Sullo sfondo del contenzioso sloveno-croato per il confine e in vista delle elezioni slovene del 20 settembre prossimo, affiorano rigurgiti nazionalisti nella vicina Slovenia. La cronaca della manifestazione di sabato scorso al confine tra Slovenia e Croazia
Sul ponte che in Istria unisce le due sponde del fiume Dragogna e fa da confine tra Slovenia e Croazia, sabato scorso - quasi a fare da corollario al lungo e assurdo contenzioso territoriale sloveno-croato e alle ormai vicine elezioni in Slovenia - si è verificato un nuovo incidente che solo la buona organizzazione e i nervi saldi della polizia croata, nonché la cautela di quella slovena, sono riuscite a contenere entro i limiti di una manifestazione nazionalista poco più che folkloristica e dove non si è andati oltre a qualche spintone e a qualche insulto nei confronti degli agenti croati.
Ma la tensione era alta ed il confine internazionale è rimasto chiuso per parecchie ore, fino a notte fonda. Uno scenario surreale disegnato da un centinaio o poco più di militanti del movimento 25 giugno, guidato da Marjan Podobnik, esagitato esponente del partito popolare (SLS) , ex vice-premier sloveno e fratello dell'attuale ministro dell'Ambiente, di skinhead e di "hervardi", i giovani dell'estrema destra che sognano la "grande Slovenia" entro i confini dell'antica Carantania.
I manifestanti volevano a tutti i costi rimuovere alcuni cubi di fiori collocati dalla polizia croata per bloccare un sentiero abusivo che veniva usato, per evitare il valico, da Joško Joras, lo sloveno oriundo di Maribor che abita a sud del Dragogna e non riconosce la sovranità croata. La sua casa e l'abitato di Mlini - sostiene - è parte del comune catastale di Sicciole, che è in Slovenia.
La mela della discordia continua ad essere infatti Joško Joras, attorno al quale si sta coagulando il fior fiore del nazionalismo più radicale in Slovenia e che ora è piombato - com'era prevedibile - nella campagna elettorale che andrà avanti fino al 20 settembre.
I manifestanti sono arrivati in due autobus dal nord; da Maribor, Celje, Lubiana... Gli istriani ignorano o condannano queste provocazioni, ma per indole e prudenza preferiscono non contestarli apertamente. Una signora che vive in una casa situata tra i due valichi guarda triste quelle bandiere colorite; accanto alla pantera nera carantana, simbolo degli estremisti nazionalisti, e alla bandiera slovena sventola anche quella a dodici stelle dell'Unione europea. "Che triste, ma non hanno qualcosa di più intelligente da fare?", commenta amara prima di rientrare in casa e chiudere la porta.
I manifestanti consegnano ai tanti giornalisti convenuti copie di una delibera del Tribunale circondariale di Pirano, un tribunale sloveno, che riconosce a Joško Joras il pieno diritto di rimuovere immediatamente, da solo o con l'aiuto di terzi, i vasi di fiori che la polizia croata avrebbe abusivamente collocato in territorio incontestabilmente sloveno. Ma la polizia slovena oltre il ponte non passa e non è mai passata prima e dopo la dichiarazione di indipendenza. Solo il mare del golfo di Pirano veniva controllato interamente, fin oltre Salvore, dalla polizia costiera slovena.
Eppure le autorità di Lubiana continuano ad emanare delibere, leggi e note che attestano la propria sovranità anche a sud del fiume. Le commissioni miste dei due governi hanno iniziato a negoziare sull'arbitrato o su un ricorso al Tribunale dell'Aja.
Ma lo spirito nazionalista è già da un po' che è uscito dalla fiala, e quelle terre istriane non è disposto a considerarle oggetto di contenzioso giuridico. E allora ecco il ricco ricettario offerto in pasto a un'opinione pubblica perlopiù confusa; si va dalla canna del fucile alla chiusura della frontiera di Schengen, dal veto all'entrata della Croazia nell'UE e nella Nato agli appelli al boicottaggio del turismo balneare in Croazia.
Tra i primi politici arrivati nel punto del raduno c'è il logorroico Zmago Jelinčič, il leader del Partito nazionale sloveno (SNS) che i sondaggi danno al terzo o quarto posto. Alle ultime presidenziali slovene aveva incassato il venti per cento dei voti. Voti giovani. Una sorta di Bossi sloveno, buon amico di Vladimir Žirinovski. Alla TV spiega che la Croazia è uno stato "ustascia" e che gli Sloveni, come hanno fatto spesso nella storia, dovranno probabilmente ricorrere nuovamente al fucile.
Jelinčič, attorniato dai suoi bodyguard, invita i presenti a bloccare la strada; detto, fatto. Chiedo alla polizia slovena se ciò sia compatibile con la legge e con le condizioni del permesso che hanno concesso ai manifestanti. Gli agenti guardano imbarazzati e mi consigliano di rivolgermi alla portavoce della polizia che è a Pirano. Il valico è chiuso.
Il grosso dei manifestanti arriva subito dopo sventolando le insegne dei loro movimenti ed esibendo cartelli che accusano la Croazia di occupare terre e mare sloveni. La falange sul ponte, tra canti patriottici e urla offensive all'indirizzo dei poliziotti croati , tenta l'affondo, ma la barriera, come gli spartani di Leonida alle Termopili, è irremovibile.
La testa d'ariete si arrende e ripiega su un'occupazione simbolica del ponte che mantiene il valico chiuso, in un sabato di sole con tanti turisti triestini dalla voglia di Istria e asparagi che vengono deviati verso il valico di Dragogna.
La protesta ha il permesso di sfogarsi fino alle ore 20, ma qualche decina di irriducibili continua ad occupare il ponte fino all'una di notte. Poi arrivano gli agenti delle unità speciali slovene e sgomberano il ponte riaprendo il valico. Nessun ferito, nessun contuso, ma tanto veleno versato con pianti e imprecazioni nel tranquillo fiumiciattolo istriano.
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