Nel più grande campo profughi dei Balcani, i rom fuggiti dalla guerra del Kosovo hanno passato mesi in container di metallo senza elettricità, dopo che le baracche in cui vivevano erano andate a fuoco
(Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Balkan Insight il 13 marzo 2013, col titolo Montenegro’s Container Camp Refugees Survive Winter Freeze )
Le file di scatole bianche di metallo sono l'unico segno di ordine in mezzo al caos del campo di Konik, impantanato nel buio del tardo pomeriggio nonostante il clamore dei bambini che giocano e la musica proveniente dai container i cui abitanti sono riusciti a 'prendere in prestito' elettricità dalle case vicine. Siamo nel più grande campo profughi dei Balcani, situato alla periferia della capitale montenegrina, dove vivono 1.500 profughi rom che hanno lasciato il Kosovo durante il conflitto fra le guerriglie albanesi e le forze del governo serbo nel 1999.
Valjdet Ramaj è uno degli abitanti del campo. La sua famiglia viveva in una fra le tante fatiscenti baracche di legno disposte su un terreno abbandonato coperto di spazzatura, ma è stata trasferita in una tenda quando la maggior parte di queste strutture sono bruciate nell'incendio che ha devastato il campo a luglio dell'anno scorso. Nel mese di novembre 2012, il governo montenegrino ha fornito oltre 200 container da utilizzare come abitazioni temporanee, promettendo che l'elettricità sarebbe stata installata. Ma, all'inizio dell'inverno, l'elettricità non è arrivata.
"Le capanne erano migliori, più calde", ha dichiarato Ramaj a BIRN, affermando che vivere in un container è "quasi come vivere in un congelatore".
Diverse decine di persone hanno protestato davanti alla sede della delegazione UE a Podgorica nel mese di gennaio, chiedendo l'installazione dell'elettricità.
"I miei figli vanno a scuola. Quando tornano la sera, non possono fare i compiti. È buio. Non vogliono andare a scuola. Non riescono a leggere. Non riescono a vedere", ha detto a BIRN un altro residente del campo, Gasi Gani.
Una bolletta da 800.000 euro
Prima dell'incendio, gli abitanti di Konik avevano usato elettricità senza pagare fino ad accumulare un debito di 800.000 euro nei confronti dell'Elektroprivreda Crne Gore (compagnia elettrica del Montenegro, a maggioranza statale): una somma che è improbabile i rifugiati possano mai possedere. Il problema è ora sulla via di soluzione, anche se Željko Šofranac, direttore dell'Ufficio per i rifugiati del Montenegro, ha avvertito che "nessuno può essere più esentato dall'obbligo di pagare l'elettricità".
Molti dei rifugiati che vivono nel campo sono ancora in attesa che le autorità risolvano la questione del loro status giuridico in Montenegro, e non hanno quindi i documenti necessari per ottenere posti di lavoro. Ma dopo aver trascorso la maggior parte dell'inverno al freddo, Ramaj dice di essere pronto a firmare un contratto con la società di energia elettrica, anche se non è ancora sicuro di come riuscirà a pagare le bollette.
"Cercheremo una soluzione, faremo qualcosa... faremo la fame, ma almeno saremo in grado di vedere quello che mangiamo e beviamo", dice Ramaj.
Anche se manca poco alla primavera e all'arrivo della luce, per alcuni dei rifugiati le serate sono destinate a rimanere buie. Non c'è luce nelle nove baracche di legno sparse sulla terra senza erba, fra enormi pozzanghere, in fondo al campo: le uniche case sopravvissute all'incendio dello scorso anno. A differenza di chi sta nei container, le 350 persone che vivono qui non avranno elettricità fino a quando i residenti del campo non avranno saldato il debito.
"Il debito deve essere pagato perché loro possano usare l'elettricità", ha dichiarato Šofranac, che ha promesso: "Il governo è consapevole del problema e sta cercando una soluzione con l'azienda elettrica".
Una luce nelle tenebre
Alcuni residenti di Podgorica sembrano simpatizzare con la difficile situazione dei rifugiati: "Una società si misura dal modo in cui tratta i suoi membri più deboli", ha dichiarato a BIRN un abitante del luogo.
Ma la situazione al campo Konik è il segno di un problema più ampio che affligge il Montenegro da anni. Anche se il paese è riuscito a evitare alcune delle più dure conseguenze delle guerre degli anni novanta, alla fine di quel decennio oltre il 10 per cento della popolazione era costituita da rifugiati. Ora vanno affrontate le questioni abitative di quei rifugiati che hanno deciso di restare, dato che sia il governo che le organizzazioni internazionali sono consapevoli del fatto che né i container né le baracche di legno rappresentano una soluzione al problema.
I funzionari di Podgorica sperano di ottenere il denaro necessario per migliorare la situazione attraverso le donazioni di un progetto internazionale istituito lo scorso anno in una conferenza a Sarajevo, che ha raccolto finora 270 milioni di euro, nel tentativo di risolvere i problemi logistici dei profughi in Bosnia, Croazia, Montenegro e Serbia.
Nel marzo dello scorso anno, dopo un accordo tra il Montenegro e l'Unione europea, tre milioni di euro sono stati stanziati per la costruzione di 90 appartamenti e un community center per le famiglie che vivono nel campo di Konik.
"Questo progetto dovrebbe essere un indicatore dei risultati raggiunti e degli standard che dobbiamo raggiungere per avviare i progetti che saranno realizzati attraverso il processo di Sarajevo", ha dichiarato Šofranac.
Altri due progetti volti a fornire alloggi per i rifugiati del Kosovo sono stati proposti per il sostegno dei donatori di Sarajevo. Uno di questi prevede la costruzione di 62 appartamenti a Nikšić, seconda città del Montenegro, e un altro dovrebbe fornire ulteriori 42 appartamenti per i residenti del campo di Konik.
I lavori di costruzione dovrebbero iniziare nel settembre di quest'anno. Ma fino a quando le nuove case non saranno ultimate, la maggior parte dei profughi continuerà a vivere nei container di metallo e guardare con invidia alle case di pietra e mattoni dei loro vicini.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa.
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