La Serbia dovrebbe sfruttare l’opportunità del parere della Corte internazionale di giustizia sul Kosovo per migliorare la sua posizione verso l’Ue e per favorire il processo di allargamento. È l'opinione di Antonella Valmorbida, direttore di ALDA. Riceviamo e pubblichiamo
La decisione della Corte Internazionale di Giustizia di considerare legittima l’indipendenza del Kosovo potrebbe essere un’opportunità per la Serbia, al fine di negoziare alle migliori condizioni il suo ingresso all’Unione Europea. La decisione della Corte non è vincolante ma rappresenta, tuttavia, un elemento importante che non può essere scartato solo perché il risultato della consultazione non è quello sperato. Gli abitanti del Kosovo, di origine albanese (ossia il 90% della popolazione) hanno celebrato un altro “giorno dell’indipendenza” quel 22 luglio. E adesso considerano questo un passo avanti verso la stabilizzazione del proprio paese.
La palla passa adesso nel campo della Serbia. Nel riconoscere l’indipendenza del Kosovo – per quanto dolorosa possa essere – il governo serbo potrebbe presentare oggi una lunga lista di richieste ai leader europei nel percorso di avvicinamento all’UE, con scadenze, sostegni e accordi su tanti fronti. L’Unione Europea è cosciente che l’integrazione dei Balcani in Europa non potrà essere completa senza la Serbia. Gli argomenti della Corte potrebbero essere usati dai politici locali e nazionali che si oppongono a qualsiasi discussione, oggi, sullo statuto del Kosovo.
Grazie a quest’ipotetico riconoscimento del Kosovo, il governo della Serbia non aiuterebbe solo il processo di allargamento dell’Unione nella regione ma aiuterebbe l’UE in una delle sue grandi divisioni interne, tra coloro che hanno riconosciuto il Kosovo e quelli che non l’hanno ancora fatto. Anche quest’aiuto all’unità potrebbe essere opportunamente negoziato. Paesi come Spagna e Romania riconosceranno con grande difficoltà l’indipendenza del Kosovo – vista la loro situazione interna. Ma se il paese “leso”, la Serbia in questo caso, dovesse fare il passo, perché loro dovrebbero restare sulla loro decisione? Il processo così prospettato porterebbe ad un piano di medio periodo verso l’integrazione della regione nell’allargamento europeo e perciò le divisioni di frontiera si “dissolverebbero” in un concetto di Unione oltre i confini.
Ma se la Serbia non dovesse riconoscere l’indipendenza del Kosovo per motivi interni, questo – oggi come oggi – non bloccherebbe il processo di creazione di uno stato separato. Questa dinamica non è in fase di arresto, anzi. La fine del progetto non è del tutto precisa ma il percorso non sembra subire interruzioni. Un Kosovo gestito dalla Serbia è una prospettiva reale oggi? È difficile pensarlo. Nel rifiuto assoluto di collaborare, la Serbia potrebbe perdere un’opportunità e rimanere, dopo un certo periodo con una situazione che preveda: a) un Kosovo indipendente e staccato dalla Serbia b) una mancata negoziazione con l’UE e un percorso più difficile di ripresa. Può l’idea di un’amicizia con la Russia o altri alleati dell’ex blocco orientale fare la differenza? La Serbia è uno Stato europeo, e non potrà scappare al proprio destino, che è in Europa.
La questione delle “enclave” – che non hanno futuro dopo dieci anni di esistenza – e del Nord del Kosovo, dove vive una maggioranza di abitanti di origine serba, rimane un elemento importante. Un accordo specifico, in un contesto di riconoscimento politico del Kosovo potrebbe essere identificato. Malgrado i problemi che ci sono stati, gli accordi di Ohrid per l’ex Repubblica di Macedonia potrebbero dare utili indicazioni.
Il timore di aprire un “vaso di Pandora” da dove uscirebbero tutte le richieste di indipendenza negli Stati europei e oltre è giustificato. Ma ogni situazione va vista da prospettive politiche e sociali diverse, caso per caso. Ed è quello che ovviamente hanno considerato i giudici della Corte internazionale.
* Direttore dell’ALDA, www.alda-europe.eu
(l’articolo non riflette la posizione ufficiale dell’ALDA)
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