Contro la nuova legge canadese che richiede ai social media di pagare le organizzazioni giornalistiche ogni volta che un utente condivide un link, Facebook ha bloccato l'accesso ai portali di notizie, scatenando la reazione di condanna del premier Trudeau. In Europa, intanto, arrivano nuovi regolamenti su rimozione di contenuti, pubblicità e disinformazione
Fine agosto 2023. Negli stessi giorni in cui in Europa entra in vigore il pacchetto di norme sui servizi e sui mercati digitali (DSA e DMA), che tutela i diritti e i dati degli utenti e prevede sanzioni per le piattaforme che non rivelino come funzionano i loro algoritmi e non rimuovano i contenuti ritenuti illegali, dall’altra parte dell’oceano "big tech" o meglio Facebook/Meta viene presa di mira dal governo canadese in uno scontro che dura ormai da mesi. Da quando il parlamento di Ottawa ha approvato una legge che, ispirandosi alla normativa UE in tema di diritto d’autore (la “Direttiva Copyright Digital Single Market ”, 2019/790), impone ai social media di remunerare i portali d’informazione per le notizie che vengono condivise sui social, il colosso californiano ha deciso di resistere e dal primo agosto i link dei siti di notizie, pubblicati dagli utenti su Facebook, non si possono né aprire né vedere in anteprima.
“Non è concepibile che un’azienda come Facebook scelga di anteporre il profitto al fatto che i media locali possano fornire notizie aggiornate ai canadesi, e raggiungerli lì dove i canadesi passano gran parte del loro tempo, online, sui social media, su Facebook”. Un attacco, quello del primo ministro Justin Trudeau, che arriva nel pieno di una stagione funesta per numero e virulenza degli incendi boschivi, quando le notizie e gli aggiornamenti su evacuazioni e calamità rimbalzano sui social.
Durante una conferenza stampa da uno dei territori dell’est il 21 agosto, il primo ministro canadese ha dedicato un paio di minuti a scagliarsi contro il colosso dei social media: “Proprio in questo momento, in una situazione di emergenza dove un’informazione locale aggiornata è più importante che mai, Facebook antepone i profitti dell’azienda alla sicurezza delle persone”.
Diritto d’autore e lettori da inseguire
Per comprenderne la portata, va detto che la reazione di Trudeau rientra in uno scontro che contrappone governo e Meta da diversi mesi: a meritarsi la condanna del primo ministro è stata la recente mossa di Facebook che, per evitare di dover pagare i contenuti giornalistici, ha deciso di impedire sulla piattaforma l’apertura di ogni link appartenente a organi di informazione. In pratica, dal primo agosto, se gli utenti condividono il link di un articolo giornalistico o di un servizio televisivo, in Canada non sarà possibile vederne l’anteprima, e una volta cliccato sul link, si leggerà “contenuto non disponibile”.
Il botta e risposta tra Facebook e governo canadese, che ha visto anche il governo nei mesi scorsi cancellare ogni inserzione sul social network, inizia con l’approvazione della legge sulle notizie online, l’Online News Act, Bill C-18 : le nuove norme prendono spunto da una legge australiana fortemente ispirata dalle norme UE sul diritto d’autore. Come le norme europee sul copyright, anche la legislazione canadese riconosce che una gran parte del traffico sui social è generata dalla condivisione gratuita di contenuti giornalistici che invece, in quanto coperti dal diritto d’autore, andrebbero remunerati in qualche modo.
Sia le norme UE sia la legge canadese, e presto anche una legge in elaborazione in California passata con approvazione bipartisan, prevedono che questa remunerazione sia decisa sulla base di accordi fra la piattaforma e il singolo editore; in Italia in particolare, dove la direttiva è stata adottata con il decreto legislativo 177/2021, spetta all’Agcom, l’Autorità Garante delle Comunicazioni, stabilire l’equo compenso che gli editori possono pretendere dai social media.
Ma perché il primo ministro canadese si scaglia contro Facebook e parla di democrazia messa in pericolo? “La scelta è di Facebook. In una democrazia, un giornalismo locale di qualità è importante, e lo è tanto più adesso, quando la gente è preoccupata per le proprie case, preoccupata per le proprie comunità, preoccupata per la peggiore estate che abbiamo avuto da molto tempo per via di eventi estremi”. In fondo, verrebbe da rispondere, se gli utenti vogliono consultare un organo d’informazione online, sono liberissimi di farlo aprendo un qualsiasi browser.
Può essere che gli utenti canadesi non se ne rendano conto? Può essere che la loro “presenza” su Facebook copra quasi interamente la loro attività online, rendendo il resto del web praticamente inesistente o in qualche modo complicato da raggiungere?
Siamo ad agosto, durante l’estate record per quantità, durata ed estensione degli incendi boschivi: quest’anno in tutto il Canada, solo da aprile, ce ne sono stati 5900, per un’area complessiva bruciata di oltre 15 milioni di ettari, pari a 150mila chilometri quadrati, in pratica mezza Italia in fumo. Sette volte più della media degli ultimi dieci anni. E, come nel 2021, molti di questi incendi si sono avvicinati ai centri abitati, con fumo e fiamme a costringere le autorità a deciderne l’evacuazione. Per questo Trudeau parla di giornalismo locale e di notizie aggiornate, e critica Facebook per aver impedito ai canadesi di accedere a queste notizie vitali dal luogo virtuale “dove i canadesi passano gran parte del loro tempo”, vale a dire su Facebook.
Il grande web fatto di piccoli spazi
La particolarità salta subito agli occhi stando qui in Canada, specialmente nei luoghi periferici e nelle comunità dei nativi: sembra che collegarsi a internet si riduca con l’accesso a Facebook, che sia per telefonare o per sapere che succede nel mondo o per comprare una barca. Se infatti il blocco deciso da Facebook avvenisse in Europa, le autorità e gli editori non farebbero che invitare gli utenti ad uscire dall'app di Facebook e aprire un browser di navigazione per accedere direttamente ai contenuti degli organi di informazione. Ma Trudeau chiede esplicitamente che venga garantita ai media locali la possibilità di raggiungere i lettori “dove i canadesi passano gran parte del loro tempo”. Proprio lì, su Facebook.
Anche il pacchetto UE del Digital Services Act (normativa sui servizi digitali) e del Digital Markets Act (legge sui mercati digitali), entrato in vigore il 25 agosto, parte ovviamente dall’assunto che ormai i cittadini europei passano gran parte del loro tempo online, su piattaforme dove consultano orari, acquistano e vendono, si informano, scambiano opinioni, cercano consigli, prenotano viaggi, ordinano cibo, ascoltano musica, vedono film. Non si parla solo dei social, e non si pensa solo a Facebook, ma al complesso delle piattaforme e dei “gatekeepers” (portinai) che gestiscono il traffico e le attività online.
Mentre quindi l’Online News Act canadese ricalca la normativa UE sul diritto d’autore, la visione del DSA e del DMA è più allargata e mira a introdurre nel mondo digitale le garanzie (sul commercio, sulla tutela dei dati, sulla onorabilità, ecc.) già esistenti nel mondo fisico: e se a livello politico e mediatico si è molto insistito sull’aspetto della rimozione dei contenuti ritenuti illegali, sull’obbligo di moderazione delle piattaforme social e sulla gestione della cosiddetta disinformazione, in realtà il pacchetto rappresenta un tentativo di regolamentazione della sfera digitale secondo principi condivisi e condivisibili.
La disinformazione, che nella legge non c'è
L’accento sulla disinformazione e sulla rimozione di contenuti da parte dei social network ne ha probabilmente alterato la ricezione, sia tra le forze politiche sia tra gli osservatori e anche tra gli utenti: si è parlato molto, forse troppo, della potenziale censura senza entrare nel dettaglio dei meccanismi, si è dibattuto con enfasi e trasporto sui presunti nefasti danni della disinformazione senza contemplare del tutto il diritto alla libera espressione e i rischi concreti di un approccio grossolano. Vero è che nelle 102 pagine del DSA ad esempio il termine “disinformazione”, che ricorre 13 volte, tutte nelle prime 30 pagine dedicate alle premesse, non compare nel testo legislativo: nel regolamento infatti si parla soltanto di “contenuti illegali”, quindi esplicitamente in violazione di leggi europee o dei singoli stati membri, quali ad esempio incitamento all’odio o alla violenza, molestie, pornografia minorile, apologia del terrorismo.
L’articolo 16 è dedicato al meccanismo di segnalazione e azione che consente a qualsiasi persona o ente di “notificare loro la presenza nel loro servizio di informazioni specifiche che tale persona o ente ritiene costituiscano contenuti illegali". Tali meccanismi sono di facile accesso e uso. Il nuovo regolamento aggiunge delle garanzie per gli utenti, precisando l’obbligo per i portali di adottare meccanismi trasparenti in un contesto dove finora le piattaforme hanno gestito la rimozione dei contenuti in maniera a dir poco “selvaggia”. Come autoproclamati sceriffi di un Far West digitale, provocando oltretutto qualche danno collaterale in termini di libertà di espressione e confronto democratico.
Per questo risultano tanto più sorprendenti le parole del primo ministro canadese, che invece si erge a paladino della libertà di stampa e del giornalismo locale affrontando il colosso dei social media; ed è interessante che quest'ultimo venga inteso come luogo, se pur virtuale, dove i cittadini passano gran parte del loro tempo. Come si trattasse di regolamentare la circolazione in un centro commerciale. Un luogo che, se pur a gestione privata, è chiamato dalla legge canadese a rispettare “i principi della libertà di stampa e dell'indipendenza del giornalismo”, indipendenza da garantire anche tramite la sostenibilità economica dei piccoli giornali di provincia.
“I social media – gli fa eco il Grande Capo Stewart Phillips, presidente dell’unione dei capi indiani della British Columbia – sono diventati uno strumento di organizzazione delle comunità, un’infrastruttura dove si possono facilmente condividere notizie. Non sappiamo che succederà nel lungo periodo, ma sappiamo già che non poter condividere notizie ha già disorientato le nostre comunità mettendo a rischio delle vite. Non bastano i portali di emergenza messi a disposizione dal governo e dalla protezione civile, non hanno la stessa capillarità dei social media”.
Ed è forse su questa fragilità degli utenti, sorvegliati speciali in un contesto chiuso, che potrebbero concentrarsi da subito la ricerca e la riflessione degli esperti, o dei filosofi. Per capire dove stiamo andando, e vedere quanto in realtà strette possano essere le maglie della rete, e come poco ampio sia in effetti l’orizzonte dei navigatori del world wide web.
Il progetto DJAS è co-finanziato da Open Society Institute in cooperazione con OSIFE/Open Society Foundations. La responsabilità dei contenuti di questa pubblicazione è esclusivamente di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa.
Questo progetto ha ricevuto finanziamenti dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell'Unione europea in virtù della convenzione di sovvenzione Marie Skłodowska-Curie n. 765140.
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