Il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa ha diffuso un nuovo rapporto sulla situazione in Ucraina. Emerge un quadro drammatico. Ora che gli scontri armati sono cessati, è la vita quotidiana a uccidere
Ci sono voluti almeno tre cessate il fuoco per mettere davvero a tacere le armi nell’est dell’Ucraina. L’ultima tregua, entrata in vigore l’1 settembre scorso, sembra essere finalmente quella definitiva. Al ritiro dell’artiglieria pesante dalla fascia demilitarizzata, è seguito quello delle armi leggere. Di fatto non si spara più lungo la linea di frizione. E gli zero nei bollettini quotidiani delle vittime parlano chiaro. Per la popolazione delle zone di guerra è una benedizione. Ma sono ora altri, giganteschi, i problemi che affiorano.
Il 3 novembre il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muižnieks ha diffuso un rapporto dettagliato sull’Ucraina. L’ultimo, in ordine di tempo, di una serie di relazioni compilate dai principali organismi umanitari internazionali. Il quadro desolante tracciato racconta di 1,3 milioni di ucraini che non hanno accesso all’acqua potabile, di un sistema sanitario disintegrato, di mancanza di cure e medicinali per malati gravi, di un aumento dei malati di Aids, e di 1,5 milioni di sfollati interni con gravi limitazioni della libertà di movimento.
Senz’acqua
La mancanza di acqua pulita colpisce quasi la metà dei residenti nelle zone controllate dai separatisti filorussi, le cosiddette repubbliche di Donetsk e Luhansk. Acquedotti danneggiati dalla guerra o dalla totale mancanza di manutenzione, pompe che funzionano a singhiozzo per i frequenti blackout e difficoltà di accesso alla rete a causa di campi minati e ordigni inesplosi, rendono l’acqua potabile un lusso disponibile quasi esclusivamente nelle principali città. I numerosi villaggi, sparsi per la pianura del Donbass, vivono la situazione peggiore.
Un recente studio della Missione speciale di osservazione in Ucraina (SMM) dell’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, ha rivelato un alto rischio sanitario, con un aumento delle malattie legate all’uso di acqua contaminata, anche per il discontinuo uso di cloro e disinfettanti nella rete idrica. È chiaro che sono i soggetti più vulnerabili a risentirne maggiormente, come i bambini e i malati.
Esecuzioni sommarie e torture
L’allarme per le condizioni di vita di gran parte della popolazione del Donbass si scontra con la difficoltà per gli osservatori internazionali e per le organizzazioni anche non governative di operare su un territorio controllato da autorità non riconosciute, spesso senza chiare gerarchie e un'unica catena di comando. Molte volte, miliziani armati impediscono l’accesso degli operatori internazionali alle zone interessate. E il fondato sospetto è che dietro la mancanza di collaborazione dei separatisti ci sia l’esigenza di nascondere gravi violazioni dei diritti umani.
L’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni unite (OHCHR) ha diffuso a settembre un rapporto inquietante. “Abbiamo avuto notizie di omicidi, rapimenti, torture, maltrattamenti, violenze sessuali, lavori forzati ed estorsioni di denaro nelle repubbliche di Donetsk e Luhansk”, ha detto Gianni Magazzeni, direttore del settore Americhe, Europa e Asia dell’OHCRH. “Si stima che siano tre milioni le persone che continuano ad abitare in questi territori. Tre milioni di persone che vivono senza alcuna tutela dei diritti umani”.
Ospedali distrutti
Il Donbass esce da più di un anno di guerra combattuta tra le periferie delle città, nei villaggi, tra case di legno e condomini prefabbricati di epoca sovietica. Gran parte delle 8mila vittime sono civili. Colpi di obice e mortaio hanno crivellato una delle aree più densamente popolate dell’Ucraina. Innumerevoli sono state le abitazioni colpite. Ma non sono stati risparmiati nemmeno asili, scuole e ospedali.
Secondo il rapporto dell’OHCHR, qualcosa come 150 strutture sanitarie sono state distrutte dai bombardamenti indiscriminati. Ospedali e mezzi di soccorso, chiaramente indicati e riconoscibili, sono stati bersagliati dall’artiglieria. Il governo di Kiev ha da un anno sospeso ogni finanziamento e fornitura di attrezzature e medicinali agli ospedali nelle aree fuori dal proprio controllo. Passata l’emergenza dei feriti in guerra, gli ospedali di Donetsk e Luhansk continuano la loro attività cercando di far fronte alla mancanza di attrezzature e medicinali – soprattutto per terapie specialistiche, come antiretrovirali, insulina, cure per la tubercolosi e attrezzature per la dialisi – grazie agli aiuti delle organizzazioni umanitarie.
Ma la situazione è persino più grave per i malati non ricoverati, per gli anziani e i disabili che hanno difficoltà a raggiungere gli ospedali, e per chi vive nei villaggi lontano da Donetsk e Luhansk.
Mine antiuomo
Chi è sul territorio queste cose le sa bene. Evgenij Shibalov è uno dei fondatori di Cittadini responsabili (Otvestvennje grazhdane), un’organizzazione umanitaria formata da volontari tutti di Donetsk nata durante la guerra. Per mesi, è toccato a loro fare il lavoro sporco. “Le grandi organizzazioni non vogliono correre rischi”, ha raccontato a OBC “quando si sparava ogni giorno eravamo gli unici a raggiungere le zone sotto i colpi dell’artiglieria per distribuire medicine e cibo a chi ne aveva bisogno”. Evgenij e i suoi ogni mattina raccoglievano gli aiuti nelle sedi delle organizzazioni internazionali e li portavano fin sulla prima linea, nei quartieri sotto il fuoco incrociato delle parti in guerra, nei villaggi remoti. Anche adesso che il pericolo non sono più mortai e obici ma ordigni inesplosi e campi minati, nessuno come loro raggiunge in modo capillare le zone più remote.
Ma non basta. La carenza di medicine per cure specialistiche espone i malati e i loro familiari a un duplice rischio. A quello di un’interruzione della cura di malattie gravi, come per esempio l’Aids, si aggiunge il pericolo di andare a procurarsi i medicinali nei territori controllati dal governo, dove sono disponibili. Chi lo fa, spesso preferisce evitare i checkpoint militari e passare per strade secondarie o per i boschi, dove è altissima la possibilità di inciampare in un ordigno inesploso o una mina. Secondo gli ultimi dati disponibili, era questa la causa di almeno un quarto delle vittime nel periodo febbraio-agosto. E ora che le armi non sparano più è con tutta probabilità la principale. “Il numero delle vittime civili da mine e ordigni inesplosi resta alto”, ha dichiarato recentemente l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Raad al-Hussein.
Gruppi armati
A preoccupare, però, non sono solo le condizioni degli abitanti delle zone sotto controllo dei separatisti. “Abbiamo raccolto orribili testimonianze di esecuzioni sommarie compiute da gruppi armati, ma anche dall’esercito ucraino”, ha reso noto Raad al-Hussein. “Così come torture e maltrattamenti in detenzione, sia da parte di gruppi armati che della polizia ucraina”.
Anche al di fuori delle aree separatiste esiste una zona grigia per i diritti umani. L’intera regione dell’est sottoposta alle azioni militari di Kiev resta ancora in gran parte soggetta a una labilità del diritto. La Missione di monitoraggio dei diritti umani Onu in Ucraina (HRMMU) denuncia senza mezzi termini l’inattività delle autorità ucraine nell’indagare e punire i numerosissimi casi di torture e violenze commesse dalle forze armate o dai battaglioni paramilitari nella zona di operazioni militari (Ato). Segno che la strada verso una pacificazione del paese richiede uno sforzo maggiore non solo da parte dei leader separatisti ma anche da parte delle autorità di Kiev.
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