Quaderni Russi, reportage disegnato incentrato sulla guerra in Cecenia, è il secondo capitolo di un dittico che il fumettista ed ex musicista Igor Tuveri, in arte Igort, ha dedicato all’ex Urss. Nostra recensione
L’artista sardo, da sempre uno dei più lucidi interpreti nel nostro Paese delle suggestioni provenienti dalla tradizione culturale russa e sovietica – suo padre, un compositore di musica gli ha trasmesso sin da bambino un amore smisurato per Chekhov, Tolstoy, Dostoevsky e Mayakovsky – ha trascorso quasi due anni tra il 2008 e il 2010 in Ucraina, Russia e Siberia.
Arrivato a Kiev con l’intenzione di raggiungere di lì a breve la Crimea per visitare le dacie di Anton Čechov – l’idea iniziale era quella di raccontare il grande drammaturgo di Taganrog attraverso le sue dimore – Igort rimane colpito da una realtà devastante. L’Ucraina che si svela ai suoi occhi non è la terra dei sogni di Čechov, ma una terra piena di dolore, un universo che lo stordisce a tal punto da fargli rivedere il progetto originario.
Chiama il suo editore in Italia e gli comunica l’intenzione di fare un altro libro. Anziché andare a sud, in Crimea, si dirige nella parte est del Paese, quella vicina alla Russia. A Dnipropetrovsk, con l’aiuto di un interprete, inizia un lungo lavoro di ricerca che darà vita ai Quaderni Ucraini, una graphic novel sullo sterminio compiuto da Stalin nel ’32-’33 in Ucraina nei confronti dei kulaki, i piccoli proprietari terrieri e i contadini che si opponevano alla collettivizzazione delle terre.
Questo suo misurarsi con le storie della gente comune, nato dalla volontà di conoscere e di comprendere, al di fuori di ogni vuota retorica politico-ideologica, cosa sia stata l’Unione Sovietica e quale fosse la vita in questo enorme impero, lo vede nei mesi successivi in viaggio attraverso Russia e Siberia alla ricerca dell’eredità che quel mondo, dissoltosi vent’anni fa, ha lasciato agli abitanti attuali.
In compagnia dei suoi quaderni da disegno Igort inizia un lungo peregrinare da San Pietroburgo fino a Novosibirsk, passando per Mosca e gli Urali che lo porta a riflettere sulla storia, anche più recente, di questo sterminato Paese che abbraccia due continenti.
Anna Politkovskaja e la Cecenia
La lettura degli scritti di Anna Politkovskaja, le confessioni che divorano le coscienze in erba dei giovani militari russi di stanza in Cecenia, il silenzio assordante che accompagna la tragica guerra nel Caucaso, liquidata dalle cancelliere occidentali come “una questione interna russa”, spingono il fumettista a narrare la Russia odierna attraverso il prisma ottico delle “dimenticate” vicende caucasiche.
Emblematico, quasi un manifesto programmatico dell’intera opera, l’incipit del libro affidato a una pagina seppiata su cui campeggia una Makarov IZH con il silenziatore – il modello di pistola con cui il 7 ottobre 2006 viene freddata all'ingresso della sua abitazione moscovita la giornalista Anna Politkovskaja – e un testo di 7 righe con la parola “democratura” – neologismo coniato da Predrag Matvejević per descrivere le democrazie travestite di molti ex paesi dell’Urss – scritta in maiuscolo.
Alla maniera degli impressionisti, il disegno di Igort si materializza fuori dallo studio, sulle strade, “en plein air”, con il racconto di uomini e donne comuni, non eroi, persone piccole e modeste, spesso scolpite dal dolore. Ed è proprio attraverso questo metodo narrativo che l’autore cerca di dipanare i misteri di un mondo, quello russo, che oggi, a differenza di trent’anni fa, sembra più turbarlo che affascinarlo.
Per fornire una collocazione storica al conflitto ceceno, rievocato in pagine di rara bellezza attraverso la rappresentazione dei momenti più salienti di una guerra che infiamma il Caucaso da quasi vent’anni, l’autore, oltre agli inevitabili rimandi ai testi di Anna Politkovskaja, ci riporta indietro a metà dell’800 raccontando le vicende del monaco benedettino Al Mansur e quelle di un giovanissimo Lev Tolstoj.
Nel 1875 Al Mansur, un monaco benedettino che si fa chiamare come il profeta che 1000 anni prima aveva fondato Baghdad, lancia la sua sfida alla Russia degli zar. La sua armata, composta di 8000 uomini, principalmente circassi, tatari e ceceni, resiste a quelle di Caterina II per sei lunghi anni in una guerriglia condotta tra boschi e montagne. Quando Al Mansur deve arrendersi alle armate di Potemkin è già diventato una leggenda per le fiere popolazioni caucasiche.
Ventidue anni prima, siamo nel 1853, Tolstoj, infatuato dai miti della Grande Russia e desideroso di “ammirare la bellezza della guerra e di ascoltare le pallottole che fischiano”, si arruola volontario nell’esercito zarista e parte a combattere nel Caucaso. L’esperienza, che non si rivelerà delle più fortunate, sarà fondamentale per la crescita spirituale del grande scrittore russo. Nel marzo 1855 lascerà definitivamente la carriera militare per dedicarsi unicamente alla letteratura.
Il dramma dei kulaki, già affrontato nel precedente Quaderno, quello ucraino, torna nelle pagine finali del libro dedicate alla Siberia, “deserto di nevi e ghiacci”, sin dall’epoca degli zar luogo di deportazioni, torture e morte. In perfetta coerenza stilistica con le lugubri storie dell’epoca staliniana che hanno come teatro questi luoghi dal “freddo inumano”, qui la matita di Igort predilige i toni del bianco e nero.
Altrove, nella rappresentazione dell’orrore provato da una donna cecena di fronte alla visione del corpo mutilato del proprio figlio, il geniale fumettista abbandona per un istante la lezione del maestro Rodčenko e il suo amore per le scritte in cirillico, citando con rigore filologico quel terribile affresco di guerra che è la Guernica di Pablo Picasso.
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