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L'ennesimo spostamento di confine, episodio avvenuto qualche settimana, ha allarmato la Georgia sul rischio che Mosca possa lentamente avanzare verso Tbilisi. L'UE condanna l'azione russa ma manca di risolutezza

31/07/2015 -  Simone Zoppellaro Yerevan

Davide e Golia, la piccola Georgia sola contro il gigante russo. Ancora una volta, questa frontiera estrema d’Europa – il Caucaso – torna a far parlare di sé sui media internazionali. La notizia è quella dell’ennesimo spostamento di confine fra la repubblica de facto dell’Ossezia del Sud, supportata da Mosca, e la Georgia. L’episodio, avvenuto fra il 10 e il 12 luglio nei pressi dei villaggi di Orchosani e Tsitelubani, rappresenta una nuova violazione della sovranità di Tbilisi, il cui territorio risulta già di circa il 20% fuori dal suo controllo e nelle mani di Mosca. Non si tratta della prima volta. A partire dal 2008, anno dell’invasione russa e della definitiva occupazione di questi territori, filo spinato e recinzioni vengono periodicamente spostate dai soldati a danno di Tbilisi, in quella che sono in molti a definire come un’annessione strisciante. Un fenomeno che riguarda anche l’Abkhazia, altro territorio georgiano de facto indipendente con il supporto decisivo o della Russia.

Mappa a cura di OBC

Mappa a cura di OBCT

Pipeline

Con una novità importante: questa volta, come confermato dal ministero degli Interni georgiano, nel chilometro e mezzo sottratto al controllo di Tbilisi c’è anche un tratto di pipeline della British Petroleum che da Baku porta il petrolio azero fino a Supsa, sulle coste del Mar Nero. Lasciando fuori la Russia, naturalmente. Una cosa, anche questa, non completamente inedita, ma che contribuisce ad alzare la tensione ponendo ulteriormente in rilievo la rilevanza strategica di simili mosse da parte di Mosca. Un’importanza che trascende le pur complesse dinamiche regionali, per abbracciare sempre più una prospettiva internazionale. Riguardo alla pipeline, il ministro dell’Energia Kakha Kaladze ha persino ipotizzato di ricorrere a “un progetto alternativo” qualora l’occupazione impedisse alla BP di avervi accesso. Troppa è la posta in gioco.

Altro particolare da tenere a mente: il nuovo avanzamento territoriale proietta la Russia a meno di un chilometro da un’importante tratto autostradale della regione che mette in collegamento la Georgia con l’Armenia, l’Azerbaijan e la Turchia. Proprio da qui passarono inoltre, nei cinque giorni di guerra del 2008, le truppe russe che si fermarono prima di raggiungere la capitale. È di tutta evidenza come, ora più che mai, Tbilisi si trovi sotto perenne scacco: i soldati di Mosca si trovano ormai a una sessantina di chilometri dalla capitale, uno spazio non sufficiente per garantire la sicurezza di uno stato. Inutile affrontare poi la questione dei rapporti di forza fra due paesi, e due eserciti, di entità così diversa. Quanto risulta a rischio oggi, anche in seguito al progressivo disimpegno dell’Unione europea dalla regione, è la sovranità stessa di Tbilisi.

Ma ciò non basta per avere un’immagine completa della situazione. Per comprendere meglio l’atteggiamento della Russia nei confronti della Georgia potremmo rispolverare il vecchio adagio della carota e del bastone. Mosca picchia duro, come sempre, e senza farsi molti scrupoli, ma ha anche imparato – soprattutto negli ultimi tempi – a sviluppare strategie di consenso nei confronti della piccola repubblica caucasica. Un soft power inedito che – dopo anni di dura resistenza contro Mosca – sta facendo nascere i propri frutti. Così, ad esempio, si è parlato questo mese di un impegno da parte di Mosca per una facilitazione dei visti per i cittadini georgiani. Su tutto, pesano tuttavia sempre due elementi fondamentali: il forte legame economico della Georgia con Mosca, e il ricatto onnipresente di questa occupazione territoriale. Si capiscono così anche una serie di reticenze – quasi a voler sorvolare sugli eventi – da parte di diversi esponenti del mondo politico georgiano.

Analisi

Per comprendere meglio la questione, abbiamo interpellato Richard Giragosian, direttore del Regional Studies Center di Yerevan ed uno dei massimi analisti politici della regione. Ecco la sua risposta: “Come dimostra anche questo ultimo esempio di aggressione dei russi nei confronti della Georgia, la sfida per la sicurezza non si limita alla guerra di Mosca contro l’Ucraina. Al contrario, vi è un crescente scontro con l’occidente, e questo tende a espandersi. Ancora una volta, la Georgia si trova ad essere in prima linea in questo scontro. Pertanto” - prosegue Giragosian - “il recente attacco russo contro Tbilisi rappresenta un test per l’impegno e la risolutezza dell’occidente, e fa sì che un supporto concreto della Georgia sia ora assolutamente cruciale. È arrivata l’ora di dare una risposta vigorosa e smetterla di cercare uno sconcertante appeasement. E ciò, in particolar modo, perché Mosca sembra rispettare e rispondere solo all’uso della forza”.

E in effetti, come affermato dallo stesso Giragosian, le risposte fornite dall’Unione europea paiono piuttosto deboli. Negli ultimi tempi, e in particolare dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina, Bruxelles pare tendere verso un progressivo disimpegno dalla regione caucasica, con ovvie ripercussioni sullo stato che più aveva investito nella prospettiva di una integrazione europea: la Georgia. Un trend negativo, dopo anni di avvicinamento e grandi aspettative in parte tradite, che ha trovato il suo momento più significativo nel vertice di Riga dello scorso maggio: un mezzo disastro.

Non sono mancate, d’altra parte, le condanne ufficiali all’ennesimo spostamento di confine da parte russa. È intervenuta così l’Alto rappresentante dell'UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini, che ha parlato di “un pieno supporto all’integrità territoriale della Georgia”. Del 21 luglio è invece l’intervento del presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, che in visita in quei giorni a Tbilisi, si è recato proprio sul confine conteso con l’Ossezia del Sud. Nell’occasione, condannando la “provocazione”, si è soffermato sulla necessità di dare una “risposta ferma ma responsabile”. Queste le parole. Altra cosa, tuttavia, è il voler incidere sulla questione, ponendo un freno all’espansione russa; e in questo senso l’UE pare al momento voler fare solamente orecchie da mercante.

Alle solite, assai più concreta è la presenza della NATO, che ha dato il via il 9 luglio nei pressi di Tbilisi all’esercitazione militare denominata “Spirito Agile”, che ha visto impegnati per due settimane, assieme ai marines americani e ai soldati georgiani, militari provenienti da Bulgaria, Romania, Lituania e Lettonia. Mentre i media di mezzo mondo erano impegnati a seguire la crisi greca e le ultime, convulse giornate di consultazioni prima dell’accordo sul nucleare iraniano, ecco dove guardava Mosca.


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