Il premier croato apre ad un referendum sulle trivellazioni in Adriatico. Esultano gli ambientalisti ma chiedono un'adeguata campagna di informazione. Intanto Italia e Slovenia hanno chiesto alla Croazia di partecipare alla procedura di Valutazione Ambientale Strategica
“In Croazia si è andati al referendum anche su questioni non di rilevanza nazionale, allora io dico: andiamo al voto e vediamo se vogliamo o meno sfruttare le risorse dell’Adriatico”, ha affermato il premier croato Zoran Milanović il 4 marzo scorso . In visita all’isola di Rab, il capo del governo croato ha sorpreso tutti con questa dichiarazione. Se il ministro dell’Energia Ivan Vrdoljak sembrava inflessibile, Milanović ha aperto invece una breccia agli ecologisti.
I suoi concittadini si sono già espressi via referendum contro la centrale termoelettrica di Ploče e voteranno presto sulla privatizzazione delle autostrade e sulla costruzione di un nuovo impianto energetico a Plomin, perché non votare allora anche sul petrolio offshore?
Gli ambientalisti festeggiano ma mettono le mani avanti. “Accogliamo con favore l’annuncio del Primo ministro Milanović, ma ovviamente ci aspettiamo che prima del referendum i cittadini siano ben informati e che sia garantita una procedura corretta”, ha affermato il comitato “SOS per l’Adriatico” . “Ricordiamo che, purtroppo, il ministro Vrdoljak crede di avere il diritto di decidere sull’Adriatico e che, peggio, lo ha già fatto”, hanno proseguito le otto associazioni che formano il fronte anti-petrolio.
Il titolare del portafoglio Energia sembra infatti deciso ad andare fino infondo. “Sono alla testa di questo progetto fin dal primo giorno - afferma Ivan Vrdoljak il giorno dopo l’annuncio di Milanović - e il governo non getterà la spugna ora”. L’esecutivo croato è davvero spaccato sulla questione o si tratta solo di una strategia elettorale? Per l’opposizione di destra, Milanović pensa già alle legislative di fine anno e sarebbe alla disperata ricerca di consensi.
Che tipo di referendum?
Qualunque sia la ragione dell’annuncio, ancora non si sa come e quando dovrebbe tenersi l’eventuale referendum. Si tratterà molto probabilmente di un voto consultivo - essendo le questioni energetiche una priorità nazionale - da organizzarsi a livello locale, quindi solo nelle regioni costiere.
Per il gruppo “SOS per l’Adriatico”, l’abbandono del progetto petrolifero è da auspicare così come “una rapida chiusura della produzione sul versante italiano”. Perché se l’Adriatico è un bene comune, il Belpaese non fa certo la sua parte per salvaguardarlo.
“L’Italia ha 1358 piattaforme per l’estrazione del gas, contro 133 nelle acque croate”, fa notare in un suo recente articolo Večernji List , che invita i suoi lettori ad esprimersi sulla questione petrolifera. Risultato: tre quarti degli habitués del quotidiano conservatore sono d’accordo per trivellare.
Pressioni straniere
Oltre all’opposizione interna, il governo socialdemocratico si ritrova a fronteggiare anche una legittima (ma altrettanto indesiderata) pressione esterna. Italia e Slovenia hanno infatti chiesto alla Croazia di partecipare alla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), come previsto dalla direttiva 2001/42/CE e dalla Convenzione d’Espoo (EIE).
Il governo italiano ha inviato due note diplomatiche a Zagabria: la prima, datata 14 gennaio e rimasta inascoltata, e la seconda del 18 febbraio scorso. “Riteniamo utile mettere in copia di questa lettera anche la Commissione europea perché ne sia debitamente informata”, precisa a piè di pagina nell’ultimo documento Renato Grimaldi, del ministero dell’Ambiente.
Questa volta, la Croazia coglie la sottigliezza e risponde prontamente (e affermativamente) una settimana più tardi, il 26 febbraio, aprendo le consultazioni transfrontaliere. Le autorità di Roma hanno tempo fino al 4 maggio per sottomettere le loro osservazioni ai colleghi di Zagabria. Nonostante il disguido epistolare, le relazioni bilaterali restano ottime e - secondo le nostre informazioni - il ritardo della Croazia nella risposta alla prima nota diplomatica sarebbe dovuto ad “un problema nella ricezione dell’email”.
Se gli italiani sono riusciti ad ottenere una risposta dal governo croato, gli sloveni, invece, stanno ancora aspettando. Inviato il 24 febbraio, il loro appello è rimasto ad oggi lettera morta. Le autorità di Lubiana hanno citato la Convenzione di Espoo, ma hanno probabilmente dimenticato di mettere in copia Bruxelles…
“Speriamo di ricevere presto un messaggio da parte del governo croato - afferma il ministero sloveno dell’Agricoltura, delle Foreste e del Cibo, che aggiunge - il mare Adriatico è un mare chiuso e data questa sua specificità, ogni attività potrebbe avere delle conseguenze ambientali e socio-economiche sulle acque di nostra competenza”. Se la richiesta del governo sloveno sarà accettata, la firma dei contratti tra la Croazia e le aziende che hanno vinto il bando di esplorazione subirà un ulteriore ritardo.
Previsto inizialmente per il 2 aprile, l’inizio della fase di ricerca in Adriatico non potrà ora cominciare prima del 4 maggio, quando l’Italia trasmetterà le proprie osservazioni in materia. I cinque giganti dell’energia (OMV, ENI, INA, Marathon Oil e MedOilGas) dovranno quindi aspettare prima di poter esplorare i giacimenti di gas e petrolio nelle acque croate, così come dovrà aspettare il ministro Vrdoljak che si aspetta un guadagno di 2,5 miliardi di euro su cinque anni grazie agli investimenti esteri.
Nel caso si arrivasse ad un referendum, però, le trivellazioni potrebbero non soltanto essere posticipate ma annullate definitivamente. Il principale partito di opposizione, l’HDZ, ha già espresso la sua contrarietà alla “pericolosa avventura” del governo socialdemocratico, e il centrosinistra è lungi dall’essere compatto sul tema. Insomma, il sogno di Vrdoljak di trasformare la Croazia in una “piccola Norvegia” potrebbe restare nel cassetto.
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