Gli ambasciatori Ue hanno dato il via libera all'apertura dei primi capitoli negoziali con Tirana, di fatto uscendo dalla “logica a pacchetto” che la lega a Skopje. La Macedonia del nord rimane bloccata su riforme costituzionali e nuovo scontro identitario con Grecia e Bulgaria
L'Albania vede accendersi il semaforo verde. La Macedonia del Nord rimane ancora ferma ai box. Gli ambasciatori dei 27 Paesi membri dell'Unione Europea hanno deciso di far avanzare i negoziati di adesione con Tirana, facendo di fatto cadere per la prima volta la “logica a pacchetto” che fino a oggi l'aveva legata (e spesso frenata) a Skopje.
Dopo oltre due anni dall'apertura dei negoziati - era il 19 luglio 2022 - l'Albania può così sedersi ai tavoli negoziali a Bruxelles per discutere dei primi capitoli della sua strada verso il futuro ingresso nell'Unione, mentre la Macedonia del Nord è ancora bloccata sull'adozione delle riforme costituzionali necessarie per soddisfare i parametri di apertura dei negoziati.
Tirana va
Il punto “Negoziati di adesione con l'Albania - Adempimento dei parametri di apertura sul Cluster 1: Fondamentali” era nell'agenda del 25 settembre del Coreper (Comitato dei Rappresentanti Permanenti, l'organo intergovernativo del Consiglio dell'Unione Europea che riunisce tutti gli ambasciatori presso l'Ue dei Paesi membri).
Con l'approvazione della lettera inviata dalla presidenza di turno ungherese alle autorità albanesi, i Ventisette hanno valutato in modo positivo l'allineamento di Tirana ai parametri di riferimento di apertura dei negoziati (opening benchmark) sul primo gruppo di capitoli dedicati a criteri economici, funzionamento delle istituzioni democratiche e riforma della pubblica amministrazione (5 su 33 totali).
Sono diverse fonti diplomatiche a Bruxelles a mettere in chiaro che "la questione tra Grecia e Albania è stata risolta", il vero ostacolo che per oltre un anno ha bloccato il via libera ai negoziati veri e propri.
Il riferimento è alla disputa che ha infiammato le relazioni tra i due Paesi dal maggio 2023, quando il sindaco di etnia greca della città albanese di Himarë Fredis Beleri è stato arrestato dalle autorità di Tirana con l'accusa di compravendita di voti. Da quel momento è iniziato un braccio di ferro diplomatico tra il governo greco di Kyriakos Mitsotakis e quello albanese di Edi Rama, il primo accusato da Tirana di voler influenzare un'indagine indipendente su una figura associata all'insurrezione armata della minoranza greca in Albania nel 1994, il secondo sospettato da Atene di processo "politicamente motivato".
Beleri è stato così candidato - e poi eletto membro del Parlamento Europeo - alle elezioni europee di giugno 2024 tra le fila di Nuova Democrazia (il partito del premier Mitsotakis), prima della definitiva scarcerazione a inizio settembre.
Sbloccare lo stallo diplomatico con la Grecia è stato fondamentale per procedere con i negoziati di adesione Ue dell'Albania, dal momento in cui ognuno dei Paesi membri detiene il potere di veto in Consiglio su ogni passaggio del processo di adesione, incluso quello sull'apertura e la chiusura di ciascuno dei 6 Cluster (raggruppamenti di capitoli negoziali).
A questo punto sia il Paese candidato all'adesione dal 2014 sia l'Unione Europea dovranno preparare le rispettive posizioni negoziali in vista della conferenza intergovernativa. Al momento non c'è alcuna data definita ma, come rendono noto le stesse fonti Ue, "l'intenzione e lo stato d'animo sono chiari" per svolgerla già "in ottobre".
Skopje attende
Il via libera all'Albania ha però un impatto indiretto anche sulla Macedonia del Nord, Paese candidato dal 2005 ma che da allora ha visto la sua strada di avvicinamento all'Unione Europea diventare sempre più tortuosa.
I due Paesi balcanici erano stati associati nel 2018 in quella che a Bruxelles viene definita "logica a pacchetto" - vale a dire che o si procede insieme o nessuno procede - ma stavolta, per la prima volta, è stato fatto uno scatto in avanti solo su uno dei due.
È vero che gli ambasciatori Ue non hanno formalmente deciso di spacchettare il dossier Tirana-Skopje, tuttavia far avanzare solo l'Albania con i negoziati sul Cluster 1 e lasciare indietro la Macedonia del Nord rappresenta nei fatti un primo strappo. Il riallineamento di Skopje dipenderà dalla sua capacità di implementare le riforme costituzionali richieste da Bruxelles anche solo per iniziare a discutere dei parametri completati, e questo scenario al momento non sembra affatto all'orizzonte.
Le istituzioni Ue evitano attentamente di parlare di sdoppiamento del dossier, ma non offrono spiegazioni su cosa accadrà se l'Albania dovesse concludere (molto) prima della Macedonia del Nord il proprio processo negoziale.
Perché, dopo il ritorno al potere della destra nazionalista di VMRO-Dpmne (sia al governo, sia alla presidenza della repubblica), Skopje ha riacceso le tensioni istituzionali con entrambi i suoi vicini membri dell'Unione Europea - Grecia e Bulgaria - con cui già nel recente passato si erano verificati pesanti scontri e veti sul processo di adesione Ue.
In primis sono riemerse le vecchie cicatrici nazionaliste con Atene, quando nei propri discorsi di insediamento il primo ministro Hristijan Mickoski e la presidente della Repubblica Gordana Siljanovska-Davkova hanno entrambi fatto riferimento al proprio Paese come "Macedonia", e non "Macedonia del Nord". Una decisione pesantemente criticata sia dal governo greco sia dalle istituzioni Ue, in quanto flagrante violazione dell'Accordo di Prespa firmato nel 2018 per mettere fine alla contesa identitaria e sbloccare il veto greco in Consiglio sulla futura adesione Ue di Skopje.
Ma è con la Bulgaria che i rapporti stanno tornando a lacerarsi, a due anni dall'iniziativa del presidente francese Emmanuel Macron (allora in qualità di presidente di turno del Consiglio dell'Ue) per mettere fine allo stallo bulgaro iniziato nel dicembre 2020 sull'avvio dei negoziati di adesione per Skopje, determinato da questioni storico/linguistiche.
Secondo quanto previsto dal quadro negoziale Ue, per aprire il Cluster 1 sono necessarie non solo tutta una serie di riforme - dal settore giudiziario alla gestione degli appalti pubblici, fino alla lotta contro la corruzione - ma anche emendamenti alla Costituzione nazionale, in particolare a proposito delle minoranze nel Paese (con concessioni linguistiche a quella bulgara).
Il governo Mickoski ha già messo in chiaro di non essere intenzionato nemmeno a discuterle, e questa intransigenza ha già avuto una conseguenza ad alto livello.
Durante l'incontro del 13 settembre a Sofia tra il presidente bulgaro Rumen Radev e la sua omologa macedone Siljanovska-Davkova non è stata esposta la bandiera con il sole giallo su campo rosso vicino a quella a bande orizzontali bianco-rosse-verdi, provocando l'indignazione delle autorità di Skopje.
Dopo la bandiera macedone, i prossimi a saltare per un nuovo veto bulgaro potrebbero essere proprio i tavoli negoziali Ue. Mentre l'Albania viaggia spedita verso la meta di diventare un nuovo Stato membro, con o senza la Macedonia del Nord.
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