Una nuova ondata di proteste ambientaliste ha scosso la Serbia nel fine settimana, con migliaia di persone in piazza a Belgrado e in altre città contro inquinamento e sfruttamento selvaggio del territorio. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [29 novembre 2021]
La Serbia torna in piazza, questa volta contro inquinamento, sfruttamento del territorio e poca trasparenza del governo nel gestire progetti e investimenti potenzialmente dannosi per la salute e l'ambiente.
Sabato e domenica migliaia di persone hanno invaso le strade della capitale Belgrado, di Novi Sad e di altre città serbe, gridando “Ci state soffocando!” e bloccando le principali arterie di comunicazione. La polizia è intervenuta per fermare i manifestanti, e ne sono seguiti tafferugli che hanno portato ad alcuni arresti.
Al centro delle proteste, l'annoso ed irrisolto problema dell'inquinamento atmosferico soprattutto a Belgrado, ma anche controversi investimenti in campo minerario che, secondo attivisti e organizzazioni ambientaliste, rischiano di compromettere in modo irreparabile il territorio serbo.
Tra questi, la miniera di litio da due miliardi e mezzo di dollari progettata dal gigante anglo-australiano Rio Tinto nella valle di Jadar, in Serbia occidentale, ma anche lo sfruttamento dei giacimenti di rame a Bor, non lontano dal confine bulgaro, da parte della compagnia cinese Zijin.
Il parlamento serbo, dominato dal presidente Aleksandar Vučić e senza una vera opposizione, ha recentemente approvato nuove disposizioni relative a possibili referendum e all'esproprio di proprietà privata che, secondo gli oppositori, facilitano le operazioni del business a danno dell'ambiente.
Vučić, fortemente contestato durante le manifestazioni per la sua gestione sempre più autoritaria e meno trasparente della cosa pubblica, ha però respinto ogni accusa al mittente, promettendo un referendum sul progetto della Rio Tinto, ma ribadendo l'intenzione dell'esecutivo di salvaguardare gli investimenti.
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