Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan © Asatur Yesayants/Shutterstock

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan © Asatur Yesayants/Shutterstock

L’Organizzazione per il Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC), che dal 1992 sostituisce di fatto il Patto di Varsavia e alla quale aderiscono sei stati membri, ha avuto comportamenti del tutto differenti riguardo la recente situazione in Kazakhstan e nel conflitto tra Armenia e Azerbaijan. Un’analisi

18/01/2022 -  Marilisa Lorusso

Le drammatiche proteste in Kazakhstan hanno preso avvio il 2 gennaio a Zhanaozen, città che era già stata teatro di rivendicazioni di aumento salariale per i lavoratori del ricco settore nazionale degli idrocarburi. Sono state scatenate dal quasi raddoppio del prezzo del carburante e sono presto diventate di portata nazionale. Le rivendicazioni economiche sono rapidamente evolute in politiche. Nel paese vige una totale mancanza di meccanismi di alternanza al potere, con un establishment che si è protratto dai tempi sovietici. E oltre che politiche le proteste sono diventate anche violente, con la messa a ferro e fuoco di edifici governativi.

Il governo non ha riconosciuto i moti come di matrice interna, classificandoli come il prodotto di terrorismo internazionale, e per questo il 5 gennaio ha chiamato in causa l’Organizzazione per il Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC). Il Trattato è del 1992 e sostituisce di fatto il Patto di Varsavia, l’organizzazione militare dell'ex blocco sovietico. Si è strutturato in organizzazione nel 2002 e rispetto al Patto di Varsavia è in versione molto ridotta, con solo 6 stati membri cioè Russia, Bielorussia, Armenia e i tre paesi asiatici di Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan. In 30 anni l’Organizzazione non era mai stata operativa nonostante i precedenti disordini del 2010 in Kirghizistan, gli scontri al confine fra Afghanistan e Tagikistan nel 2015, ma soprattutto la guerra armeno-azera nel 2020 e gli scontri transfrontalieri armeno-azeri nel 2021.

Come la NATO la OTSC ha funzione difensiva in caso di attacchi da parte di stati non membri e quindi non per redimere questioni di ordine pubblico o sicurezza interni agli stati membri. Ma - come il Patto di Varsavia a suo tempo - per il momento la OTSC è stata dispiegata solo una volta (il Patto a Praga nel 1968), adesso in Kazakhstan, e con funzione non di difesa militare per un attacco di un paese terzo ma di polizia all’interno di un paese membro.

L’Armenia e la OTSC

L’Armenia è l’unico dei paesi caucasici a fare parte dell’organizzazione, dopo il ritiro nel 1999 di Georgia e Azerbaijan. Con la salita al governo di Pashinyan i rapporti fra l’OTSC e l’Armenia hanno conosciuto un minimo storico. Nel 2018 il Segretario Generale dell’OTSC, l’armeno Yuri Khachaturov, è finito sotto processo quando a Yerevan il nuovo governo investigava sulle repressioni post elettorali del 2008, decapitando di fatto la OTSC. Ne sono emerse frizioni con Mosca e con l’Organizzazione.

La OTSC è rimasta inattiva durante gli scontri del 2016 e anzi, proprio il Kazakhstan aveva rifiutato di tenere un incontro dell'organizzazione a Yerevan quell’anno perché il paese era ritenuto “poco sicuro”. Di nuovo, nel pieno dei combattimenti, a ottobre 2020, Pashinyan aveva messo nero su bianco a Putin che i combattimenti riguardavano l’Armenia de jure, non solo il Karabakh, e che era quindi competenza della OTSC di intervenire. La risposta è invece arrivata dal ministero degli Esteri russo che aveva ricordato l’accordo russo-armeno del ’97 di mutua collaborazione e protezione, in caso di necessità. Insomma, per l’Armenia la OTSC non c’è stata, né nel pieno della guerra, né dopo, quando sono cominciate le rivendicazioni territoriali transfrontaliere per la mancata delimitazione e demarcazione del confine con l’Azerbaijan.

A luglio 2021 lo scontro verbale fra l’Armenia e il segretario della OTSC, il bielorusso generale Stanislav Zas, è stato evidente: mentre gli scambi di fuoco lasciavano (come lasciano tuttora) nuovi morti sul terreno, questo ultimo ha negato che ci fossero conflitti transfrontalieri. Gli ha risposto pubblicamente il Segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale armeno Armen Grigoryan invitandolo in sostanza a non dire sciocchezze e venire in Armenia a rendersi conto della situazione. A settembre finalmente Zas si è recato in Armenia, ma alla seguente riunione dei ministri degli Esteri e della Difesa quel mese a Dušanbe mancavano i due rappresentanti armeni perché, questa la motivazione ufficiale, si era rotto l’aereo…

Il dispiegamento

In un momento quindi non splendido nei rapporti OTSC-Armenia, la sorte ha voluto che sia toccato proprio a Nikol Pashinyan annunciare le consultazioni per il primo, storico, dispiegamento di forze dell’Organizzazione in base all’articolo 4 del trattato che recita: “In caso di aggressione (attacco armato che minacci la sicurezza, la stabilità, l'integrità territoriale e la sovranità) contro qualsiasi stato membro, tutti gli altri stati membri, su richiesta di tale stato membro, forniscono immediatamente a quest'ultimo l'aiuto necessario, anche militare”.

Da gennaio la presidenza a rotazione dell’Organizzazione è armena, per cui è stata incaricata Yerevan di coordinare gli incontri politici. Il dispiegamento pratico invece è stato organizzato e amministrato da Mosca. La sera del 7 gennaio Pashinyan ha firmato per mandare in Kazakhstan un centinaio di peacekeepers armeni, parte del contingente di oltre 3000 uomini.

Tutti i paesi che hanno partecipato a questa prima missione dell’Organizzazione hanno sottolineato che il ruolo dei propri uomini sarebbe stato quello di presidiare le infrastrutture. La questione è delicata: in Kazakhstan vivono numerose minoranze, e fare parte del contingente che contribuisce a una repressione - invocata dal presidente kazako Tokajev come feroce - rischia di esporre le minoranze locali a rischi, di innescare scontri interetnici. Sono circa 25.000 i cittadini kazakhi di origini armene, per cui Yerevan ha ricusato – come le altre capitali dell’OTSC – un ruolo di repressore delle proteste.

La missione è durata circa una settimana, e mentre le forze dell’OTSC si ritiravano via Mosca (a parte i kirghisi per prossimità fisica), e divampava il dibattito fra gli analisti sull’importanza di questa prima operazione dell’Organizzazione, a Yerevan si cercava di mandare giù il retrogusto amaro di aver dovuto fare per altri quello che non è stato fatto per il paese. ll Segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale Grigoryan ha commentato : “Non dobbiamo comportarci come un ragazzino offeso… confidiamo che in futuro, si dovesse trovare in una situazione da aver bisogno di aiuto l’Armenia, lo riceverà”.

Il quadro è stato molto chiaro, e la differenza di priorità, supporto politico e militare, del coinvolgimento dei vertici dell’Organizzazione - con Zas che si è recato immediatamente in Kazakhstan - è spiccata agli occhi di tutti. L’ironia della sorte ha spinto in prima fila nelle operazioni proprio la negletta Armenia. Decisamente un rospo difficile da digerire.


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