Si è votato nel giugno 2009. Ma il parlamento albanese è ancora paralizzato. I socialisti intendono boicottarne i lavori sino a quando non si riconteggeranno i voti, Berisha non ne vuol sentir parlare. E adesso arrivano gli internazionali

08/02/2010 -  Marjola Rukaj

A distanza di sei mesi dalle elezioni dello scorso 28 giugno, la scena politica in Albania è rimasta paralizzata tra le infinite polemiche sullo spoglio elettorale. Le elezioni che hanno riconfermato al governo la formazione del premier Berisha, con cui si è alleato Ilir Meta e il suo partito di sinistra LSI, non sono state ancora riconosciute come legittime dall'opposizione guidata dal socialista Edi Rama, che si rifiuta di entrare in parlamento finché non saranno ricontati i voti di alcune urne contese. Ma il premier nega l'esistenza di brogli ed esclude il riconteggio dei voti. Il forte contrasto - e l'intransigenza reciproca dei due poli - ha bloccato del tutto l'attività politica nel paese, mentre i media sono diventati un'arena che trasmette l'incessante disputa in tempo reale.

L'opposizione ha intrapreso una serie di manifestazioni nelle piazze delle principali città albanesi, annunciando una sempre maggiore resistenza al governo Berisha. A sua volta il premier ha controbattuto con una massiccia manifestazione in piazza Skanderbeg a Tirana e una vera e propria campagna di diffamazione personale contro il leader del PS, Edi Rama, che gli albanesi hanno potuto seguire in diretta dall'aula del Kuvend, il parlamento albanese. Il boicottaggio da parte dei socialisti è stato definito da Berisha "antidemocratico e illegittimo, intento solo a contestare il potere della destra eletta dagli albanesi," e il premier non ha esitato ad aggiungere "un atteggiamento che porta sfortuna" alludendo alla possibilità che un'escalation della crisi potrebbe portare a un secondo '97, anno in cui l'Albania precipitò in una grave crisi politica e di sicurezza in seguito al fallimento delle società piramidali.

Come di solito avviene nel discorso politico in Albania, anche in quest'occasione la diffamazione personale dell'avversario ha preso il posto del dialogo costruttivo. Nel mirino del premier la vita privata di Edi Rama, definita come immorale, secondo dei canoni tradizionalisti della morale familiare e clanica da tempo superati nell'Albania urbana. Non sono mancati neanche le allusioni all'ottima posizione sociale della famiglia del leader dei socialisti durante il regime di Hoxha. Le parole del premier gli sono valse una denuncia per diffamazione da parte della madre di Edi Rama, Aneta Rama. Sino ad ora però non si è mai verificata l'apertura di un processo giudiziario contro Berisha per diffamazione.

Negli ultimi giorni di dicembre la crisi albanese ha finalmente attirato l'attenzione degli internazionali. Tralo stupore degli intellettuali albanesi, che vedono nella figura dei diplomatici internazionali un arbitro assoluto e imparziale, la loro reazione è giunta con enorme ritardo, mentre per dei lunghi mesi le uniche parole confortanti erano gli inviti al dialogo e al rispetto della democrazia. In una risoluzione dell'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa si è invitato le parti a risolvere la situazione politica, definita esplicitamente quale "crisi politica", a pena di mettere a repentaglio il progresso del paese nell'integrazione europea.

Nel testo si fa chiaramente appello al Presidente della Repubblica, Bamir Topi, ad assumersi il ruolo del mediatore tra le parti. Il presidente Topi ha già iniziato a organizzare dei colloqui i cui contenuti non sono stati divulgati sui media, con ciascuno dei leader politici in causa. Ma in molti dubitano della sua capacità di risolvere la crisi, data la scarsa importanza che è riuscito ad avere finora nella gestione dei rapporti conflittuali tra i poteri. Sembrano poco convinti anche i diplomatici del Consiglio d'Europa, che prevedono la formazione di una commissione di osservatori che dovrebbe visitare l'Albania il 22 febbraio prossimo, per affiancare il presidente Topi nella soluzione della crisi.

Gli analisti di Tirana hanno commentato con preoccupazione l'intervento internazionale per la soluzione di un problema di politica interna. "Siamo tornati indietro ai tempi della crisi del '97, e alla missione Vranitzky", hanno commentato a più riprese gli analisti nei talk-show di Tirana.

La crisi istituzionale ha fatto dell'Albania un paese ingovernabile, in una difficile situazione economica. La conflittualità si è tradotta in un conflitto tra il potere centrale e quello locale, il primo in mano alla destra e il secondo detenuto nella maggior parte del territorio dalla sinistra. Sei mesi dopo le elezioni dello scorso 28 giugno, l'Albania è un paese paralizzato con un parlamento costituito esclusivamente dai parlamentari del PD di Berisha e dei suoi alleati.

A fronte del boicottaggio del Partito socialista di Rama, il premier Berisha ha a più riprese minacciato il PS che se i parlamentari socialisti non fossero rientrati in Parlamento entro il 5 marzo avrebbero perso i loro mandati. Su tale affermazione si è animato un forte dibattito, mentre risulta difficile individuare la fonte giuridica che la possa legittimare.

Dopo l'intervento del Consiglio d'Europa, il premier sembra perdere terreno, dichiarandosi aperto alla possibilità di indagare sulla legittimità del risultato delle ultime elezioni, però escludendo l'apertura delle urne contese. D'altro canto Edi Rama rimane intransigente nelle sue richieste di ricontare i voti.

Non poco scalpore ha suscitato tra l'altro l'inaspettata proposta del premier di istituire una commissione parlamentare che indaghi in merito al risultato delle elezioni. Rimane difficile prevedere scenari futuri. Sempre più spesso si vocifera di un possibile governo tecnico che possa portare il paese a nuove elezioni. Intanto, come negli anni '90, spetta alle missioni internazionali l'ultima parola nella soluzione della crisi.


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