Mettono a repentaglio la loro vita privata e professionale per denunciare le malversazioni e le irregolarità di cui vengono a conoscenza nel loro lavoro, eppure i whistleblower non godono della protezione che spetterebbe loro
Il 15 marzo la Corte di appello di Lussemburgo ha condannato Antoine Deltour e Raphaël Halet rispettivamente a sei mesi di reclusione con la condizionale e a 1.500 euro di multa, e nove mesi di reclusione con la condizionale e a 1.000 euro di multa per aver violato le leggi del Granducato sul segreto degli affari. I due avevano sottratto alla società di revisione PricewaterhouseCoopers migliaia di documenti fiscali riservati sugli accordi conclusi da quest’ultima con il fisco lussemburghese per conto di alcuni grandi imprese multinazionali. Deltour e Halet avevano trasmesso i documenti al reporter Edouard Perrin, che li ha poi pubblicati nell’ambito dell’inchiesta giornalistica realizzata dall’International Consortium of Investigative Journalists battezzata LuxLeaks. Perrin è invece stato assolto sia in primo grado che in appello.
Come quelle dei più celebri Edward Snowden o Chelsea Manning, la loro vicenda ha sollevato l’attenzione del pubblico e delle istituzioni europee sulla figura e la disciplina del whistleblower o informatore, chi cioè denuncia pubblicamente o riferisce alle autorità delle attività illecite o delle irregolarità commesse all’interno dell’organizzazione alla quale appartiene. “Si tratta spesso di professionisti, che ricoprono spesso degli incarichi elevati in un’impresa o un’amministrazione, e che, per motivi morali, decidono di denunciare alla stampa delle informazioni di pubblico interesse”, spiega Ricardo Gutiérrez, segretario generale della Federazione europea dei giornalisti. “Per noi hanno un ruolo fondamentale per la democrazia e la trasparenza”, aggiunge: “Queste persone soffrono per quello che hanno fatto. Non ne conosco nessuna che sia uscita in condizioni economiche migliori di prima che si mettesse a parlare. Subiscono pressioni enormi, anche dal punto di vista economico. Prendono un rischio nell’interesse della collettività, ne subiscono le conseguenze e non vengono protette. Questo non va bene.”
La vicenda LuxLeaks ha anche messo in evidenza “l’assenza di protezione giuridica degli informatori a livello nazionale e dell’Unione europea”, come hanno denunciato 108 eurodeputati in una lettera aperta nella quale esprimevano il loro “sostegno” e la loro “solidarietà” a Deltour e Halet. A giustificare questa assenza sarebbe, secondo le istituzioni europee, la mancanza di basi giuridiche nei testi comunitari.
Libertà di espressione
In realtà la Carta europea dei diritti fondamentali , che i paesi membri e l’Unione europea devono rispettare, stabilisce, all’articolo 11, che “ogni persona ha diritto alla libertà di espressione” e che tale diritto “include la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.” Garantendo il diritto all’informazione, la Carta protegge anche chi di queste informazioni è la fonte – gli informatori nel caso che ci interessa – e chi le verifica e le diffonde – i giornalisti. “È la coppia perfetta”, aggiunge Ricardo Gutiérrez, “perché il giornalista svolge la funzione di intermediario, verifica le informazioni che il whistleblower gli trasmette e si assicura che le sue motivazioni siano eticamente valide, e che non agisca per interesse personale.”
“La presunta assenza di basi giuridiche è il dito dietro al quale si nascondono di solito le istituzioni europee quando non c’è la volontà politica di affrontare una questione”, afferma per parte sua Pamela Bartlett Quintanilla, che segue la questione per conto del gruppo dei Verdi al Parlamento europeo, insieme ai Liberali fra i più attivi sul fronte della difesa delle libertà pubbliche. “In realtà, le basi giuridiche ci sono, e sono fondate sulla necessità di proteggere il mercato interno dalle distorsioni e di proteggere le condizioni di lavoro degli informatori contro le eventuali ritorsioni dei datori di lavoro”, aggiunge.
Sulla prima opzione ha lavorato la commissione bilancio del Parlamento europeo, che ha presentato la sua relazione (relatore Denis De Jong, GUE/NGL) “sul ruolo degli informatori nella protezione degli interessi finanziari dell’Ue”. Relazione nella quale, tra l’altro, la commissione “afferma che gli informatori svolgono un ruolo essenziale nell'aiutare gli Stati membri e le istituzioni e gli organi dell'UE a prevenire e contrastare qualsiasi violazione del principio di integrità e l'abuso di potere”, e “sollecita la Commissione a presentare immediatamente una proposta legislativa che istituisca un programma europeo efficace e globale di protezione degli informatori.”
Protezione degli informatori
La commissione affari giuridici sta invece lavorando su un rapporto più ampio sulla protezione degli informatori nell’Unione europea, di cui sarà relatrice Virginie Rozière (gruppo S&D) e che dovrebbe essere approvato in commissione il 28 settembre. La commissione affari legali ha già prodotto la bozza con il suo parere, così come quella sull’ambiente.
La protezione degli informatori è anche contemplata nella recente direttiva europea sui segreti commerciali, anche se viene allineata sulle legislazioni degli stati membri più restrittive, come hanno denunciato numerose organizzazioni di giornalisti. Sono così previste due eccezioni al segreto commerciale: “l’esercizio della libertà di espressione e di informazione” previsto dalla Carta dei diritti fondamentali, e il fatto di “rivelare un errore, un comportamento inappropriato o un’attività illegale”, a condizione che chi commette l’infrazione “abbia agito allo scopo di proteggere il pubblico interesse.” “Durante i negoziati per la sua elaborazione, avevamo chiesto che la protezione di chi rivela informazioni di pubblico interesse fosse inserita nel testo, ma la Commissione ha rifiutato”, aggiunge Gutierrez; “per questo abbiamo messo in piedi, insieme a 48 organizzazioni sindacali e della società civile, una piattaforma per chiedere alla Commissione di adottare una direttiva specifica sulla protezione dei whistleblower.”
“Una direttiva — che fisserebbe gli standard minimi di protezione ai quali gli stati membri dovrebbero conformarsi, rimanendo liberi di porre l’asticella più in alto — sarebbe la misura più adatta rispetto a un regolamento, che è più complessa e difficile da approvare”, sostiene Pamela Bartlett Quintanilla. Per questo il gruppo dei Verdi al Parlamento europeo ha presentato nel maggio 2016 una proposta di direttiva, che dovrebbe servire da base per la discussione con gli altri gruppi e con le istituzioni europee. La proposta è stata accolta positivamente dal presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, dal vicepresidente Frans Timmermans e dalla commissaria alla giustizia, Věra Jourová. Quest’ultima ha peraltro lanciato a inizio marzo una consultazione pubblica sulla protezione degli informatori, che si è chiusa il 29 maggio, per raccogliere feedback dalle parti interessate sul tipo di protezione che esiste negli stati membri, i punti deboli e le migliorie che potrebbero essere portate a livello nazionale ed europeo. La Commissione si è inoltre impegnata a produrre un testo — senza specificare di che tipo — da qui alla fine dell’anno.
Nel frattempo il Parlamento ha approvato con un’ampia maggioranza, a febbraio, una risoluzione nella quale chiede alla Commissione di proporre “immediatamente” “un programma efficace e ampio di protezione dei whistleblower” e “la creazione di un organismo indipendente legato all’Ue, con degli uffici negli stati membri, per aiutare i whistleblower all’interno delle istituzioni e all’esterno a rivelare le potenziali irregolarità” nell’utilizzo dei fondi europei.
L’adozione di una direttiva appare tanto più urgente, osserva Gutierrez, che “molti paesi membri — il Regno Unito, la Francia, la Polonia o la Germania — hanno adottato di recente delle misure, in particolare in materia di sorveglianza delle comunicazioni, che limitano la protezione delle fonti dei giornalisti, quali appunto gli informatori, o che hanno per effetto di dissuadere i potenziali informatori di rivolgersi ai giornalisti. E il problema è che i cittadini non sembrano emozionarsi più di tanto per questo e paiono rassegnati a vedere le loro libertà, a cominciare dal diritto all’informazione, ridursi. Il problema è che una volta rinunciato a un diritto, è estremamente difficile tornare indietro.”
Questa pubblicazione/traduzione è stata prodotta nell'ambito del progetto Il parlamento dei diritti, cofinanziato dall'Unione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.
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