Dall'inizio della crisi, il numero dei lavoratori nel settore pubblico in Grecia è crollato del 30%. Per alcuni i tagli erano inevitabili, per quanto dolorosi, ma c'è chi mette in dubbio l'efficacia di misure tanto drastiche. Il servizio di Francesco Martino per il GR di Radio Capodistria [25 luglio 2014]
Dopo cinque anni di crisi ed austerità in Grecia manca all'appello quasi un dipendente pubblico su tre. Dati del ministero della Riforma amministrativa in mano, la sforbiciata effettuata nei confronti di chi lavora nel settore pubblico ellenico ha dimensioni colossali.
Se nel 2009 risultavano impiegati dall'amministrazione quasi un milione di greci, nel dicembre 2013 il numero era sceso a circa 675 mila, con un'emorraggia di 70mila posti di lavoro l'anno.
A subire la scure dell'austerità, voluta da Atene sotto lo sguardo severo dei creditori internazionali, sono stati soprattutto i dipendenti con contratto a termine: un contratto quasi sempre non rinnovato alla scadenza. Al tempo stesso, chi è andato in pensione non è stato sostituito, visto il blocco totale a nuove assunzioni.
Grazie al parallelo taglio degli stipendi, il costo delle retribuzioni nel settore pubblico è quindi crollato dai 24,5 miliardi di euro del 2009 ai 15, 8 miliardi del 2013.
In molti hanno salutato i tagli al personale come una necessità ineludibile, seppur dolorosa. Il settore pubblico greco sarebbe infatti stato gonfiato oltre misura da assunzioni clientelari effettuate nei decenni passati da tutti i governi in carica.
Non mancano però le critiche. Secondo alcuni economisti, il vero problema in Grecia non è legato al costo dei dipendenti pubblici, quanto alla scarsa capacità dello stato di far pagare le tasse a tutti. Una capacità che paradossalmente, con i tagli arbitrari all'amministrazione, sarebbe oggi ancor più limitata.
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