Due collettività locali croate si stanno mobilitando per dire “no” ai progetti di costruzione di centrali termiche a carbone nel paese. Il governo a guida social-democratica, già precario, si prenderà il rischio di proseguire lungo la strada intrapresa?
(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Blakans il 28 febbraio 2015)
Considerato tossico per l'ambiente e causa di rilevanti emissioni di CO2, il carbone sta attirando gli strali dei militanti ecologisti che si battono contro la creazione di future centrali termiche previste dal governo croato. E per portare avanti le loro rivendicazioni, utilizzano lo strumento del referendum. E' in Dalmazia che hanno vinto al loro prima battaglia: a Ploče, nella regione turistica di Dubrovnik, i cittadini hanno detto “no” all'inquinamento. Un messaggio forte inviato al primo ministro Zoran Milanović.
In una consultazione pubblica locale che si è tenuta lo scorso 25 gennaio a Ploče – cittadina da 10.000 abitanti - il 90% ha votato contro la costruzione di una centrale elettrica a carbone. Su 8.700 voti raccolti 7.771 sono stati quelli contrari al progetto voluto sia da Ivan Vrdoljak, ministro per l'Economia e l'Energia che dall'autorità portuale di Ploče.
Il sindaco, al contrario, si è sempre schierato contro al progetto, e si è congratulato del risultato del voto. “I referendum locali hanno un'importanza non indifferente e questa giornata mostra che occorre rispettare le opinioni della popolazione e delle collettività territoriali”, ha dichiarato Krešimir Vejić, primo cittadino di Ploče, dell'Hdz.
Il referendum locale ha carattere esclusivamente consultativo e dal punto di vista giuridico non obbliga il governo a fare marcia indietro, ciononostante i cittadini possono gridare alla vittoria. L'indomani del voto il porto di Ploče, principale promotore di questa centrale da 800 MW, ha annunciato in un comunicato stampa che “rispetterà la volontà dei cittadini”.
Due miliardi di tonnellate di carbone
Di fronte ad un tale successo, i difensori dell'ambiente hanno deciso di portare avanti una seconda battaglia. Questa volta a Plomin, paesino istriano di un centinaio di abitanti che dovrebbe a breve ospitare una nuova – e terza per la zona - centrale termica a carbone denominata “Plomin C”. Il governo pianifica di riuscire a firmare i contratto entro l'aprile del 2015 con il principale investitore nel progetto, i giapponesi della Marubeni, le autorità locali hanno tutta l'intenzione di non darsi per vinte.
“Organizzeremo un altro referendum... ciò che è avvenuto a Ploče ci ha molto aiutati. Dopo quel risultato i sei comuni coinvolti nella costruzione della centrale si sono messi al nostro fianco. La consultazione pubblica si terrà al più tardi tra un mese” dichiara, con sicurezza, Tedi Chiavalon [il referendum è previsto per il 29 marzo, ndr].
Quest'ultimo è uno dei membri della presidenza della Dieta democratica dell'Istria (IDS) ed accusa l'esecutivo croato di aver fatto della questione dell'energia una priorità nazionale, bypassando così le comunità locali. “Non abbiamo più il diritto di dire la nostra sulla questione”, denuncia Chiavalon, membro dell'IDS, uno dei quattro partiti che formano la coalizione di governo in Croazia. Per aggiungere poi con rammarico: “Nel piano regolatore abbiamo indicato la nostra volontà di costruire una centrale a gas e non a carbone, ma il partito Socialdemocratico non ci ha ascoltati”. Perché allora la Dieta istriana non è intervenuta sugli alleati di governo? “Avremmo potuto abbandonare la coalizione, è vero, ma questo ci avrebbe impedito di avanzare su altre questioni aperte”.
Dietro ai politici locali vi sono tre associazioni che portano avanti la battaglia contro “Plomin C”. Greenpeace Croatia, Zelena Akcija e Zelena Istra sostengono attivamente la necessità di indire un referendum. “Il governo ha annunciato che questa centrale garantirà l'autonomia energetica della Croazia. Uno studio di Greenpeace mostra esattamente il contrario. Per far funzionare Plomin C saremo obbligati ad importare carbone!”, s'indigna Dušica Radojčić, presidentessa di Zelena Istra.
Questo studio, che si è basato seguendo la metodologia dell'Agenzia europea per l'ambiente, sottolinea che “Plomin C” avrebbe bisogno di due miliardi di tonnellate all'anno di carbone per funzionare e causerebbe l'emissione di 2.607 milioni di tonnellate di CO2. Dal punto di vista sanitario la nuova centrale – secondo lo studio – rischia di causare 36.163 casi di malattie respiratorie all'anno. L'Ong Greenpeace ha stimato anche i costi aggiuntivi, legati all'inquinamento e al cambiamento climatico, che arriverebbero a 124,8 milioni di euro all'anno e si aggiunge che si potrebbe arrivare al decesso prematuro di 680 persone nei prossimi 40 anni.
A simbolo di questo numero di decessi colossale i militanti di Zelena Istra hanno portato con loro, durante una manifestazione di sensibilizzazione, 680 silhouette nere davanti alle centrali Plomin A e Plomin B.
Un governo fragile
Plomin C non è ancora stata costruita, ciononostante questo piccolo paese dell'Istria è già conosciuto per la ciminiera di Plomin B, che con i suoi 340 metri è la più alta costruzione della Croazia. Plomin B, inaugurata nel 2000, è stata costruita per rafforzare l'attività di Plomin A, costruita nel 1969 e che dovrebbe chiudere nel 2016. Plomin C è progettata per colmare il vuoto lasciato dalla struttura più vetusta.
“Le caratteristiche della prossima centrale sono definite dal piano regolatore della contea dell'Istria. Plomin C non dovrà superare i 125 MW. Occorre sapere che attualmente Plomin A fornisce 120 MW e Plomin B 210. Ma lo stato ha deciso di costruire una centrale dalla potenza di 500 MW” denuncia Dušica Radojčić.
La seconda condizione stabilita dal piano regolatore locale, Plomin C dovrà essere alimentata a gas, ancora una volta è stata disattesa dal governo. “Durante le consultazioni pubbliche sull'impatto ambientale del progetto abbiamo sottolineato che la soluzione del gas non era nemmeno stata presa in considerazione” conclude la militante verde.
Gli ambientalisti vinceranno questo braccio di ferro con l'esecutivo croato? Per Plomin C l'unico referendum possibile è locale e col valore consultativo, dato che la questione energetica rientra nella sfera dell'interesse nazionale. Ciononostante una vittoria dei “no” metterebbe seriamente in forse il progetto.
I Socialdemocratici, attualmente al potere, si preparano ad un anno elettorale difficile. Dopo la sconfitta alle presidenziali per il presidente uscente Ivo Josipović, perdere per strada un alleato storico come l'IDS sarebbe un ulteriore duro colpo.
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