Bidzina Ivanishvili © Gevorg Ghazaryan/Shuttertsock

Bidzina Ivanishvili © Gevorg Ghazaryan/Shuttertsock

Il partito di governo “Sogno georgiano” agisce sulla base delle ossessioni del suo fondatore, il miliardario Bidzina Ivanishvili, che vede nell’alternativa di governo e nell’Occidente minacce ai suoi interessi. Il rischio è un consolidamento autoritario, non deriva filo-russa

16/05/2024 -  Giorgio Comai

In Georgia non vi è tra la popolazione e le principali forze politiche in campo una componente numericamente rilevante effettivamente caratterizzabile come “filo-russa”. Proprio per questo definire “russa” una legge come quella approvata ieri sugli agenti stranieri ha lo scopo di screditarla: il connotato negativo è immediato e incontrovertibile.

Vi sono certo dei tratti comuni rilevanti con l’omologa legge approvata in Russia nel 2012 (e successivamente inasprita), ma ancor più del testo della legge, ciò che in effetti preoccupa è il contesto in cui è stata approvata, nonché il processo decisionale che ha portato alla sua promulgazione.

Nel complesso, al di là della dimensione geopolitica, emerge distintamente come l’effettivo obiettivo di questa legge sia rafforzare il controllo sullo spazio politico georgiano da parte del partito di governo, “Sogno Georgiano”, e in particolare del suo fondatore, il miliardario Bidzina Ivanishvili.

A scanso di equivoci è giusto evidenziare come la legge sia di per sé molto problematica: se il governo georgiano avesse avuto effettivamente intenzione di introdurre misure volte ad aumentare la trasparenza nel settore no-profit avrebbe potuto farlo senza tanti drammi, in collaborazione attiva con le tante organizzazioni che di questo si occupano. Quantomeno, avrebbe atteso il parere della Commissione di Venezia .

Evidentemente, non era questo lo scopo. Anche al di là di obblighi e multe introdotte dalla legge, insistere nell'affibbiare il titolo di “agenti di influenza straniera” ad esempio ad associazioni che si occupano di varie sfaccettature del processo di integrazione europea è problematico: se il percorso di integrazione euro-atlantica è non solo obiettivo dichiarato del governo, ma addirittura prescrizione costituzionale (articolo 78), attività che lo favoriscono sono coerentemente espressione di un’ambizione tutta georgiana, non di interferenza esterna.

C’è piuttosto spazio per argomentare che questa legge sugli agenti stranieri sia incostituzionale e contraria agli interessi della Georgia proprio perché è di ostacolo all’integrazione con l’UE.

È chiaro che si tratta di una scelta politica. Se il processo di integrazione è percepito non come un percorso di avvicinamento e collaborazione tra partner con obiettivi comuni, ma come interferenza esterna, è giusto trarne le conseguenze.

La Georgia è un paese sovrano e può legittimamente decidere di cambiare rotta. Per farlo però dovrebbe cambiare la costituzione, o quantomeno il governo dovrebbe esprimere in modo più limpido le proprie preferenze a riguardo. Per ora invece i rappresentanti del “Sogno Georgiano” continuano a insistere, implausibilmente, sulla propria sincera intenzione di portare avanti la Georgia nel suo percorso di integrazione europea.

Evidentemente neppure loro si sentono (ancora?) pronti ad impostare la campagna elettorale per il voto previsto per ottobre in chiave esplicitamente anti-occidentale, sebbene il tono di recenti dichiarazioni da parte di esponenti di spicco tra cui il primo ministro e Bidzina Ivanishvili ne diano chiari segni.

In questi giorni, una delegazione di capi dei comitati esteri di vari parlamenti europei non è stata ricevuta da esponenti del governo; Ivanishvili si è rifiutato di incontrare l’inviato statunitens e James C. O’Brien, il quale ha constatato che se la Georgia non guarda più agli Stati Uniti come a un partner, i programmi di assistenza in corso dovranno essere rivisti (il riferimento è a un pacchetto di di 390 milioni di dollari che include non solo il sostegno alla società civile, ma anche sviluppo economico e difesa).

Il fattore Bidzina Ivanishvili

Ivanishvili ha giustificato il suo rifiuto di incontrare O’Brien perché si ritiene vittima di non meglio specificate sanzioni “de facto” contro di lui.

Sanzioni mirate nei suoi confronti, però, non esistono. Questo tipo di esternazioni, secondo le quali Ivanishvili si ritiene vittima di un complotto architettato contro di lui dall’Occidente, sono piuttosto fondamentali per comprendere gli sviluppi che hanno determinato l’urgenza di introdurre questa legge sugli agenti stranieri e in generale il crescente tono anti-occidentale del governo.

Gli interessi privati e le ossessioni personali di Ivanishvili, che in questi anni ha spesso trattato come una propria azienda il partito “Sogno georgiano” e talvolta lo stesso governo, sembrano infatti avere un ruolo determinante nel definire le dinamiche in corso.

In un lungo discorso ad una manifestazione pro-governativa tenutasi lo scorso 29 aprile, il fondatore di "Sogno georgiano" ha espresso chiaramente alcuni elementi della sua interpretazione politica dell’attuale contesto internazionale.

Senza mezzi termini, Ivanishvili ha annunciato che dopo le prossime elezioni punirà i rappresentanti dell’opposizione e i traditori dei precedenti governi (2004-2012), che sarebbero stati imposti dall’esterno. Ha ripetutamente attaccato un presunto “Partito Mondiale della Guerra”, che avrebbe spinto l’Ucraina stessa verso il conflitto e che vorrebbe ora usare la Georgia per aprire un nuovo fronte di guerra con la Russia (il riferimento a questo “Partito Mondiale della Guerra” non è occasionale, ma ricorrente anche in interventi del primo ministro , che comunque ne parla in tono misterioso: “Molti sanno di queste forze. Non ne possiamo parlare. È troppo delicato.”).

Partiti di opposizione e ONG non sarebbero altro che strumenti di questo “Partito Mondiale della Guerra” e per questo devono essere puniti, per permettere finalmente alla Georgia di essere sovrana.

In questa visione, il “Partito Mondiale della Guerra”, che avrebbe tra l’altro imposto al parlamento europeo di adottare risoluzioni anti-georgiane (e “anti-europee”), evidentemente controlla l’Occidente ed altrettanto evidentemente vuole far cadere il governo di “Sogno georgiano” e punire quindi Ivanishvili come ultimo protettore della sovranità georgiana, che si vorrebbe distruggere.

A queste parole altisonanti, corrispondono interessi privati ben più immediati. A prescindere dall’origine delle ossessioni di Ivanishvili, pare chiaro che il miliardario ritenga che le sue ricchezze sparse per il mondo non siano più al sicuro in quest’epoca di sanzioni e tensioni internazionali (è peraltro noto il processo che Ivanishvili ha in corso per centinaia di milioni di dollari con Credit Suisse , per una questione di qualche anno fa del tutto scollegata da sanzioni).

Ivanishvili sembra quindi intento a rimpatriare parte delle sue sostanze, ma per farlo in modo conveniente ha bisogno di misure del sistema fiscale georgiano favorevoli al rientro di capitali – misure infatti approvate lo scorso aprile e poi bloccate dal veto della presidente georgiana.

D’altra parte, in questa visione del mondo, rimpatriare capitali non è sufficiente a renderli sicuri se la minaccia è quella di sanzioni occidentali e soprattutto se vi sarà alternanza politica in Georgia: sono sicuri solo finché il governo georgiano sarà controllato o quantomeno vicino a Ivanishvili, mentre sarebbero immediatamente a rischio se al potere arrivasse chiunque altro.

È difficile determinare la rilevanza di ognuno di questi elementi nel calcolo di Ivanishvili. L’effetto complessivo, dal punto di vista sostanziale, rimane lo stesso: tutto quanto possa ostacolare un consolidamento del controllo di “Sogno georgiano” sullo spazio politico del paese, incluse quindi le ONG finanziate dall’Occidente e i governi europei che le supportano, sono considerati come una minaccia da contrastare.

Per questo era importante agire con urgenza ora, prima delle elezioni previste per ottobre, ben sapendo che l’iniziativa avrebbe scatenato proteste. Per il momento, i membri del partito di governo continuano a mantenere solidamente la linea dettata dal fondatore di “Sogno georgiano”, anche se certo si tratta di un calcolo politico rischioso.

Come talvolta accade, infatti, iniziative mirate sostanzialmente a rafforzare il ruolo politico dominante di “Sogno georgiano” e a tutelare Ivanishvili da sanzioni potrebbero avere l’effetto contrario.

Se la repressione delle proteste si farà più dura o la Georgia favorirà in modo più esplicito l’evasione delle sanzioni contro la Russia, Ivanishvili potrebbe ritrovarsi ad essere vittima di sanzioni vere, non solo immaginarie.

Se le opposizioni riusciranno finalmente a coalizzarsi, il “Sogno” rischia di perdere un voto che fino a pochi mesi fa, prima di introdurre le leggi sugli agenti stranieri, sembrava in grado di vincere agilmente.

D’altra parte, l’esito di questa fase politica è tutt’altro che scontato e forse solo con le elezioni di ottobre si definiranno gli equilibri interni e i vettori principali di politica estera georgiana per i prossimi anni.

Per ora, non resta che registrare la straordinaria mobilitazione pubblica contro le iniziative di questo governo e a favore dell’integrazione europea che da settimane si osserva a Tbilisi e in altre città georgiane.

Contesto internazionale

Un’ultima considerazione sul contesto internazionale. Una Georgia meno integrata con Unione europea e Nato – se non apertamente schierata in opposizione ad esse – è evidentemente negli interessi del Cremlino.

È difficile dire quanto le preoccupazioni di Ivanishvili siano influenzate dai suoi rapporti con la Russia: alcune delle sue ossessioni ricalcano certo narrazioni promosse da Mosca, ma dinamiche politiche personali e interne alla Georgia possono spiegare gli eventi di questi giorni altrettanto bene, senza bisogno di vedervi necessariamente la longa manus del Cremlino.

Anche in questo contesto in cui i più alti ufficiali di governo e di partito esprimono narrazioni sostanzialmente (anche se non formalmente) anti-occidentali, continua a sembrare implausibile un governo esplicitamente filo-russo in Georgia.

Infine, è importante evidenziare come questa fase politica debba essere di lezione anche per l’Unione europea , che lo scorso dicembre ha deciso di accordare lo status di candidato alla Georgia nonostante i segnali di involuzione democratica fossero sempre più evidenti.

L’Unione europea si rafforza quando agisce in modo coerente con i propri valori fondanti, mentre si rende vulnerabile quando sostiene per opportunismo politico o geopolitico governi con tendenze autoritarie.

L’UE deve sapersi meritare la stima e la fiducia delle decine di migliaia di persone che da settimane scendono nelle strade di Tbilisi scegliendo la bandiera europea come simbolo di speranza di un futuro migliore.


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