Migranti e rifugiati a Patrasso (foto Alexandra Menschick)

Migranti e rifugiati a Patrasso (foto Alexandra Menschick)

Centinaia di rifugiati e migranti vivono in fabbriche abbandonate e tende da campeggio nei pressi del porto di Patrasso, con la speranza di lasciare la Grecia e proseguire verso l’Europa settentrionale

05/02/2018 -  Giovanni Vale

Fabbriche abbandonate, come a Subotica al confine tra Serbia e Ungheria; tende da campeggio montate qua e là come a Calais a ridosso della Manica; problemi di igiene, malattie e violenza… Una “giungla”, insomma, come ne sono state battezzate tante in Europa negli ultimi anni. È questa la situazione al porto di Patrasso, in Grecia, dove centinaia di rifugiati e migranti aspettano di poter salire su uno dei camion diretti via mare in Italia, per poi proseguire il proprio viaggio verso l’Europa settentrionale. Come accadeva per anni tra il 2009 e il 2012, la regione dell’Acaia ed il suo capoluogo, Patrasso, sono dunque nuovamente al centro di una via migratoria, dopo che la chiusura della rotta balcanica e l’accordo tra l’Unione europea e la Turchia hanno sigillato i confini della Grecia. Afghani, pakistani, ma anche algerini e marocchini abbandonano i campi profughi sparpagliati sul territorio greco e si dirigono in questo cittadina ad ovest del golfo di Corinto dal quale salpano i traghetti per la Puglia.

Secondo le associazioni umanitarie, che si fanno sempre più numerose nell’area, sono circa 400 i rifugiati e i migranti che vivono oggi nelle due fabbriche abbandonate vicine all’area del porto. “Il doppio rispetto a gennaio 2017”, commenta Luath Glendinning, cofondatrice dell’ONG svizzera FoodKIND. Quest’organizzazione, che si occupa di distribuire pasti caldi in diverse località della Grecia interessate dal fenomeno migratorio, è arrivata a Patrasso un anno fa. “Ci è stato detto che c’era un gruppo di persone che viveva completamente abbandonato e in condizioni tremende. Così abbiamo deciso di fare qualche ricerca - racconta Glendinning - abbiamo scoperto un grande gruppo di uomini e ragazzi, molti sotto i 18 anni, che non avevano accesso a cibo, abbigliamento o assistenza medica”. Da allora è partito un progetto che coinvolge una mezza dozzina di volontari a Patrasso e un’altra decina all’estero e che distribuisce, oltre ad alcuni beni di prima necessità, “una colazione, un tè caldo e un pasto ogni giorno, 365 giorni all’anno”.

"Impossibile debellare la scabbia"

Poco dopo l’arrivo di FoodKIND , l’associazione tedesca DocMobile è sbarcata anch’essa a Patrasso, offrendo assistenza medica alle persone accampate nei pressi del porto. Originaria di Bolzano, Sarah Galastri è una delle dottoresse che ha deciso di impiegarsi come volontaria con DocMobile al porto greco. Dopo averci passato tre settimane quest’estate, vi è tornata a fine gennaio 2018. “Rispetto a sei mesi fa, la situazione si è stabilizzata, ma ciò che è aumentato, purtroppo, è la violenza da parte delle forze di sicurezza contro le persone che cercano di entrare nell’area di imbarco”, racconta Galastri. Ogni giorno, decine di migranti e rifugiati tentano quello che è soprannominato “the game”, il gioco. Si tratta di scavalcare la rete che circonda il porto ed entrare, senza farsi notare dalle guardie, in uno dei camion pronti a partire sui traghetti diretti a Brindisi. In pochissimi ce la fanno, mentre chi viene sorpreso dagli agenti se ne torna indietro con “fratture”, “ematomi” o “morsi di cani”, come riporta la dottoressa Galastri.

Tra un tentativo di imbarco e l’altro, inoltre, le condizioni di vita all’interno delle due fabbriche abbandonate sono più che precarie. “Contro la scabbia, ad esempio, è una battaglia persa - fa sapere Sarah Galastri - tutti ce l’hanno e debellarla è semplicemente impossibile: è troppo sporco e i pazienti vivono tutti a stretto contatto, così anche quando curiamo i casi in cui il prurito diventa insopportabile, dopo qualche giorno è tutto da rifare”. Per attenuare le sofferenze di chi vive notte e giorno nelle due strutture abbandonate, il comune di Patrasso ha provveduto ad installare dell’acqua corrente ed in futuro, afferma la volontaria di DocMobile, “ci saranno anche delle docce grazie a Medici senza frontiere, arrivati per la prima volta a fine gennaio”. Delle associazioni locali, infine, provvedono a portare vestiti e beni di prima necessità oltre che ad organizzare alcuni corsi di inglese, poiché, dati gli scarsi successi del “game”, la permanenza di migranti e rifugiati a Patrasso è molto lunga.

Grecia isolata nell’Unione?

Se i volontari parlano di “persone bloccate nel porto greco per oltre sei mesi”, come afferma Alexandra Menschick, volontaria dell’Ong tedesca Heimatstern.eV (che questa settimana ha montato due tende da dieci metri nell’area del porto), la Guardia costiera ellenica denuncia una situazione “a malapena gestibile”. A metà gennaio un ufficiale della Guardia costiera confidava infatti al quotidiano Ekathimerini che “garantire la sicurezza del porto è una battaglia continua”. E sempre ad inizio anno, il sindacato della Guardia costiera ellenica lanciava “per l’ennesima volta” un appello al governo di Atene, chiedendo “delle soluzioni immediate e drastiche prima che sia troppo tardi”, come riportava lo stesso quotidiano greco. Anche se il governo centrale ha provveduto ad inviare a Patrasso dello staff supplementare per sorvegliare il porto, la situazione rimane drammatica nella città dell’Acaia così come nel resto del paese, dove si trovano tuttora più di 64.000 rifugiati e migranti, di cui più di 15.000 in condizioni precarie sulle isole dell’Egeo.

Il governo di Atene, che come l’Italia contava sul sistema di trasferimento di 160.000 richiedenti asilo verso gli altri paesi dell’Unione europea, assiste ora alla chiusura definitiva di questo programma con l’uscita di scena di uno dei suoi principali sostenitori: la Germania. Lunedì 29 gennaio, infatti, Annegret Korff, un portavoce del ministero degli Interni tedesco, ha dichiarato alla Deutsche Welle che “non ci sono praticamente più richiedenti asilo in Grecia che possono beneficiare del trasferimento”. Una posizione confermata dallo stesso ministro degli Interni di Berlino, Thomas de Maiziere, secondo cui la Germania non imporrà più “a tutti i costi” il rispetto del sistema delle quote. E questo, anche se appena 33.000 rifugiati su 160.000 sono stati ricollocati da Italia e Grecia e anche se la Germania ha adempiuto ad appena un terzo della sua quota. In sede comunitaria, d’altra parte, è proprio la questione del ricollocamento e della solidarietà tra stati membri a rallentare ogni riforma della Politica europea di Asilo e del Protocollo di Dublino proposta dal Parlamento europeo.

Per il premier greco Alexis Tsipras, intervenuto nei giorni scorsi al Forum economico mondiale di Davos, il suo paese ha gestito la questione dell’immigrazione “con dignità”, mentre “molti altri stati [dell’Ue, ndr.] credono che se il problema non si trova nel loro cortile, allora non esiste”. Nei prossimi sei mesi, ovvero durante la presidenza bulgara del Consiglio dell'Unione europea, l’Ue dovrà dunque trovare un compromesso su questo dossier che “divide letteralmente l’Europa”, come ha affermato ad inizio gennaio il Primo ministro di Sofia Boyko Borisov. Il suo governo - riporta la Deutsche Welle - intende proporsi come ponte tra le due posizioni esistenti in Europa in quanto a gestione dell’immigrazione, prima che l’Austria (nota per la posizione intransigente sul tema) assuma la presidenza a partire dal 1° luglio. I documenti su cui intavolare la discussione non mancano, dato che una risoluzione richiedente “un approccio olistico” da parte dell’Ue sulla situazione nel Mediterraneo è stata adottata dal Parlamento europeo già nell’aprile del 2016.

Questa pubblicazione/traduzione è stata prodotta nell'ambito del progetto Il parlamento dei diritti, cofinanziato dall'Unione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.


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