Protesta di fronte al parlamento di Atene - © Giannis Papanikos/Shutterstock

Protesta di fronte al parlamento di Atene - © Giannis Papanikos/Shutterstock

Cambiamenti climatici, costi di produzione alti, deficienze della Politica agricola comune europea (Pac): questi i mali del settore agricolo in Grecia, che rischiano di essere fatali per il tessuto sociale delle aree rurali e i produttori più piccoli, che sono scesi in piazza

14/05/2024 -  Dina Daskalopoulou Atene

[Questo articolo è stato originariamente pubblicato da EFSYN   nell'ambito del progetto PULSE  e prodotto con la collaborazione di: Michał Kokot (Gazeta Wyborcza, Polonia), Guillmero Cid (El Confidencial, Spagna), Dragomir Nikolov (Mediapool, Bulgaria), Petr Jedlička (Deník Referendum, Repubblica Ceca)]

Il 20 febbraio scorso la consueta espressione imperturbabile degli euzoni della guardia presidenziale è stata messa a dura prova. D’altronde non capita tutti i giorni di veder sfilare duecento trattori dai clacson indemoniati, accompagnati da duemila contadini armati di bastoni da pastore. Mentre i turisti, divertiti, immortalavano la scena pubblicandola sui loro profili online, gli ateniesi scattavano allegramente selfie con gli agricoltori, e non soltanto per sottolineare l’aspetto paradossale della vicenda. La protesta degli agricoltori, infatti, è stata accolta in modo insolitamente favorevolmente dalla società, come confermano diversi sondaggi. Ma cosa pensano gli agricoltori della propria battaglia, a un mese di distanza da quando è sembrato calare il sipario sulla mobilitazione?

Gli agricoltori hanno cominciato a ribellarsi all’inizio di dicembre, chiedendo alle autorità di risolvere i loro problemi cronici e di rompere l’impasse creata dalla Politica agricola comune dell’Unione europea (Pac).

Socratis Aliftiras, 43 anni, è il portavoce della Federazione delle associazioni agricole di Larissa. Nonostante abbia studiato economia all’università, ha deciso di dedicarsi alla terra e oggi coltiva cotone, grano e mais. “Il settore primario è in grande difficoltà. Non è una questione di mancanza di liquidi come sostiene il governo. È una decisione politica”.

Aliftiras sostiene che gli agricoltori non abbiano ricevuto alcun aiuto, fatta eccezione per un piccolo sussidio per l’acquisto del carburante (ma il denaro basta per un solo pieno) e per uno sconto sull’elettricità, il cui prezzo è però sceso in ogni caso.

I mali che affliggono da tempo l’agricoltura greca sono rimasti inalterati. I costi di produzione restano alti, mentre la Politica agricola comune è un labirinto burocratico. “Nel 2022 coltivare una stremma [circa 1000 m2] di cotone costava 250 euro, mentre nel 2023 la cifra è salita a 280 euro. Nel 2022 il cotone veniva venduto a 0,72 centesimi al chilo, mentre nel 2023 siamo scesi a 0,52 centesimi. Inoltre sta per partire la trattativa sulla Pac. Le nuove regole saranno molto difficili da applicare in Grecia, anche se i sussidi dovessero restare inalterati”.

Christos Ligdis, 36 anni, è il presidente dell’Associazione agricola di Atalanti e della Federazione delle associazioni agricole della Ftiotide. Agricoltore e allevatore, Lidgis lavora nella fattoria di famiglia da quando aveva sette anni. “Viviamo peggio dei nostri nonni. Prima di tutto siamo molto più stressati, perché i costi finanziari sono aumentati e gli introiti sono diminuiti. Inoltre non ci sono più le strutture sanitarie che avevamo in passato. I nostri figli non hanno la possibilità di crescere bene”, si rammarica Ligdis, che tuttavia mantiene l’ottimismo.

“Ogni battaglia è una vittoria. Il governo ha fatto alcune concessioni grazie alla nostra pressione. Siamo riusciti a organizzarci molto bene. La gente è scesa in piazza con noi e abbiamo posto le basi per unire il movimento contadino. Abbiamo anche stretto legami con altri lavoratori, che naturalmente sanno benissimo quale è l’impatto sulle loro vite dei nostri prodotti e del loro prezzo. Nel corso del nostro viaggio per portare la protesta nella capitale – da Kavala, nel nord, fino a piazza Omonia, nel cuore di Atene – abbiamo incontrato persone che piangevano alla vista dei trattori. Abbiamo sentito che la società è dalla nostra parte”.

Salis Drakopoulos, 45enne di Ilia, ha una visione diametralmente opposta. “Non abbiamo ottenuto niente. Dopo le grandi manifestazioni ad Atene ci siamo semplicemente fermati, mentre avremmo dovuto continuare. Nel settore agricolo ormai i giovani sono pochi. Nessuno vuole lavorare la terra, anche perché è difficile sopravvivere con questi guadagni. Mi pento di aver scelto questo lavoro. Siamo tutti intrappolati, non credo che ci possano essere miglioramenti. Le scelte politiche puntano a distruggere i piccoli e medi agricoltori per consegnare definitivamente il mercato alle grandi aziende”.

Ligdis concorda con quest’ultima analisi. “La Pac riduce i nostri introiti. La politica voluta da Bruxelles non aiuta gli agricoltori greci. Al contrario, da decenni produce un calo della popolazione rurale. Il risultato è che i piccoli produttori sono stati estromessi per primi, mentre ora è il turno dei produttori medi. Il mio terreno non è più redditizio e lo stesso vale per quello del mio vicino. Il valore dei terreni continuerà a ridursi e le grandi aziende li compreranno per produrre birra. Ma noi non abbiamo intenzione di farci portare via le nostre terre”. 

Il 24 aprile il Parlamento europeo ha adottato una proposta della Commissione speciale per l’agricoltura che prevede tre importanti modifiche alla Politica agricola comune: nel 2024 sarà possibile richiedere un sostegno da parte dell’Europa facendo riferimento al cambiamento delle “condizioni” ambientali, ma anche ottenere maggiori esenzioni dal rispetto di alcuni standard in caso di condizioni climatiche estreme. Infine le piccole aziende agricole non dovranno sottostare ai controlli e alle sanzioni in caso di mancato rispetto di alcune regole. 

Il ministro dello Sviluppo rurale e dell’Alimentazione Lefteris Avgenakis ha parlato di una “tripla vittoria”: per gli agricoltori europei, le cui richieste di una riduzione dei carichi amministrativi sono state sostanzialmente accolte; per la Grecia, che “guida la battaglia per il cambiamento”; e infine per “l’Europa, che dimostra di essere capace di ascoltare i cittadini e le loro preoccupazioni, correggendo i propri errori”. 

Lunedì, in occasione del Consiglio dei ministri dell’agricoltura e della pesca, il governo greco (rappresentato da Avgenakis) e i ministri di altri otto paesi dell’Unione che compongono l’Iniziativa dei paesi dell’Europa meridionale (EUMED-9), hanno affrontato le questioni rimaste irrisolte dopo l’ultima revisione della Pac: la protezione degli agricoltori europei dalla concorrenza sleale di paesi terzi, l’assegnazione del 2 per cento del budget della Pac per contrastare la crisi climatica (in base alla volontà del paese coinvolto), la possibilità di trasferire le risorse tra i programmi ecologici (Pilastro I) e le misure agro-ambientali (Pilastro III) e la reintroduzione della regola N+3, ovvero la possibilità di incassare i fondi della Pac fino a tre anni dopo il periodo inizialmente concordato, una modifica che neutralizzerebbe il rischio di perdere i fondi a causa di investimenti incompleti. Al momento non è garantito che le proposte verranno sostenute dagli altri 18 stati europei.

Gli agricoltori greci devono affrontare una crisi climatica che si abbatte in modo particolarmente violento sull’Europa meridionale e ha già influito negativamente sulla produzione agricola in Grecia e in tutta la regione mediterranea. L’agronoma Dora Kanellopoulou, 41 anni, porta un esempio tipico che riguarda gli ulivi e l’olio d’oliva: “Nel 2023 si è verificato un calo di circa il 40 per cento nella produzione di olio d’oliva nell’Unione europea e del 47 per cento in Grecia. Le previsioni per il 2024 sono tutt’altro che ottimistiche. L’incremento delle temperature, infatti, sta avendo un impatto deleterio in diverse fasi della coltivazione. La situazione è aggravata dal forte calo delle precipitazioni, perché la maggioranza degli uliveti non ha un sistema d’irrigazione.

A livello sia europeo che nazionale le conseguenze sono prima di tutto economiche, ma non solo. Anche lo sviluppo rurale e la coesione sociale potrebbero subire gli effetti della crisi. L’aumento dei prezzi dovuto al calo della produzione porta alla sostituzione dell’olio d’oliva (che ha note proprietà benefiche) con oli inferiori, con tutto ciò che questo comporta per la salute dei consumatori. La crisi climatica è innegabile. Dobbiamo reagire collettivamente per mitigarne gli effetti e affrontarne le cause”. 

 

Questo articolo è stato prodotto nell'ambito di PULSE, un'iniziativa europea coordinata da OBCT che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali.


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