del tutto attribuibili ai problemi strutturali. La carenza infatti non è nel servizio, e la lentezza degli spostamenti non è causata solo dall’arretratezza della rete ferroviaria. È una conseguenza delle scelte politiche dei governi locali.
Il treno parte e il viaggio procede lento tra la campagna prima bosniaco – erzegovese poi croata fino a Belgrado. Ci fermiamo due volte per i controlli di frontiera al confine croato di Slavonski Šamac e a quello serbo nei pressi di Šid.
Tre Paesi, quattro carrozze motrici. Ogni volta che si supera un confine il treno si ferma e la locomotrice viene sostituita. A Doboj il primo cambio, la motrice della Federacija viene sostituita con quella della Republika Srpska. Il viaggio prosegue, arriviamo a Vrpolje dove avviene il secondo cambio, viene montata la terza locomotrice; adesso il treno è pronto a ripartire ed attraversare la sconfinata pianura croata. Gli stessi meccanismi si ripetono ancora per il terzo ed ultimo cambio una volta entrati in territorio serbo alla volta della capitale Belgrado.
Il treno è prevalentemente composto da gente del luogo. Qualche turista straniero, ma soprattutto molte persone che dai centri rurali o dalle piccole città si muovono attraverso la campagna del Paese verso i villaggi vicini.
Persone che si spostano per motivi di lavoro, soprattutto verso l’area di Zenica, o per motivi di studio, quando attratti dai più grandi poli universitari delle due capitali.
Molti di loro, come noi, hanno preso questa mattina il treno per la prima volta. “Solitamente mi muovevo in autobus”, ci dice Sanja, “ma penso che d’ora in avanti mi muoverò in treno. È molto più comodo e soprattutto più economico”.
Tra i passeggeri non possiamo fare a meno di notare i numerosi anziani e pensionati che si mettono in viaggio per andare a trovare i familiari trasferitisi in città dopo la guerra. Non è difficile ascoltare parole di nostalgia verso il passato jugoslavo. Un viaggio idealizzato nel passato, quando si credeva che tutto potesse andare bene e lo splendore delle carrozze rispecchiava il benessere di un Paese andato.
“Negli anni ’80 lungo la linea Sarajevo–Belgrado correvano tre treni giornalieri ed uno notturno. Treni veloci dotati di dieci, quindici carrozze, più o meno affollate a seconda della stagione dell’anno”, racconta Bojan. “Oggi invece questo piccolo treno di sole tre carrozze passeggeri, di cui una ristorante, che si muove lentamente e con fatica lungo le due capitali, è mezzo vuoto.”
È enorme il divario tra le generazioni. I giovani non hanno una diretta memoria del passato di questo percorso e, a causa della scarsità dei collegamenti ferroviari nelle diverse regioni interne ai Balcani, hanno poca esperienza di questo mezzo. La cultura del treno sembra non appartenergli ancora fino in fondo, sono piuttosto abituati agli anonimi e più veloci pullman che partono dalla stazione di Sarajevo est.
“Senza il treno non c’è vita”, sostiene Nedim. “E' solo grazie al treno che tanti piccoli paesi e villaggi riescono finalmente ad uscire dall’isolamento sociale e culturale che ha dominato gli ultimi vent’anni.”
E forse risulta essere proprio questo il punto più importante della riapertura della linea Sarajevo-Belgrado. In una regione dove il divario economico, sociale e culturale tra città e campagne è molto ampio, la riapertura di linee di collegamento significa la possibilità di ristabilire legami che risultano essere fortemente segnati dalle tensioni sociali e culturali tra cittadini e popolazione rurale.
Un giovane studente che si sta muovendo verso Sarajevo sottolinea quanto questo treno stia significando per il villaggio in cui vive con la sua famiglia, soprattutto da un punto di vista economico. La riapertura della linea e il passaggio del treno significano anche riapertura delle stazioni.
Dietro alla retorica celebrazione della riapertura ci sono scelte politiche che non interessano alla gente comune. Quello che interessa ai cittadini delle diverse regioni è soprattutto sapere che il servizio di trasporti pubblici è stato ulteriormente ampliato, che nuovi mezzi di trasporto collegano le città alle più distanti aree della regione. Poco importa se il treno attraversa tre Stati, se collega le capitali di due Paesi lungo la strada del disgelo dei rapporti internazionali. Questo è un normalissimo treno. Sono pochi i passeggeri che lo utilizzano dal suo punto di partenza sino a quello di arrivo. Come tanti altri treni. Difficilmente un espresso Milano-Agrigento o un intercity Venezia-Napoli porta gli stessi passeggeri dall’inizio alla fine.
Iva, trent'anni, originaria di Vukovar, sale sul treno in territorio croato direzione Sarajevo. “È la prima volta che salgo su questo treno”, racconta. “Ritengo sia importane per le nuove generazioni, è un’occasione in più che i giovani hanno per muoversi. Se non possiamo ancora uscire dai nostri confini possiamo almeno provare a farlo all’interno.”
Sono stati necessari ben diciotto anni per rimettere sui binari queste carrozze. Ora, i passeggeri non sembrano interessati a chi appartenga la motrice. Ciò che importa è il miglioramento del nuovo servizio.
Da diversi mesi stazionano nei depositi della Federacija cinque nuove carrozze con una nuova motrice. Sono state acquistate in previsione della riapertura della linea ma, per il momento, sono troppo moderne e veloci per poter salire su quei vecchi binari fermi ad una sola linea.
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