Nasce come piattaforma di associazioni culturali unite dalla richiesta di spazi destinati ai giovani di Zagabria. Ben presto, però, Pravo Na Grad (Diritto alla città) diventa il “cane da guardia” che difende gli spazi pubblici della Croazia
Pravo Na Grad, diritto alla città. È un network di associazioni impegnate a denunciare l’eccessivo sfruttamento economico degli spazi pubblici e l’esclusione dei cittadini dai processi decisionali sullo sviluppo territoriale di Zagabria. Così si legge nel sito dell’associazione . Fino a qualche anno fa nessuno conosceva questo contenitore di sigle. Ora tutti devono farci i conti. Pravo Na Grad è un vigile “cane da guardia”, che si fa sentire puntualmente ogni volta che i grandi interessi economici, con la sponda della politica, rischiano di prevalere sullo spazio pubblico. Non solo a Zagabria. La sua azione ha ormai un respiro nazionale.
La storia di Pravo Na Grad, sotto certi aspetti, è una cartina di tornasole della (ri)scossa civile che sta attraversando la Croazia. La smania costruttiva e la bolla edilizia, il mancato rispetto del paesaggio, degli edifici storici e di tutto quello che è ricompreso nel concetto di spazio pubblico – inteso come quella serie di spazi potenzialmente o già a disposizione di tutta la cittadinanza – erano temi che, fino a poco tempo fa, non riuscivano a mobilitare. Adesso sono in cima all’agenda dei cittadini.
Se vogliamo capire questa evoluzione non possiamo non partire da Petar Preradović Trg. È una piazza situata nella parte storica di Zagabria, intitolata al poeta romantico dell’800. Tutti, però, la chiamano Cvjetni Trg (piazza dei fiori), data la presenza di bancarelle dove, appunto, si vendono fiori. Su uno dei lati di questo slargo, che assieme al mercato del Dolac è il crocevia più famoso di Zagabria, campeggia un grande centro commerciale, il Centar Cvjetni, di recente costruzione. Nome prevedibile, tutto sommato.
L’attivismo di Pravo Na Grad
Meno prevedibile è stata invece la serie di flash mob, petizioni popolari e contestazioni, animata proprio da Pravo Na Grad, che tra il 2006 e il 2010 ne hanno accompagnato l’edificazione. "La realizzazione del centro commerciale e del garage auto a esso collegato, in Varšavska Ulica, hanno leso il concetto di spazio pubblico. Due edifici storici sono stati abbattuti e il parcheggio s’è mangiato un pezzo di area pedonale. Il sindaco Milan Bandić ha concesso i permessi trovando il modo di aggirare i vincoli normativi. Mentre il costruttore, il facoltoso imprenditore Tomislav Horvatinčić, amico del primo cittadino, ha promesso che avrebbe creato uno spazio culturale all’interno della galleria commerciale, in nome di un “interesse pubblico” francamente non riscontrabile. Ovviamente non ha rispettato gli impegni".
Così Tomislav Domes, coordinatore di Pravo Na Grad, racconta i motivi alla base della protesta, che nel 2010, nel momento in cui sono iniziati i lavori per il garage, ha persino portato a occupare fisicamente Varšavska Ulica. "Abbiamo dormito in strada, organizzato comizi e cortei, ritardando di sei mesi i lavori. Dopodiché ci hanno sgomberati. Ci sono stati anche degli arresti", riepiloga Domes, che Osservatorio Balcani e Caucaso ha incontrato a Zagabria.
Alla fine Bandić e Horvatinčić l’hanno avuta vinta. Il Centar Cvjetni e il parcheggio sono stati completati. Eppure, quell’esperienza di resistenza civica ha lasciato il segno. "La gente ha acquisito piena consapevolezza sul maltrattamento dello spazio pubblico. Quanto a noi, abbiamo ottenuto visibilità e allargato il nostro raggio d’azione al di fuori della capitale, impegnandoci su temi simili", spiega Domes, andando successivamente a ritroso nel tempo, a quando Pravo Na Grad non faceva notizia. "Siamo nati come piattaforma di associazioni culturali, chiedendo al sindaco Milan Bandić di destinare alla cultura e ai gruppi giovanili alcuni vecchi edifici industriali in disuso. Bandić, poco prima delle elezioni locali del 2005, s’impegnò a concedere un hangar situato nei pressi della stazione centrale. Dopo il voto s’è rimangiato la parola". Ora in quella ex officina c’è uno show room di sanitari. Molte altre strutture analoghe sono state concesse – a quanto pare un po’ allegramente – a degli investitori.
“Svendita totale”
Dopo lo smacco, Pravo Na Grad ha lanciato una feroce campagna contro il sindaco. La città è stata tappezzata di manifesti, ognuno dei quali recante sullo sfondo una delle vecchie fabbriche sulla via della privatizzazione e in primo piano la scritta “Totalna Rasprodaja” (svendita totale). "Un modo per mettere in risalto sia la progressiva cancellazione di possibili spazi pubblici – dice Domes – sia il paradosso del personaggio Bandić, che si presenta come il sindaco dei poveri, mettendo a posto strade e palazzi nei quartieri più problematici della città, salvo poi fare accordi con i grandi imprenditori".
I media locali hanno iniziato a dare risalto alle iniziative di Pravo Na Grad, fino a quando, con la storia del Centar Cvjetni, c’è stato uno scatto in avanti: mediatico, civile, organizzativo. Da allora l’associazione è uscita dal guscio zagabrese e si muove a livello nazionale. "In Istria e Dalmazia", spiega Domes, "ci si sta mobilitando contro la realizzazione di campi da golf, con tanto di ville lussuose adiacenti. Secondo il governo dovrebbero allungare la stagione turistica, attraendo visitatori in ogni mese dell’anno".
A suscitare particolare attenzione è il progetto golfistico per Dubrovnik. I campi, circondati da una schiera di dimore di lusso, dovrebbero coprire un’ampia fetta di Srđ, la collina che sovrasta la città. Da lassù si vede la sagoma di Dubrovnik, con le sue mura. Persino la costa montenegrina, nei giorni di luce intensa. Il golf club può “inquinare” questo patrimonio panoramico. "Non dico che non si debba guardare al potenziale del turismo. Economia e spazio pubblico possono e devono però convivere. Quello dei golf course, in ogni caso, non è un modello sostenibile", chiosa il coordinatore di Pravo Na Grad. Il cane da guardia è pronto a mordere.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa.
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