Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa indagine sulla condizione femminile in Albania. Sulla base di dati ufficiali, Lucia Pantella redige un quadro chiaro e sintetico della situazione attuale relativa alla discriminazione sui posti di lavoro e alla disoccupazione femminile nel Paese delle aquile
Generalmente l'alto tasso di disoccupazione riscontrato nei paesi ex comunisti dopo il 1990 rappresenta il costo più alto e più doloroso della transizione verso il sistema di libero mercato. Anche l'Albania non è immune da un tale fenomeno, che riesce a spiegare in parte l'elevato indice di emigrazione di questo paese. I diversi studi e i reports internazionali evidenziano in maniera periodica che "l'Albania continua ad essere uno dei paesi più poveri in Europa, con un alto livello di criminalità e di disoccupazione".
I mendicanti sempre più numerosi nelle strade, la crescita del numero dei suicidi, l'aumento dei disoccupati nelle piazze, l'esodo di massa per mari e monti e altri fenomeni di questo genere mostrano che la povertà e la disoccupazione restano le preoccupazioni principali tra gli Albanesi, nonostante siano passati ben 14 anni di transizione e di economia di mercato. Classificato come paese più povero d'Europa, l'Albania oggi ha il tasso di emigrazione più alto del continente, comparato con tutti gli altri paesi ex comunisti dell'Europa Orientale. Attualmente, infatti, un Albanese su tre è emigrante, mentre due Albanesi su tre cercano di emigrare, soprattutto in Italia ed in Grecia. Allo stesso tempo le statistiche mostrano che non solo i disoccupati ma anche la maggior parte degli impiegati in Albania, tanto nell'amministrazione pubblica quanto nel settore privato, con i loro stipendi, non riescono ad affrontare le condizioni minime di vita.
In numerose conferenze e studi degli ultimi tempi è stato evidenziato visibilmente il fatto che l'Albania sta sperimentando un'estrema polarizzazione dei diversi strati sociali del paese. Secondo alcuni studi, 7 Albanesi su 10 vivono con meno di due dollari al giorno, mentre 3 su 10 vivono secondo gli standard dell'Europa Occidentale. Una conferma è arrivata anche lo scorso maggio dalla direttrice dell'Istituto di Statistica Albanese, Milva Konomi, la quale ha posto all'attenzione pubblica il fenomeno secondo cui il 10 % della popolazione consuma circa il 50% delle entrate nazionali, mentre il 90% consuma il resto delle entrate. Traducendo in un linguaggio più comprensibile ai comuni cittadini, da queste statistiche risulta che circa 3 milioni di Albanesi vivono con 700 dollari all'anno, mentre i restanti 300.000 con 10.000 dollari all'anno pro-capite.
La povertà colpisce prevalentemente le donne, non solo perché subiscono maggiormente gli effetti della disoccupazione ma anche a causa delle discriminazioni in termini di salari rispetto agli uomini.
Infatti la caduta del regime di Enver Hoxha ha gravato più intensamente sul genere femminile dal momento che sono venute meno le strutture pubbliche del regime comunista, che contribuivano a sollevare le donne lavoratrici da molti compiti, facendo sì che la disoccupazione nei primi anni tra il 1991 e il 1993 riguardasse soprattutto le donne.
Secondo le statistiche ufficiali, nel 2004 il tasso di disoccupazione femminile in Albania si è aggirato intorno al valore del 19%, (contro il 15% di quello maschile). Eppure un dato del genere può ritenersi sottostimato, dal momento che non prende in considerazione due fenomeni: da un lato la condizione delle donne che vivono nelle aree rurali del paese, che nell'epoca comunista venivano impiegate nelle cooperative agricole statali e che ora sono dedite alla cura della casa, senza essere iscritte nelle liste di collocamento, e d'altro lato non si tiene conto della situazione delle donne nelle città in cui le industrie alimentari, tessili e manifatturiere sono chiuse in seguito alle privatizzazione statali, che hanno rinunciato a cercare un'occupazione.
Secondo le analisi dell'Instat (l'Istituto Nazionale Albanese per le statistiche), inoltre, la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro è di gran lunga più bassa rispetto a quella degli uomini (le donne rappresentano 37% della popolazione lavoratrice). Ulteriori difficoltà si riscontrano nelle discriminazioni salariali, se si tiene conto che, secondo i dati dell'Instat (1998-2000), i salari medi delle donne in tutti i settori e a tutti i livelli costituivano solo il 70% dei salari maschili. In uno studio dell'Unicef (2000) inoltre è emerso come il 60% dei datori di lavoro preferisca assumere uomini, e come sia difficile per le donne albanesi raggiungere posizioni manageriali, tanto nel settore pubblico quanto nel settore privato.
Col passare del tempo la situazione non sembra essersi notevolmente modificata. Pronte a sacrificarsi e con un grande desiderio di lavorare, molte delle donne albanesi purtroppo non sono state molto fortunate nel trovare un posto di lavoro. L'anno che si è appena concluso, infatti, non si è dimostrato molto generoso in termini di occupazione delle donne, molte delle quali, secondo le statistiche ufficiali, sono senza un'occupazione.
Secondo un recente rapporto del Ministero per il Lavoro e le Politiche Sociali, nel 2004 si sono registrate più di 75.000 donne disoccupate. Di queste, circa 50.000 possono considerarsi in cerca di lavoro "scoraggiate", mentre solo il 2% è in possesso di un'istruzione universitaria.
Come molti altri
Anche negli ultimi giorni dell'anno molte famiglie albanesi erano al lavoro. Poco tempo da dedicare alla preparazione delle feste. Non che mancasse il desiderio, ma non c'erano le cose da preparare. Lì, con il braciere tra le gambe, vicino al piccolo fiume Lana che attraversa il centro di Tirana, i coniugi Kupi, dalle campagne che circondano la capitale, continueranno ad arrostire, a pulire e vendere castagne a buon mercato. Un po' più in là, con lo stesso braciere, si trova Tushja, proveniente dalle campagne di Librazhd, che manda avanti la casa solo con la pensione di seimila leke (circa 50 euro al mese) del marito e con le poche entrate provenienti dalla vendita delle castagne. Quest'anno la sua famiglia è ancora più povera. "Ho lavorato per anni in una cooperativa, e non ho diritto ad una pensione", afferma lei, aggiungendo che non ha avuto la possibilità di trovare un lavoro migliore.
Fasce di età e educazione
Le maggiori difficoltà nel trovare un posto di lavoro, secondo il parere degli esperti del Ministero e secondo i dati pubblicati nel rapporto, sono per le donne della fascia di età fino a 24 anni. In generale le donne nelle aree urbane incontrano maggiori difficoltà rispetto alle donne delle aree rurali. Gli ostacoli crescono senza dubbio a causa della mancanza di una formazione professionale e di un basso livello di istruzione. "Tra le donne la fascia di età più colpita dalla disoccupazione è quella fino a 24 anni, che costituisce il 25% del totale delle disoccupate. A non molta distanza, in termini di punti percentuale, seguono le donne appartenenti alla fascia di età sopra i 45 anni, che rappresentano il 22% delle disoccupate. D'altra parte, tra le donne disoccupate o iscritte nelle liste di collocamento, quelle con un basso livello di istruzione rappresentano la maggioranza. Nella lista delle donne in cerca di lavoro, il 53% ha solo una licenza elementare. Mentre solo il 2% di coloro che hanno una laurea sono disoccupate", afferma il rapporto.
Donne, il 50% sono operaie
Le professioni svolte dalle donne nelle liste di attesa per un lavoro non sono molto variegate. Nella maggior parte dei casi le aspirazioni non si conoscono, e più del 50% del totale delle donne disoccupate sono operaie, mentre il 30% non ha una professione. Secondo il rapporto, inoltre, le donne con un'istruzione universitaria, sebbene un numero molto ristretto, appartengono principalmente al settore dell'amministrazione pubblica. In questa categoria, secondo gli esperti del Ministero, sono diventate disoccupate a causa della riforma del settore pubblico. Il 17% del totale invece sono tecniche specializzate. In questa categoria dominano le specialiste nell'industria di trasformazione, del trasporto e delle telecomunicazioni.
La promozione dell'occupazione femminile
Nel corso del 2004 la percentuale di donne cha ha partecipato ai programmi di promozione dell'occupazione e formazione professionale costituisce il 49% del numero totale delle lavoratrici. Questa cifra non tiene conto di tutte le altre donne che non sono registrate come disoccupate o in cerca di lavoro. Se ne deduce che il numero reale delle donne disoccupate è molto maggiore rispetto a quello pubblicato. Mentre per i dati riguardanti la formazione professionale, proprio le donne hanno espresso un interesse maggiore degli uomini. Secondo i dati del 2004, le persone che hanno partecipato a programmi di training professionale sono state 5000, e di queste più di 3000 erano donne, vale a dire il 63% del totale. L'anno prima le donne che hanno preso parte a corsi di formazione erano 4858, su un totale di 8097 persone, mentre la cifra più alta si è registrata nel 2002, anno in cui le donne hanno rappresentato il 65% del totale.
Per le pari opportunità: il movimento per la difesa dei diritti delle donne albanesi
Già nel 1995 è stato fondato un gruppo parlamentare per i diritti delle donne, che ha partecipato alla conferenza mondiale tenutasi a Pechino quello stesso anno, presentando un nuovo codice del lavoro in cui si richiedevano principalmente migliori condizioni igieniche nei luoghi di lavoro, la risoluzione del problema dei turni di notte e delle discriminazione nei salari.
Inoltre sono state create più di 20 Ong di donne, dato rilevante se si considera che l'Unione delle donne albanesi, creata nel 1946, era rimasta per 45 anni l'unica organizzazione femminile permessa dal Partito Comunista e sotto il suo diretto controllo.
Oltre a ciò, al fine di dare le priorità alle questioni dell'occupazione femminile e delle pari opportunità nell'occupazione tra uomini e donne, recentemente è stata approvata una legge che istituisce un programma di promozione dell'occupazione delle donne senza lavoro. La realizzazione di tale programma, secondo gli studi ufficiali del Ministero, è cominciata nel 2004 e ha visto l'avvio di 3 progetti. Così nella provincia di Scutari è stata aperta una linea di produzione di scarpe, a Durazzo una linea nel settore dell'abbigliamento mentre a Lezhe, che insieme a Scutari consoce i tassi più alti di disoccupazione del paese, è stata introdotta una linea per la lavorazione del pesce. Grazie a questo programma sono state coinvolte 120 donne disoccupate, 88 delle quali provenienti da situazioni particolarmente difficili. Oltre a questi tre progetti, alcune donne sono state incluse in ulteriori programmi che fino allo scorso agosto hanno visto il coinvolgimento di più di 1300 disoccupate.
Affiancando l'attività governativa, un numero crescente di Ong sta lavorando, tanto nelle aree urbane quanto in quelle rurali, per il rilancio dello status legale e civile delle donne, la protezione della loro salute e per la crescita economica del genere femminile. Una peculiarità negli sforzi fatti da queste organizzazioni consiste nella loro abilità nell'offrire servizi alle donne appartenenti alle classi più vulnerabili della società albanese, spesso coinvolte nel traffico degli esseri umani o nelle reti della criminalità organizzata.
Sebbene il movimento per la difesa delle donne in Albania abbia raggiunto risultati importanti, tuttavia esso resta un movimento in trasformazione, che affronta le difficoltà e le sfide come tutto il resto della società albanese. C'è da notare d'altra parte che la mancanza di coordinamento del movimento femminile, e la totale dipendenza dalle associazioni dei donatori stranieri rischia di mettere in pericolo la vita stessa di tali organizzazioni. Negli ultimi tempi, infatti, l'Albania è uscita dal rango dei paesi che ricevevano maggiori finanziamenti dai fondi da parte della cooperazione internazionale (specialmente provenienti dall'Italia, dalla Germania e dagli Stati Uniti) e le organizzazioni in difesa dei diritti delle donne hanno particolarmente risentito della partenza dei donatori internazionali. Per questa ragione il futuro dell'offerta dei servizi sociali per la difesa dei diritti delle donne dipenderà largamente dai finanziamenti che il governo, nelle sue strutture centrali o locali, e le imprese albanesi decideranno di concedere.
Fonti consultate:
Instat-Albania
Bruna Prifti, Shekulli, 27/12/2004
Feti Zeneli, Shekulli, 6/10/2004
Seda-Sustainable Economic Development Agency in Albania
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