Per secoli Sulukule è stato il quartiere dei rom di Istanbul, poi le loro case son state distrutte per lasciar spazio a nuove costruzioni. Oggi la vivace tradizione musicale rom torna a vivere a Sulukule in un laboratorio artistico dedicato a tutti i ragazzi
“Amano il rosso, si lodano a vicenda. Sono fatti così i rom, non potrebbero vivere, morirebbero senza uno strumento musicale”. Inizia così una famosa canzone rom suonata nelle cerimonie nuziali di strada. Fino a poco tempo fa la si sentiva riecheggiare nelle case delle viuzze di Sulukule, a ridosso delle mura di Teodosio, quando le orchestre del quartiere di insediamento rom più antico del mondo facevano musica nelle “case di divertimento” e la gente ballava e suonava insieme. Altre volte, al calar della sera, quando venivano poste le sedie davanti ai portoni delle case un via vai di violini, kanun, clarinetti, ud, cümbüş attaccavano con la musica, mentre le donne e le ragazze, vestite dei colori più sgargianti, li accompagnavano con le loro danze.
Nel 2009 la musica a Sulukule è stata bruscamente interrotta. Il quartiere è stato completamente raso al suolo per consentire al piano di riqualificazione urbana della municipalità metropolitana di Istanbul di costruire su 46mila metri quadrati un complesso di case moderne, destinate a nuovi inquilini. Le famiglie rom che abitavano nella zona sono state costrette a vendere le loro proprietà (dichiarate fatiscenti) a prezzi stracciati. In cambio hanno ricevuto nuove abitazioni a Taşoluk, a quaranta chilometri da Istanbul, con tanto di mutuo agevolato per pagarne il debito.
Ma delle 337 famiglie che erano partite, quasi tutte sono tornate indietro. Hanno trovato sistemazione, ciascuno secondo le proprie possibilità, nelle zone limitrofe del loro vecchio quartiere, perché vivere in appartamenti isolati, privi del sostegno comunitario essenziale per la loro quotidianità non è stato possibile.
Un innovativo atelier artistico per ragazzi
La scomparsa di Sulukule e la disgregazione sociale che ne è seguita hanno portato con loro anche un altro rischio, quello di perdere la tradizione musicale tramandata tra i rom di generazione in generazione. Per questo motivo gli attivisti della Piattaforma di Sulukule, che fin dall’inizio del processo di demolizione nel 2006 hanno lottato per salvare il quartiere, hanno pensato di dare vita ad un laboratorio artistico rivolto ai bambini e alle bambine di Sulukule, presentando il loro progetto all’Agenzia per Istanbul Capitale Europea della Cultura 2010.
“Solo un terzo del budget che avevamo richiesto è stato accolto. Ma abbiamo deciso di accettare comunque per non vedere il nostro proposito sfumare del tutto”, spiega a Osservatorio Balcani e Caucaso Funda Oral, direttrice del progetto e attivista della Piattaforma Sulukule.
Una piccola casa rosa a tre piani, al confine nord dell’area del quartiere abbattuto, è diventata nell’agosto del 2010 la sede di questo innovativo atelier artistico frequentato da 60 ragazzi e ragazze dai 6 ai 17 anni. “Non ci sono solamente bambini rom, ci vanno anche altri ragazzi della zona”, aggiunge Şükrü Pündük, presidente dell’Associazione culturale rom di Sulukule ed altro promotore del progetto.
Tutti a studiare ritmica, danza, elementi di nota, chitarra, violino, kanun, ud, clarinetto, ma anche lettura e scrittura, inglese e da quest’anno sono previsti anche elementi di drammaturgia e cinema. “Avendo avuto modo di osservare negli ultimi cinque anni la vita culturale a Sulukule, ci siamo resi conto di quanto i rom siano naturalmente portati all’arte. I ragazzi hanno un grande interesse per la musica e molti l’hanno già imparata in famiglia, dove spesso ci sono dei musicisti, ma suonano a memoria, senza conoscere le note” aggiunge Oral.
Infatti, se gli allievi del primo livello devono ancora imparare gli elementi di base degli strumenti che hanno scelto, ascoltare quelli del secondo, durante una lezione, è estremamente piacevole, visto che ci si trova di fronte a degli abili esecutori che vengono seguiti anche da maestri della musica rom del calibro di Yaşar Akpençe.
La formula che unisce un ambiente piccolo ed accogliente ad un metodo didattico elastico, si è rivelata fondamentale per i docenti di musica turca del conservatorio dell’Università Tecnica di Istanbul (İTÜ) che insegnano al laboratorio. Aykut Büyükçınar, docente di violino, proviene lui stesso da una famiglia rom. Per esserci passato personalmente, conosce bene le tendenze e i problemi dei suoi studenti.
“È un dato di fatto”, dice Büyükçınar, “noi abbiamo difficoltà a stare negli schemi”. Come fare allora a non reprimere la vena naturale dei bambini insegnando loro anche le regole? “Lasciarli liberi di suonare quello che vogliono e insegnare loro le note sulla base dei pezzi che preferiscono. Applicare un nuovo sistema basato su una comunicazione diretta e informale che permetta di coniugare l’insegnamento accademico con quello tramandato dalla famiglia”, ci spiega.
Non solo musica
Il laboratorio però non funge solo da scuola di musica. Secondo Funda Oral, che l’anno scorso ha dedicato tutto il suo tempo per tenere in piedi il progetto, “la musica serve ai ragazzi per tenere testa ai problemi della vita. Ma per poter essere forti nella società devono avere anche un’istruzione”. Scopo della scuola è anche quello di aiutarli ad accedere alle scuole d’arte e ai conservatori, un proposito che richiede un grande impegno da parte dei docenti del laboratorio, vista la scarsa scolarizzazione dei bambini. E per questo che Oral e Şükrü Pündük stanno cercando di organizzare anche dei corsi da privatisti per loro.
“Qui ci si sposa, si diventa adulti già a 15 anni”, spiega Oral. “A scuola i ragazzi spesso vengono bocciati durante l’anno per le numerose assenze. La metà circa abbandona la scuola dopo la terza elementare. L’altra metà continua a stento fino alla conclusione della terza media. Solo due giovani nel quartiere frequentano l’università”. Ma, aggiunge: “L’esperienza che abbiamo avuto ci ha dimostrato che attraverso l’arte è possibile avvicinare i ragazzi all’istruzione. In realtà la Convenzione sui diritti dell’infanzia delle Nazioni Unite prevede che i bambini ricevano un’istruzione in considerazione dei loro talenti, ma è un punto che viene spesso dimenticato. In più abbiamo un altro problema: non sappiamo dove indirizzare i ragazzi, dato che in tutta Istanbul c’è un solo liceo artistico”.
I costi di mantenimento del laboratorio artistico sono molto bassi – volendo, se ne potrebbe aprire uno ogni tre vie – propone l’attivista. Si parla di 600 lire turche d’affitto al mese (circa 240 euro) e un piccolo stipendio per gli insegnanti. Ma c’è da integrare il numero degli strumenti musicali. Per alcuni bambini la carta, i pennarelli, i quaderni e i libri sono un lusso incontrato per la prima volta al laboratorio. Fortunatamente, all’inizio dello scorso agosto, proprio quando i soldi a disposizione del progetto erano esauriti, una fondazione ha deciso di finanziarlo per altri 6 mesi.
Un sostegno che i ragazzi del laboratorio si sono guadagnati suonando da soli per quindici minuti all’interno del concerto dell’orchestra giovanile venezuelana Simón Bolivar tenuto lo scorso agosto in Piazza Galata a Istanbul. Prima dell’evento, alcuni membri dell’orchestra, figlia del programma el Sistema Nacional de las Orquestas Juveniles e Infantiles de Venezuela ideato da José Antonio Abreu che in quasi quarant’anni ha trasformato mezzo milione di giovani venezuelani socialmente a rischio in musicisti, sono venuti ad ascoltare un saggio dei ragazzi di Sulukule per decidere sulla loro partecipazione al concerto e l’impressione è stata ottima.
Dopo il concerto Abreu ha fatto i complimenti ai giovani esecutori rom e delle promesse su una futura cooperazione musicale tra la Turchia e il Venezuela. Ma di fronte ad un’improbabile eventualità che lo Stato venezuelano finanzi anche il laboratorio artistico di Sulukule, sta alle amministrazioni turche capire l’importanza di iniziative come questa, investire meno nei centri commerciali e sostenere la crescita della cultura dei suoi giovani.
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