La bandiera del Montenegro (© BUTENKOV ALEKSEI/Shutterstock)

La bandiera del Montenegro (© BUTENKOV ALEKSEI/Shutterstock)

Lo scrittore Đuro Radosavović, il giornalista Slavoljub Šćekić e l’attivista civica Jovana Marović. Li abbiamo contattati per riflettere sui 15 anni trascorsi dalla dichiarazione di indipendenza del Montenegro, avvenuta con il referendum del 21 maggio del 2006

21/05/2021 -  Željko Pantelić

Un'occasione mancata, l'opportunità di un'intera generazione sprecata irrimediabilmente. Un sentimento - 15 anni dopo il referendum - largamente diffuso tra le persone che hanno contribuito maggiormente a creare i presupposti per l’indipendenza del Montenegro nel 2006. 

Parafrasando uno dei versi più famosi del poeta Branko Miljković “il Montenegro indipendente non sa cantare come i partigiani dell’indipendenza cantavano di lui”. Si sperava che la patria della regina Elena potesse diventare “il Lussemburgo balcanico” o “Monaco sull’Adriatico”. Ma, le speranze sono state tradite, il Montenegro si è trasformato in un porto sicuro per il suo presidente Milo Đukanović, la sua “corte dei cortigiani” ed i partiti clientelari. 

Lo scrittore Đuro Radosavović, il giornalista Slavoljub Šćekić e l’attivista civica Jovana Marović concordano parlando a OBC Transeuropa che il Montenegro non assomiglia affatto al paese che speravano sarebbe diventato.

“Ho la sensazione che abbiamo sprecato un'occasione che non si presenterà più. Ed è questo sentimento che turba una grande parte dei cittadini. Una buona parte della popolazione credeva che il Montenegro potesse diventare una specie di Lussemburgo balcanico. Era diffusa la convinzione che il Montenegro fosse uscito dalla confusione balcanica. Ora sappiamo che era un’idea molto ingenua, ma a quell’epoca eravamo sicuri che saremmo riusciti a prendere l'ultimo treno veloce per l'adesione all’UE”, racconta Radosavović, autore dei più grandi bestseller montenegrini in questo secolo. 

Slavoljub Šćekić, dal canto suo, fu testimone privilegiato dell’iter referendario visto che all'epoca dirigeva il quotidiano più importante del paese Vijesti che, a sua volta, era il portabandiera dell’indipendentismo montenegrino. 

“Il Montenegro è rimasto fermo al 21 maggio 2006 perché alla casta conveniva che rimanessimo a contarci tutta la vita sulla linea 55-45 (la soglia della maggioranza qualificata per il successo del referendum era fissata al 55 per cento). Era un alibi perfetto per tutte quelle riforme che non si volevano fare o implementare. Ogni volta, quando si doveva fare un salto di qualità nella costruzione dello stato di diritto o accelerare sulla strada verso l’UE, si fermava tutto perché non collimava con gli interessi del regime di Đukanović.”

Anche Jovana Marović, la direttrice del think-tank montenegrino Politikon, ritiene che l’indipendenza non abbia portato quello che i cittadini volevano: "Il Montenegro assomiglia solo vagamente al paese che immaginavamo prima del referendum del 2006. Qualcosa di buono è stato fatto: siamo entrati nella NATO, abbiamo iniziato i negoziati con l'UE, insomma, le scelte nella politica estera sono state quelle. Quello che è mancato è la creazione di un ambiente in cui tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e libertà. I governi precedenti non erano molto interessati a rafforzare lo stato di diritto, a lottare contro il clientelismo, il nepotismo, la corruzione e la criminalità organizzata”.

Šćekić che oggi guida il Centro per il giornalismo investigativo (CIN) a Podgorica ha idee molto chiare sul perché è andato perso il sogno montenegrino: “Il Montenegro è diventato un 'captured state' affinché Đukanović rimanesse libero, perché grazie al 'captured state' lui conserva la sua zona di comfort. Ricordo che lui è tornato in politica nel 2008 perché i suoi avvocati gli hanno consigliato di non presentarsi alla procura di Bari senza l’immunità internazionale di cui godono capi di stato e di governo. La procura di Bari, questo va sottolineato, non ha archiviato il processo perché non aveva le prove contro Đukanović per il contrabbando delle sigarette, ma perché era protetto dall'immunità internazionale”.  

Radosavović mette sotto i riflettori un altro aspetto dei primi 15 anni di indipendenza, ovvero la volontà del regime di Đukanović di scimmiottare la frase di Massimo D'Azeglio: fatta l'Italia, bisogna fare gli italiani. 

"Se il regime di Đukanović avesse voluto spingere il paese verso l'UE non avrebbe, già nel 2008, messo la retromarcia ponendo come propria priorità la costruzione di una nuova identità nazionale al posto dell'integrazione europea. È così che è stata dissipata l’energia positiva che si era accumulata durante la campagna referendaria per l'indipendenza. Mi faccio spesso la domanda: chi ha venduto il Montenegro? Avevamo tutto: dalle risorse, all’occasione storica sino alle simpatie di tutto il mondo. Eppure abbiamo sciupato una grande, irripetibile chance, creando una società polarizzata. Abbiamo simboli che dividono i cittadini: due lingue, due chiese, tutto è diviso. Lo stato non è sapone che va consumato in poco tempo, però in tanti ci chiediamo dove stiamo andando?”, racconta Radosavović

La capacità del re Nikola I Petrović di indebitarsi, insieme alla sua scaltrezza di far sposare bene le sue figlie, è diventata proverbiale in Montenegro e in Serbia: Đukanović non è da meno visto che il debito del Montenegro è salito da 700 milioni di euro nel 2006 al quattro miliardi e mezzo nel 2020. "È molto preoccupante l’indebitamento vertiginoso del paese che ha messo a repentaglio alcuni asset statali che verranno sottratti al Montenegro se non riuscirà a restituire i crediti", avverte la Marović. 

Radosavović e Šćekić non hanno dubbi su chi rappresenti e abbia rappresentato l'ostacolo maggiore per il progresso del Montenegro. "Fino a dicembre il paese è stato governato, letteralmente, da un telefono. Solo chi aveva la possibilità  di avvicinarsi a Đukanović poteva chiudere affari o gestire il proprio business. Tutto funzionava seguendo la massima: una chiamata cambia tutto, certo la chiamata che arriva da Đukanović”, precisa lo scrittore montenegrino. 

Il direttore di CIN rincara la dose: “In questi 15 anni la corruzione è diventata endemica. Đukanović tornava in politica ogni volta che rischiava di perdere la libertà, quando i suoi affari erano minacciati o era minacciata la sua comfort zone. Ogni suo ritorno era in funzione di fermare i cambiamenti nella società montenegrina. Con l'UE siamo impantanati con i capitoli negoziali 23 e 24 che riguardano lo stato di diritto. Da quando l’UE ha iniziato a chiedere risultati nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata si è bloccato tutto. Il motivo è molto semplice, ogni traccia, ogni indizio che riguarda la corruzione e la criminalità organizzata porta inequivocabilmente al vertice del regime precedente”. 

A 15 anni dall'indipendenza al Montenegro serve una nuova ripartenza. Il cambio del potere avvenuto sei mesi fa è un buon inizio. Dopo gli indipendentisti che hanno ripristinato il Montenegro sovrano nel 2006, ora tocca agli ex unionisti (quelli che erano per l'unione con la Serbia) portare il paese verso l'adesione all’UE. È come se fosse un gioco del destino visto che i montenegrini sono un popolo a cui piace rivendicare meriti. Indro Montanelli nella sua Storia d’Italia ricordava che il vecchio re Nikola I a chi gli chiedeva quanti sudditi avesse, rispondeva: Io e il mio amico lo Zar di tutte le Russie ne abbiamo 150 milioni”. Così, gli indipendentisti potranno tenersi i meriti per l’indipendenza, mentre gli unionisti porterebbero, all'altare della patria, la dote dell'integrazione nell'UE.


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