In Georgia, uno dei leader della nuova coalizione di opposizione, punta al municipio della capitale Tbilisi. Possibile primo passo verso l'alternativa a Saakashvili alle presidenziali del 2013. Alla vigilia del primo test elettorale dopo la guerra dell'agosto 2008, una nostra intervista a Irakli Alasania
E’ probabilmente il solo politico georgiano rispettato dagli abkhazi e dagli osseti del sud.
Irakli Alasania, 35 anni, nell’arena politica già da anni, ha contatti globali ed è ben visto dall’amministrazione Obama, che lo considera la possibile nuova carta su cui puntare per la successione al controverso presidente attuale, Mikheil Saakashvili.
A luglio 2009 Alasania, già ambasciatore georgiano alle Nazioni Unite ed ex presidente del governo abkhazo in esilio a Tbilisi, ha fondato un proprio partito politico ‘Nostra Georgia – Liberi democratici”, nell’ambito delle forze di opposizione anti- Saakashvili riunite in ‘Alleanza per la Georgia’.
Ora corre per l’elezione a sindaco della capitale, nel voto del prossimo 30 maggio, una scadenza politica cruciale perché il vincitore potrebbe diventare un potenziale sfidante alla successione a Saakashvili, nelle presidenziali 2013.
Tuttavia a Tbilisi, l’opposizione non è riuscita a unirsi attorno ad un unico candidato e, sondaggi d’opinione alla mano, Alasania dovrà faticare per avere la meglio sul leader del partito governativo, Gigi Ugulava, specie all’indomani delle recenti modifiche della legge elettorale.
Quali sono le sue priorità per il governo di Tbilisi?
Innanzitutto ricostruire la fiducia dei cittadini. Gli eventi politici degli ultimi anni hanno accentuato il nichilismo e la gente non crede più che il voto cambierà le cose. La mia proposta alla popolazione di Tbilisi è una via d’uscita dalla disoccupazione, migliori servizi sanitari e, ovviamente, il maggior problema di Tbilisi: lo sviluppo urbano selvaggio.
Vogliamo preservare l’unicità di questa città con l’aiuto di esperti urbanisti. Dobbiamo anche assicurare diritti politici alle persone, perché la Georgia sta diventando ogni giorno più autocratica. C’è un potere schiacciante nelle mani del presidente del nostro Paese, che controlla ogni istituzione. Questa elezioni sono particolarmente importanti proprio per riequilibrare le amministrazioni locali e nazionali.
Inoltre un’affermazione nella capitale avrebbe un ruolo simbolico…
Esatto. Vogliamo mostrare da Tbilisi che l’alternanza democratica in Georgia è possible.
Il governo rivendica che l’economia georgiana sta crescendo. Ma c’è ancora molto da fare.
La disoccupazione in Georgia è enorme. Ci sono miglioramenti significativi, come il calo complessivo del livello di corruzione, ma il presidente georgiano da tempo ha preso a concentrare nelle sue mani un potere senza pari. E così facendo ha indebolito le istituzioni statali, una mossa che non può che avere un forte impatto sullo sviluppo di qualunque nazione. Attualmente non abbiamo un sistema giudiziario indipendente, mentre il Parlamento non verifica che la legge sia applicata.
Al contrario, per attrarre investimenti, sarebbe necessario guadagnarsi la fiducia degli investitori con istituzioni forti e l’equilibrio dei poteri. Questa è la ragione per cui non c’è stato sviluppo per la piccola e media impresa in Georgia, che potrebbero creato molti posti di lavoro.
Ritiene che la politica georgiana verso la Russia debba cambiare?
Dopo l’aggressione con la guerra di agosto 2008 e l’occupazione di territori georgiani in Abkhazia e nella regione di Tskhinvali (Ossezia del sud), le nostre relazioni bilaterali con Mosca sono al livello più basso di sempre. La crescita dell’antagonismo tra Russia e Georgia va contro i nostri interessi nazionali ed esaspera, ritardandola, la nostra integrazione nelle strutture europee. Vogliamo un dialogo politico con la Russia, ma non a spese della nostra sicurezza nazionale.
Ci sono stati accordi firmati tra le parti che ora vanno applicati: innanzitutto il ritiro delle truppe della Federazione Russa dal territorio georgiano, anche se mi rendo conto, come ex diplomatico, che non può essere raggiunto proseguendo a non parlare neppure con la controparte. Sono un sostenitore del dialogo e di negoziati, e credo che ripristinare una fiducia comune porterebbe benefici per il commercio transfrontaliero, le comunicazioni. E consentirebbe ai politici di mettere sul tavolo questioni come lo status politico e le relazioni bilaterali.
Non sarà facile, avremo bisogno di tempo, ma non c’è alternative. Se non avviamo negoziati con Mosca non saremo in grado di svilupparci né politicamente, né economicamente.
Neppure il dialogo con i leaders di Abkhazia e Ossezia del sud sembra avanzare.
C’è una fondamentale mancanza di fiducia tra le due autorità ‘de facto’ e Tbilisi, ma per il futuro sono fiducioso che, una volta al governo, la nostra priorità sarà risolvere questo nodo pacificamente. Abbiamo dimostrato ad abkhazi e sud-osseti che siamo sinceramente interessati a costruire rapporti senza dare il via a nuove guerre. Non c’è soluzione militare a questo conflitto, e perfino l’aggressione dell’agosto di due anni fa ha mostrato che la guerra non può risolvere nulla. Ritengo che arriveremo ad un accordo per una coesistenza pacifica.
Ho avuto modo in passato di negoziare con loro (Alasania è stato presidente del governo dell'Abkhazia in esilio, e rappresentante del presidente Saakashvili al tavolo negoziale georgiano-abkhazo. Suo padre, generale dell'esercito di Tbilisi, fu ucciso con altri politici il 27 settembre 1993, durante la caduta di Sukhumi, dalle forze separatiste abkhaze, ndr) e so che in Abkhazia e nella regione di Tskhinvali preferiscono essere parte della casa comune europea attraverso la Georgia piuttosto che restare sotto l’occupazione militare della Russia.
Guardando indietro agli anni Novanta, quali errori vede da parte di Tbilisi?
Entrambe le nazioni, georgiana e abkhaza, sono responsabili per quello che è accaduto, ma siamo stati a lungo parte dello stesso Stato, condividiamo una storia e una cultura comuni, sebbene nei primi anni Novanta rifiutammo di preservare il nostro legame. Certamente ci furono gravi errori politici e militari da parte della leadership georgiana all’epoca, che tentò di ripristinare l’ordine con la forza delle armi. Ma provocazioni e attacchi contro la popolazione georgiana non sono meno riprovevoli.
Da allora non sono mancate diverse opportunità per riannodare il dialogo politico, ma le abbiamo sempre mancate. Non dobbiamo ripetere gli stessi errori d’ora in poi, perché il futuro delle nostre nazioni è nella coesistenza. Non c’è altra via, né alternative al dialogo politico: però intanto dobbiamo prepararci al dialogo attraverso scambi commerciali e progetti infrastrutturali comuni, che mettano le popolazioni a contatto. Servirà pazienza ed una forte volontà politica.
Le regioni secessioniste hanno un argomento forte: se l’indipendenza è stata possibile al Kosovo, perché a loro no?
Innanzitutto, l’Abkhazia è storicamente un territorio con metà della popolazione georgiana, che è stata oggetto di pulizia etnica. Non penso sia legittimo che una sola parte stabilisca d’imperio quale status politico la regione dovrebbe avere senza il consenso dei cittadini che lì vivevano prima della guerra. E’ ingiusto e illegale. L’integrità territoriale georgiana inoltre è riconosciuta dalla comunità internazionale.
In Kosovo si è avuto un processo che ha portato a decidere che Pristina poteva essere indipendente. Ma nel nostro caso, quello che la Russia ha fatto con la forza militare nel 2008 non sarà mai legittimato. È un precedente pericoloso, non solo per la Georgia, ma anche per l’intero ordine internazionale. Se parliamo di Abkhazia, sono molti gli argomenti pro o contro, ma il punto è trovare una via per ripristinare la fiducia, e da lì negozieremo e decideremo quale status politico la regione dovrà avere.
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