Il membro ungherese della Commissione Europea non è stato confermato da Ursula von der Leyen alla politica di allargamento Ue. Paga così anni di ambiguità sulla sua indipendenza dal governo di Budapest, polemiche e scontri istituzionali a Bruxelles
Avversato dagli eurodeputati, sgradito a buona parte dei 27 governi dei Paesi membri, male accetto all'interno dello stesso direttorato generale che era stato chiamato a sovrintendere. La politica di allargamento dell'Unione Europea dà l'addio al commissario ungherese Olivér Várhelyi, senza molti rimpianti e con la speranza che il prossimo membro della Commissione guidata da Ursula von der Leyen (pronta al secondo mandato consecutivo) abbia a cuore più gli interessi dell'Unione rispetto a quelli nazionali.
Várhelyi, per il momento, non è sparito dai radar di Bruxelles, considerata la conferma a commissario designato da parte del governo di Viktor Orbán. In attesa della sua audizione al Parlamento Europeo - che con tutta probabilità non lo confermerà, dopo un quinquennio costellato di passi falsi, polemiche e scontri - la presidente von der Leyen gli ha già tolto il portafoglio dell'allargamento. Gli è stata affidata la responsabilità di coordinare la salute e il benessere degli animali , non certo una delle priorità politiche più urgenti per le istituzioni Ue in questo momento storico.
Al suo posto è stata chiamata la slovena Marta Kos. Anche lei dovrà passare da un'audizione parlamentare tutt'altro che agevole, ma il passaggio di testimone della politica di allargamento Ue tra l'inaffidabile Ungheria e l'avanguardista Slovenia è un segno dei tempi che cambiano a Bruxelles: c'è l'urgenza di concretizzare il processo di integrazione di nuovi membri che attendono da troppo tempo alla porta dell'Unione, soprattutto quelli dei Balcani Occidentali. Von der Leyen vuole affidabilità e imparzialità nel rapporto con i candidati all'adesione, tutto ciò che non ha avuto da Várhelyi durante il primo mandato alla guida della Commissione.
Chi è Olivér Várhelyi
Avvocato e diplomatico ungherese 52enne, prima dell'ingresso dell'Ungheria nell'Unione Europea Várhelyi ha lavorato al Ministero degli Esteri a Budapest per l'allineamento all'acquis comunitario, passando poi alla missione ungherese presso l'Ue a Bruxelles. Nel 2015 è stato nominato ambasciatore straordinario e plenipotenziario dell'Ungheria presso l'Ue, prima di essere nominato commissario europeo per la Politica di vicinato e l'allargamento nel 2019. Nonostante non sia mai stato formalmente affiliato a Fidesz (il partito del primo ministro ungherese), sia nel ruolo di ambasciatore sia in quello di commissario europeo Várhelyi è sempre stato considerato un fedelissimo di Orbán.
È proprio questa postura controversa che ha irritato le istituzioni Ue negli ultimi anni, considerato il ruolo di indipendenza che deve contraddistinguere i membri dell'esecutivo Ue rispetto agli interessi nazionali, come sancito dai Trattati fondanti dell'Unione.
Per esempio, Várhelyi è sospettato da tempo di essere la testa di ponte di Orbán alla Commissione Europea per ostacolare le sanzioni economiche contro il presidente serbo-bosniaco Milorad Dodik, responsabile della crisi istituzionale e democratica in Bosnia Erzegovina e stretto alleato proprio del primo ministro ungherese.
Ancora più grave, nel gennaio 2022 un gruppo di eurodeputati aveva inviato una lettera alla presidente von der Leyen chiedendo un'indagine indipendente sul presunto supporto del commissario per l'Allargamento alle posizioni secessioniste della Republika Srpska, definendolo "apertamente colluso con Dodik nella potenziale rottura della Bosnia Erzegovina".
Con l'inizio dell’invasione russa dell'Ucraina nel febbraio 2022 e la richiesta di adesione all'Unione da parte di Kyiv (insieme a Moldova e Georgia), è emerso chiaramente che affidare proprio all'Ungheria - attraverso un commissario fedele a Orbán - le leve di una delle politiche europee più delicate e cruciali può rappresentare un boomerang per le istituzioni Ue, impegnate ora nella sfida di allargarsi ad altri dieci Paesi aspiranti e allo stesso tempo riformarsi internamente.
Perché negli ultimi due anni e mezzo il governo di Budapest ha tentato di bloccare l'avvio dei negoziati di adesione dell'Ucraina, ha messo più volte a rischio l'unità dei Ventisette contro Vladimir Putin, e ha impedito l'adozione di regimi di sanzioni verso la Republika Srpska di Dodik e la Serbia di Aleksandar Vučić, in virtù del forte legame tra i tre regimi illiberali che sta minando l'equilibrio nei Balcani Occidentali e oltre.
Lo scontro con il Parlamento e le frizioni nella Commissione
Ad avvertire di questo rischio era stato, ancora una volta, il Parlamento Europeo. Nel gennaio 2023 il rapporto annuale sulla politica estera e di sicurezza comune adottato in sessione plenaria evidenziava la preoccupazione per "le notizie secondo cui il commissario per l'Allargamento cerca deliberatamente di aggirare e minare la centralità delle riforme democratiche e dello Stato di diritto nei Paesi in via di adesione all'Ue".
Solo un mese più tardi (era il 14 febbraio) lo stesso commissario Várhelyi, non accorgendosi del microfono rimasto acceso dopo il suo intervento alla sessione plenaria dell'Eurocamera, è stato sentito commentare "Quanti idioti ci sono ancora?", parlando degli eurodeputati intervenuti al question time sul rafforzamento della politica di allargamento Ue nei Balcani Occidentali. Várhelyi aveva poi parlato di "malinteso", ma dall'emiciclo di Strasburgo era arrivata la richiesta di dimissioni.
L’atteggiamento di Várhelyi non ha causato un rapporto burrascoso solo con il Parlamento Europeo. Diverse fonti interne alla direzione generale Vicinato e negoziati di allargamento (Dg Near) riferiscono di frequenti malumori a diversi livelli per le posizioni e il modus operandi del commissario responsabile.
Le frizioni hanno coinvolto anche alcuni membri del Collegio dei commissari in occasione dell'attacco di Hamas a Israele il 7 ottobre 2023. Prendendosi una libertà di iniziativa non coordinata con l'alto rappresentante Ue Josep Borrell e con il commissario per la Gestione delle crisi Janez Lenarčič, Várhelyi aveva annunciato che "in qualità di principale donatore dei palestinesi, la Commissione Europea sta esaminando il suo intero portafoglio di sviluppo, per un valore totale di 691 milioni di euro".
Un post su X che aveva suscitato l'irritazione di buona parte della Commissione e su cui era dovuto intervenire il collega sloveno Lenarčič, puntualizzando che "gli aiuti umanitari alla Palestina continueranno per tutto il tempo necessario".
È in considerazione di tutte queste posizioni controverse, polemiche e scontri più o meno istituzionali che la presidente della Commissione Europea ha deciso di togliere quantomeno il portafoglio dell'allargamento all'Ungheria.
Nel dare l'addio a Olivér Várhelyi, che venga confermato o meno nel suo nuovo ruolo, a pochi mancherà il commissario responsabile nella Commissione uscente per i rapporti con i Paesi candidati all'adesione Ue. Il più avversato, sgradito e male accetto tra tutti i membri del gabinetto von der Leyen.
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