La reazione di gruppi di veterani a un documentario di Svetlana Broz, e l'aggressione di una giornalista a Ljubuški, sollevano domande sullo stato della libertà di informazione in Bosnia Erzegovina
L'organizzazione non governativa di Sarajevo Gariwo, diretta da Svetlana Broz, ha recentemente prodotto un documentario sulla vicenda di Nedeljko (Neđo) Galić. Si tratta di uno dei “giusti al tempo del male ”, persone che durante le guerre nei Balcani non hanno esitato a rischiare la propria vita per salvare quella del vicino, indipendentemente dalla sua religione o nazionalità.
Rolling Stones
Neđo Galić era nato a Ljubuški, in Erzegovina, nel 1949. Il documentario non dice molto della sua vita prima della guerra. Sappiamo che scriveva poesie, che portava i capelli lunghi nella Jugoslavia degli anni '70 e '80, che suonava la chitarra e ascoltava i Rolling Stones.
Quando, nell'estate del 1993, la guerra arrivò nella sua città, dopo la rottura tra croati e bosgnacchi (musulmani), Neđo si schierò a difesa di questi ultimi che, a centinaia, venivano rinchiusi nel campo di concentramento Heliodrom. Protestò di fronte alle “proprie” autorità (croate) gridando che quello “era un crimine”, e che non potevano farlo. Invano.
Galić, che era un radioamatore, scoprì un modo per salvare i bosgnacchi da Heliodrom facendo finte telefonate di garanzia dall'estero e procurando loro documenti (falsi) per lasciare il Paese. Secondo Gariwo, la macchina di soccorso organizzata da Neđo Galić per aiutare i suoi vicini riuscì a far uscire da Heliodrom almeno 1.000 persone. Alcuni di questi, in questo modo, hanno salvato la vita.
Lo stesso Galić scappò infine da Ljubuški, con la moglie e i tre figli, dicendo di non voler rimanere a vivere con dei “fascisti che vogliono una nazione 'pulita'”. Andò a Praga come profugo con la famiglia, rifiutando però di accettare aiuto dalle organizzazioni internazionali: “Non sono un rifugiato, me ne sono andato da solo, nessuno mi ha costretto”. Quest'anno ha ricevuto, postumo, il premio “Duško Kondor” (1), assegnato ogni anno in Bosnia Erzegovina a persone che hanno dimostrato il proprio coraggio civile. Neđo Galić è morto nel 2001.
Tensione a Ljubuški
Il documentario su di lui è stato presentato a Ljubuški, dove ora vivono la moglie e i figli, il 16 luglio scorso. Nei giorni antecedenti all'evento, su diversi portali “patriottici” sono comparsi insulti e minacce indirizzati alla famiglia Galić. La proiezione è stata accompagnata dalle proteste dei veterani di guerra, che si erano radunati di fronte alla sala municipale dove il film veniva presentato.
Alcuni giorni dopo, la moglie di Neđo, Štefica Galić, redattrice del portale informativo Tacno.net , è stata violentemente attaccata e percossa per la strada a Ljubuški, mentre passeggiava con un'amica nei pressi del monastero francescano di Humac.
Diverse organizzazioni internazionali, inclusa Reporter senza frontiere, hanno levato la propria voce a difesa di Štefica Galić. In un editoriale dello stesso portale Tacno.net viene inoltre rivelata l'identità di una delle persone che hanno aggredito la giornalista. Si tratta di un'attivista delle locali organizzazioni dei veterani. La polizia, però, non ha preso provvedimenti di rilievo, stabilendo che l'aggressione nei confronti della giornalista rappresenta solo una “lieve” offesa all'ordine pubblico.
A difesa di Štefica Galić
Numerose associazioni e organizzazioni bosniache hanno sottoscritto una petizione in difesa di Štefica Galić, giudicando il comportamento sin qui tenuto dalla polizia locale come “inadeguato”. La petizione è indirizzata alla Procura cantonale (Erzegovina occidentale) e federale, affinché vengano prese misure contro la campagna di odio e intolleranza nazionale e religiosa scatenata nell'area di Ljubuški prima e dopo la proiezione del documentario.
L'aggressione a Štefica Galić, e l'ondata di odio contro la sua famiglia e gli autori e produttori del documentario, rappresentano un grave attacco alla libertà di parola e alla sicurezza dei giornalisti in Bosnia Erzegovina. Štefica Galić e la sua famiglia necessitano protezione. Al di là della scontata solidarietà, però, l'aspetto più inquietante di questa vicenda è che, nella Bosnia del 2012, sono ancora i giusti ad essere in pericolo. Allora, cosa è cambiato dal 1993?
(1) Duško Kondor era un insegnante di scuola superiore e attivista per i diritti umani di Bijeljina. Nel 1993 era stato testimone dell'omicidio di 26 musulmani avvenuto nella sua città, proprio sotto le sue finestre. Anni dopo la guerra si era pubblicamente dichiarato pronto a testimoniare contro gli indiziati di quella e altre atrocità avvenute a Bijeljina. Continuamente minacciato, venne infine assassinato nel suo appartamento da due persone il 22 febbraio 2007.
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