Gavrilo Princip punta verso di noi la sua pistola. Siamo noi i suoi nemici? Il regista Dino Mustafić, nella messa in scena dell'ultima opera teatrale di Biljana Srbljanović, spinge sul parallelismo tra l'omicidio di Francesco Ferdinando e quello dell'ex premier serbo Zoran Đinđić. Una recensione
(Pubblicato originariamente sul quotidiano serbo Danas il 14 marzo 2014, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBC)
L'attore Milan Marić, nel ruolo di Gavrilo Princip, punta verso di noi la sua pistola. Cosa significa? Siamo noi i suoi avversari? Questo gesto è sufficiente ad annullare le migliaia di parole pronunciate nel corso del dramma teatrale e a rivelare i presupposti ideologici da cui è partito il regista.
Nonostante quanto vanno affermando i protagonisti di quest'opera, in scena ma anche sui media, sottolineando “l'idealismo” dell'assassino dell'arciduca Francesca Ferdinando, simbolo del regime di occupazione della Bosnia Erzegovina, questo gesto svela il loro disgusto nei confronti del testo che interpretano. L'idealismo può esistere a prescindere dall'atto sanguinario?
E' con questo gesto che si svela il partito preso dal punto di vista ideologico del regista Dino Mustafić nella messa in scena del pezzo teatrale di Biljana Srbljanović, Mali mi je ovaj grob (Questa tomba è piccola per me), presentato al teatro Bitef di Belgrado.
Questo slittamento, questa boutade (se di boutade si tratta), si riferisce direttamente ad un'aberrazione ideologica alla quale hanno finito per soccombere numerose personalità pubbliche e numerosi intellettuali che ripetono, come pappagalli, che “la pallottola di Princip ha continuato a vagare nei Balcani sino al giorno in cui ha colpito il primo ministro Đinđić..."
Tra loro Željka Udovičić Pleština, che ha scritto nel programma di presentazione del dramma teatrale che “la pallottola di Gavrilo attraversa la regione da più di un secolo”.
E' la stessa autrice del dramma, Biljana Srbljanović, a porre l'analogia tra l'assassinio di Francesco Ferdinando, il 28 giugno del 1914 e quello del primo ministro Zoran Đinđić, il 12 marzo 2003, affermando che “il principio di Princip” era lodevole e spiegando che l'attentato di Sarajevo sarebbe stato “un atto contaminato da principi contraddittori”. Spiega inoltre che Princip si dichiarava un patriota jugoslavo, membro della Giovane Bosnia ma che commettendo l'attentato è divenuto una semplice marionetta della Mano Nera, l'organizzazione segreta serba diretta dal colonnello Dragutin Dimitrijević Apis.
Quest'ultimo avrebbe quindi compromesso le idee jugoslave della Giovane Bosnia utilizzandole in chiave pan-serba, e gli autori dell'attentato sarebbero stati di fatto non coscienti del loro ruolo di marionette.
Queste affermazioni portano a due slittamenti interpretativi.
Innanzitutto, se Gavrilo Princip ha ucciso il rappresentante dell'invasore austro-ungherese in quanto militante del nazionalismo serbo, lo stesso [nazionalismo] che ispirerà, più tardi, il genocidio di Srebrenica - e non come riteneva lui, in quanto combattente jugoslavo per la libertà - allora quest'assassinio è di fatto un crimine contro l'umanità.
Inoltre, se la morte di Francesco Ferdinando è stata tramata da queste cerchie nazionaliste, fomentate dalla polizia segreta, esattamente come avvenuto per l'omicidio del premier Zoran Đinđić, si può non solo fare un'analogia tra il modo in cui i due uomini sono stati assassinati, ma anche sui loro rispettivi ruoli politici.
Va bene ribellarsi quando si hanno vent'anni
Com'è che Biljana Srbljanović prova a risolvere questa confusione ideologica? Lo fa presentando i membri della Giovane Bosnia come adolescenti, giovani immaturi che, per amore di una grande idea, commettono un crimine odioso sacrificandosi completamente. Soggettivamente, sono quindi degli eroi. Oggettivamente, dei terroristi. Quest'interpretazione non fa che tracciare un confine tra la motivazione che spinge all'assassinio e l'assassinio di per se stesso. Un confine del tutto artificiale.
Nella versione di questo stesso dramma teatrale presentata lo scorso ottobre alla Schauspielhaus di Vienna, in una messa in scena del regista Michał Zadara, l’indecisione dell'autrice è magistralmente superata con la creazione di due forme di identificazione. All'inizio lo spettatore affronta un legame spirituale con l'ingenuità idealista dei membri della Giovane Bosnia prima dell'assassinio. Poi, alla fine dell'opera, sentono compassione per gli assassini condannati e torturati nelle buie prigioni austriache. E così l'opera colpisce con un messaggio forte e autentico che esprime un punto di vista chiaro: la gioventù deve essere rivoluzionaria, ma gli atti illeciti devono essere giudicati. Il tutto è impregnato di un senso acuto di tragica bellezza, la bellezza tragica della colpa imperdonabile dell'eroe.
Contrariamente a Michał Zadara, che ha riempito il silenzio della Srbljanović sulla questione del valore morale dell'attentato suscitando l'empatia del pubblico nei confronti dei membri della Giovane Bosnia, Dino Mustafić ha trasformato questo silenzio in rumore e furore creati da interpretazioni storiografiche e giornalistiche contraddittorie dell'assassinio.
Il punto centrale della messa in scena di Dino Mustafić è occupato dalla macelleria della Prima guerra mondiale, presentata sotto forma di una metafora banale, o più precisamente, sotto la forma di una metonimia. Con un realismo straordinariamente piatto gli attori, vestiti da macellai, tagliano grossi pezzi di carne, cantando, ripetendo ad alta voce le parole che riempiono le colonne dei giornali serbi ed austriaci dell'epoca e mescolando, allo stesso tempo, elogi e condanne agli assassini... Alla fine del dramma teatrale, al posto dei monologhi proposti dall'autrice, si assiste ad una totale cacofonia di confessioni incrociate, dove la voce del colonnello Apis si mescola a quella di Princip... L'autore ha anche inserito nelle repliche di Apis frasi pronunciate da Milorad Luković Legija all'epoca del processo per l'assassinio del primo ministro Đinđić.
Ecco nuovamente la prova che un ambiguo partito-preso crea scene confuse, o piuttosto che scene confuse rivelano un partito-preso incerto. Ma tutto è poi chiarito dal revolver puntato sul pubblico.
Una rottura rivoluzionaria contro l'ordine costituito
Presto si ricorderà il centenario dal gesto di Princip, ed è tempo di dire una volta per tutte che il 28 giugno del 1914 a Sarajevo, per la prima volta e l'ultima, il futuro del mondo intero si è giocato sul territorio dei Balcani. Il colpo di pistola di Princip ha segnato una rottura rivoluzionaria dell'ordine costituito, creando le condizioni di una nuova associazione di popoli, di nazioni, di paesi.
La Prima guerra mondiale non è la conseguenza di un colpo di pistola, ma quest'ultimo è stato il pretesto! I milioni di vittime di questa guerra sono stati causati dall'ideologia contro la quale Princip ha sparato.
Ripetiamolo, questo è il più grande momento della storia degli slavi del sud e non è una caso che ispiri così tante opere artistiche. Njegoš cantava un'ode al dovere più sacro dell'uomo, che è quello di tagliare la testa alla tirannia, Jovan Jovanović Zmaj affermava che i funerali sono più belli quando sono gli ideali a sotterrare l'uomo. Miloš Crnjanski, nel suo Spomena Principu (Monumento a Princip), Ivo Andrić nel suo Priča o Kmetu Simanu (Il racconto del servo Siman), Danilo Kiš, con Una tomba per Boris Davidovič o ancora Filozofija Palanke (La filosofia della provincia) di Radomir Konstantinović sono là per ricordarcelo…
Diciamolo dunque, signore e signori, Princip non spara sul pubblico, non spara su Belgrado, non su Sarajevo e nemmeno su Vienna, ma spara mirando ben oltre il pubblico, oltre ciascuno di noi. Il suo gesto è quello di milioni e milioni, della moltitudine in collera.
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