A pochi giorni dal summit tra Unione europea e Balcani occidentali, previsto il 6 ottobre a Brdo pri Kranju sotto la presidenza di turno slovena, la prospettiva di integrazione della regione sembra sempre più flebile, nonostante le promesse. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [2 ottobre 2021]
“Il destino dei Balcani occidentali è nell'Unione europea”: è questo il mantra che ha accompagnato la politica di Bruxelles verso la regione almeno a partire dal summit di Salonicco del 2003, quando venne solennemente promessa la graduale integrazione di tutti i paesi dell'area.
Da allora, però, molte cose sono cambiate, e dopo un graduale approfondimento della “fatica da allargamento”, quella promessa non sembra più poggiare su basi troppo solide.
Anche il prossimo summit UE-Balcani occidentali previsto il prossimo 6 ottobre a Brdo pri Kranju sotto la presidenza di turno slovena, conferma profonde divisioni a livello comunitario e una vena di pessimismo per il futuro.
Secondo le indiscrezioni rese pubbliche dall'agenzia Reuters, una dichiarazione che intende ribadire il destino europeo della regione si è scontrata con la strenua resistenza di alcuni paesi dell'Europa centro-settentrionale, che vedono sempre meno di buon occhio nuovi allargamenti, dopo le esperienze problematiche di integrazione di paesi come Romania e Bulgaria.
A rafforzare dubbi e resistenze sono arrivate anche nuove tensioni nella regione, come il rinnovato scontro tra Serbia e Kosovo, sfociato nei giorni scorsi in un'escalation rientrata solo dopo la mediazione di Bruxelles e Washington, ma anche il veto posto negli ultimi mesi dalla Bulgaria all'apertura dei negoziati con la Macedonia del nord per complesse questioni storiche, linguistiche e culturali.
Se l'obiettivo del summit di Brdo pri Kranju è rilanciare davvero prospettive reali di integrazione per i Balcani, la strada sembra quindi tutta in salita: almeno nel breve periodo, è davvero difficile pronosticare passi avanti significativi.
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