A fine maggio sono uscite le tradizionali relazioni della Commissione sullo stato dell'arte nel processo di allargamento. Anche nei paesi dove sono stati segnalati timidi risultati, il progresso dell'allargamento rimane in ostaggio di alcuni membri Ue
Lo scorso 29 maggio la Commissione europea ha pubblicato le sue relazioni annuali in merito al processo di riforme in atto nei paesi dei Balcani occidentali in chiave di integrazione europea. La Commissione ha posticipato la pubblicazione dei rapporti di un mese, in modo da evitare qualsiasi influenza potenziale sulle elezioni per il Parlamento europeo.
È da tempo che la pubblicazione dei rapporti non è più attesa con ansia nella regione. Dato il ritmo ormai lento del processo di adesione, quella dei report appare ormai come una pratica ripetitiva, che costantemente sottolinea la necessità di risultati concreti. Sembrano oramai più servire per ricordare alle élite politiche locali che devono fare i loro compiti a casa piuttosto che a sottolineare quali di questi compiti sono stati fatti. Del resto i paesi dei Balcani troppo spesso illustrano gli sforzi fatti presentando pezzi di legislazione approvata piuttosto che risultati raggiunti con l'implementazione sul campo delle nuove leggi.
Un panorama regionale preoccupante
I rapporti sui vari paesi coinvolti nel processo di integrazione europea descrivono una generale fatica nella capacità di migliorare i processi democratici e lo stato di diritto nella regione. La Macedonia del Nord rappresenta l'eccezione, con un rapporto che contiene parole positive e una lista di risultati raggiunti in vari ambiti. Quest'anno la Commissione ha inoltre pubblicato una sua opinione sulla richiesta di adesione fatta dalla Bosnia Erzegovina nel febbraio del 2016, che servirà come vera e propria roadmap per il paese sulla lunga strada da percorrere prima di ottenere lo status di paese candidato.
Se ci si focalizza sui criteri d'integrazione prettamente politici, nei report della Commissione viene evidenziato un clima di forte polarizzazione e il boicottaggio dei lavori parlamentari da parte dell'opposizione in molti paesi come Albania, Serbia, Montenegro e Kosovo. I parlamenti nazionali rimangono istituzioni deboli, incapaci di controllare il lavoro dei rispettivi governi. Manca ancora la cultura della mediazione e questo influisce negativamente sull'agenda delle riforme.
In molti paesi si sono verificate proteste di piazza che dimostrano, per la Commissione, che vi è insoddisfazione rispetto allo stato delle cose. Nello specifico rimane, in tutta l'area, una forte fragilità dello stato di diritto. In questo la Serbia e il Montenegro non hanno fatto significativi passi avanti rispetto a quanto richiesto e, in Serbia, l'influenza della politica sulla magistratura rimane fonte di preoccupazione. Nella relazione sulla Serbia si chiedono progressi tangibili come condizione per proseguire le negoziazioni di accesso con l'Ue. Entrambi i paesi sono considerati come quelli più avanti nel processo di integrazione ma gli attuali risultati nel processo di riforme mettono a repentaglio la loro strada verso una possibile adesione nel 2025.
Un chiaro segnale è stato mandato in questa direzione dalla Commissione al Montenegro non raccomandando l'apertura dell'ultimo capitolo di negoziazione rimasto, quello sulle politiche relative alla concorrenza.
Anche il Kosovo deve impegnarsi più seriamente lungo il percorso di riforme. Nonostante la Commissione abbia nuovamente raccomandato la liberalizzazione dei visti, sulla questione alcuni stati dell'Ue sono ancora contrari. Questo ha causato, nel paese, una diminuzione dell'influenza dell'Unione europea e una generale delusione.
Fonte di grandi preoccupazioni, nella regione, anche la questione della libertà di espressione e dei media. Viene a questo proposito sottolineata in particolare la situazione in Serbia, che ha subito peggioramenti nel campo e dove i giornalisti subiscono intimidazioni.
In generale le relazioni della Commissione sottolineano che i Balcani occidentali proseguono sulla strada delle riforme spesso solo di facciata e manca la volontà politica di rendere effettivo e più ficcante l'intero processo.
Speranze infrante per Albania e Macedonia del Nord
La Commissione è tornata a raccomandare l'apertura dei negoziati di adesione per Albania e Macedonia del Nord. Nel caso dell'Albania la prima raccomandazione in tal senso venne fatta già nel 2016, mentre per la Macedonia del Nord, si deve tornare addirittura al 2009. La Commissione, per entrambi i paesi, ha affermato che sono stati fatti significativi passi in avanti. Ma evidentemente quanto affermato dalla Commissione non è sufficiente per convincere tutti i governi dei paesi membri a dare il loro via libera.
La Macedonia del Nord ha fatto numerosi progressi dal report precedente. In particolare sono stati ben accolti gli accordi di Prespa che hanno finalmente portato alla risoluzione della disputa con il nome con la Grecia. Nel report paese viene inoltre sottolineato che nell'ultimo anno la Macedonia del Nord ha fatto progressi nel rafforzare la democrazia e lo stato di diritto, e nel creare un clima politico inclusivo.
All'Albania è stato riconosciuto di aver fatto sforzi nel campo della lotta alla corruzione all'interno della riforma in atto del sistema giudiziario. Una riforma, quest'ultima, fortemente voluta dall'Ue tanto che una Missione di monitoraggio internazionale è stata istituita per seguirne i progressi. Inoltre nel rapporto si afferma che a seguito della collaborazione con la Guardia di Finanza italiana nel paese non vi sarebbe “quasi più alcuna coltivazione di cannabis”, altro risultato positivo riconosciuto al paese.
Nonostante i progressi fatti, le speranze di questi due paesi di ottenere una data certa per l'avvio dei negoziati sono però rimaste deluse. La politicizzazione del processo di allargamento ha creato posizioni divergenti in seno ai paesi membri Ue ed alle istituzioni europee. Paesi come Francia, Paesi Bassi e Danimarca rimangono attualmente scettici rispetto ad ulteriori allargamenti. E nella stessa direzione sembra andare la Germania il cui parlamento ha deciso di posporre la discussione sull'apertura o meno delle negoziazioni con Skopje e Tirana all'autunno, escludendo così un'apertura al Consiglio europeo in programma per il 20 e 21 giugno prossimi.
Titubanze, queste dei paesi membri dell'Unione, che rischiano di mettere in dubbio la credibilità dell'Ue nella regione e di impattare negativamente sui risultati raggiunti.
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