I presidenti di Serbia, Croazia, Montenegro e Bosnia hanno firmato ieri a Mostar una dichiarazione, in cui ribadiscono l'impegno dei propri paesi nel ritrovare e identificare le vittime dei conflitti nell'ex Jugoslavia, i cui resti non sono ancora stati rinvenuti. Il servizio di Francesco Martino per il GR di Radio Capodistria [30 agosto 2014]
Secondo le stime, sono ancora più di dodicimila le vittime dei vari conflitti che – negli anni '90 - hanno accompagnato la dissoluzione della Federazione jugoslava. Un problema che rappresenta una delle eredità più dolorose di quegli eventi, e che pesa ancora in modo evidente nei rapporti tra gli stati della regione.
Ecco perché la dichiarazione firmata ieri a Mostar dai presidenti di Serbia, Croazia, Montenegro e Bosnia-Erzegovina rappresenta un passo importante - soprattutto a livello simbolico – nel processo di rimarginazione delle ferite lasciate aperte dalla guerra.
Obiettivo del documento è quello di stabilire una cooperazione tra gli stati firmatari sulla localizzazione e l'identificazione delle persone scomparse durante il conflitto.
Una questione che resta particolarmente sentita in Bosnia, dove all'appello mancano ancora più di ottomila persone. Bakir Izetbegović, attuale leader della presidenza tripartita bosniaca, dopo la firma ha definito l'occultamento di vittime “un crimine orrendo”. “Risultati positivi nel ritrovamento ed identificazione di persone scomparse in Bosnia possono rappresentare un esempio per tutta la regione, ma anche a livello globale”, ha poi aggiunto Izetbegović.
Il presidente croato Ivo Josipović ha definito gli scomparsi come “una questione di verità e giustizia”, mettendo l'accento sul fatto che una soluzione può essere trovata soltanto attraverso la collaborazione di tutti gli stati coinvolti. Secondo Amnesty international, a tutt'oggi sono quasi duemila i cittadini croati di cui si sono perse le tracce in seguito alla guerra.
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