La legge approvata la scorsa settimana dalla Verkhovna Rada, il parlamento ucraino, sulla messa al bando dei simboli del nazismo e del comunismo ha sollevato reazioni discordanti. La mossa di Kiev in ogni caso lascia aperti molti interrogativi

16/04/2015 -  Danilo Elia

Il commento più netto sulla nuova legge che condanna i crimini e vieta i simboli del comunismo assieme a quelli del nazismo è arrivata direttamente dal centro Wiesenthal. “Questi tentativi di riscrivere la storia, che sono molto comuni tra i paesi postcomunisti dell’Europa orientale, non possono cancellare i crimini commessi dai collaborazionisti in quei paesi e dimostrano soltanto la mancanza di quei valori occidentali che dichiarano di aver fatto propri nel passaggio alla democrazia”, ha dichiarato lo storico Efraim Zuroff, direttore per l’Europa orientale del centro ebraico.

Lo stesso giorno dell'approvazione della legge che equipara nazismo e comunismo ne è stata approvata un'altra che ha sollecitato la ferma reazione del centro Wiesenthal, quella che ha riconosciuto come eroi nazionali i membri dell’Upa di Stepan Bandera. “La decisione di onorare i collaborazionisti ucraini dei nazisti”, ha continuato Zuroff, “trasforma gli aiutanti di Hitler in eroi, nonostante la loro attiva e zelante partecipazione agli omicidi di massa di ebrei innocenti”. Parole durissime per una bocciatura netta.

Dall’altro lato, si è fatto sentire anche il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. In un comunicato riportato dall’agenzia di stampa Tass, ha detto che “le autorità di Kiev stanno cercando di cancellare la memoria di milioni di ucraini. Nei fatti si tratta di una censura del pensiero politico per conformarsi alle distorte nozioni di Bene e Male propugnate dalle autorità ucraine. Nascondendosi dietro la retorica dei diritti civili e delle libertà, il parlamento ucraino ha varato un atto che limita le libertà di pensiero ed espressione”.

Mentre, secondo il commissario per i Diritti umani presso il ministero degli Esteri russo, Konstantin Dolgov, gli ucraini “falsificano sfacciatamente la storia, gettando un’ombra sulla grande vittoria del popolo sovietico contro il nazismo”. Insomma, tutti scontenti.

Uno strafalcione storico

Ma cosa dice esattamente la legge 2558 “Sulla condanna dei regimi totalitari nazista e comunista in Ucraina e sul divieto della diffusione dei loro simboli”? In un lunghissimo elenco, che va dai partiti politici alle bandiere, dai nomi di piazze e strade a monumenti e memoriali, e perfino all’inno sovietico, è condensato il significato di “propaganda” e di “simboli” messi al bando in Ucraina. Tutto il testo della legge contempla come criminali, senza fare alcuna distinzione, l’occupazione nazista dell’Ucraina durante la Seconda guerra mondiale e l’intero periodo sovietico, in cui il paese faceva parte dell’Urss, vale a dire dal 1917 al 1991.

Nessuna distinzione tra Purghe, post stalinismo, perestrojka. Nessun riferimento ai collaborazionisti ucraini, a Stepan Bandera. I termini “nazismo” e “comunismo” possono essere scambiati in ogni punto della norma, senza che il senso cambi e, anzi, ritornano in ogni articolo come fossero la stessa cosa. È questo che ha fatto parlare molti di “equiparazione” dei due regimi come di uno strafalcione storico.

“La messa al bando di nazismo e comunismo”, ha commentato sempre Zuroff, “mette sullo stesso piano il regime responsabile del più grande genocidio della storia umana con quello che ha liberato Auschwitz, aiutando a porre fine al regno del terrore del Terzo reich”.

Una storia comune

Quello ucraino non è l’unico caso di questo tipo tra i paesi ex sovietici. La Lettonia, per esempio, ha varato una legge simile nel 2013, mentre la Lituania l’aveva già fatto nel 2008, non preoccupandosi però poi di glorificare come eroe nazionale il più grande collaborazionista dei nazisti, Juozas Ambrazevičius-Brazaitis. Un intervento che, col senno di poi, si è rivelato più elemento di divisione che di unità della società civile. Intanto, nel 2010 una cordata sempre a guida lituana e composta da Lettonia, Bulgaria, Ungheria, Romania e Repubblica ceca, cercò di ottenere che l’Europa intera trattasse “i crimini del nazifascismo e quelli del comunismo con gli stesi standard”, come scritto in un documento comune. La proposta fu rigettata dalla Commissione europea.

Nel caso dell’Ucraina, però, condannare contestualmente comunismo e nazismo assume un significato politico che va oltre i confini nazionali e sembra lanciare anche un duplice messaggio a Mosca. Per un verso - quello che riguarda il passato sovietico - l’Ucraina tocca argomenti ancora molto sensibili in Russia, dove il revival della grandezza dell’Urss è uno degli strumenti principali della propaganda a sostegno delle mosse di Putin sullo scacchiere internazionale. Il che spiega le parole di Lavrov.

Per l’altro, quello che tocca la condanna del nazifascismo, sembra rispondere alla tesi del Cremlino, secondo cui Kiev sarebbe nelle mani di una giunta golpista neonazista che minaccia i russi d’Ucraina e ha giustificato l’intervento in Crimea nonché l’appoggio ai separatisti dell’Est. Il che spiega le parole di Dolgov

Un elemento di divisione in più

D’altro canto, non è nemmeno la prima volta che la politica ucraina cerca di mettere mano alla storia, e i risultati sono stati più che discutibili. È già successo nel 2010, quando l’allora presidente Viktor Jušenko insignì del titolo di eroe nazionale il controverso capo partigiano Stepan Bandera, onorificenza criticata dal Parlamento europeo e revocata appena un anno dopo dal nuovo presidente, Viktor Janukovič.

Nel caso di oggi, è forse riduttivo dire che una legge così solleva molti interrogativi. Sull’opportunità di intervenire con un provvedimento così drastico su un tema che tocca il vissuto di molti ucraini, sulla possibilità che i suoi effetti producano ulteriori divisioni e inaspriscano ulteriormente lo scontro tra le due anime del Paese, ma anche sulla sua applicazione pratica. Tecnicamente, da oggi migliaia di monumenti, memoriali, statue, iscrizioni, strade, piazze e persino intere città sono “illegali”. Che succederà alle statue di Lenin sparse per l’Ucraina? E alle migliaia di falci e martello disseminate ovunque? E ai memoriali dedicati ai caduti della Seconda guerra mondiale? E, cosa più importante, alla memoria di molti ucraini che non può essere cambiata a colpi di leggi? Fino a un anno fa, per esempio, ai piedi della grande statua di Lenin di Dnipropetrovsk c’erano sempre fiori freschi. La statua non c’è più e la via su cui sorgeva, stando alla legge, dovrà cambiare nome. Cosa faranno quelle mani che posavano fiori?

E' certamente arrivato il momento per l’Ucraina di chiudere la pagina del Ventesimo secolo e superare definitivamente il periodo di transizione post sovietica. Ma perché ciò avvenga non basta una legge, serve una vera maturazione della società civile.


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