Parte da Venezia, e da una lunga camminata alla ricerca delle tracce di Candia, "Lettere da Creta", la storia di un viaggio che ci accompagnerà sino alla fine dell'anno
(Vai a tutte le puntate di questo viaggio)
Per chi come me è cresciuto bordeggiando con una piccola vela di giorno e sognando sulle carte nautiche di notte, Creta è l'isola del desiderio. Un desiderio che ha una precisa rotta, da Venezia a Candia o Ηράκλειο, Irákleio come la chiamano oggi i cretesi. Una rotta che ricordo a memoria: diretta da Venezia a Corfù, 540 miglia nautiche per 135°, poi il periplo del Peloponneso fino a Capo Matapan è lungo 240 miglia, infine ancora 120 miglia lasciando l'isola di Citera a sinistra per arrivare prima a Canea, Chanià in greco, e infine a Candia. 18 giorni impiegò nel 1483 Frate Felix Faber, partito con una galea insieme ad altri pellegrini per la Terrasanta. “Al tramonto, sempre con poco vento, fu deciso di fare scalo a Candia e qui, non trovando alcun ospizio, dovemmo cenare in un postribolo”, trascrivo dal suo sintetico diario di viaggio. Perciò qualche settimana fa, quando finalmente sono riuscito a organizzare un più rapido viaggio aereo a Creta, sono voluto andare prima a Venezia, per cercare qualche traccia di quell'antico legame.
Giorno festivo di marzo, ma domenica di guerra in Ucraina e forse a Venezia più che in qualsiasi altra città italiana le terre e le storie ortodosse sono vicine. Domenica ventosa e gelida, con un cielo limpidissimo che fa scintillare la bianca Pietra d'Istria della facciata della Chiesa del Giglio. “Per noi è Santa Maria Zobenigo e sulla sua facciata troverai l'antica mappa di Candia, scolpita nella pietra”, mi scrive Cristina, amica libraia e marinaia, che conosce storie e genti, mappe e rotte della Serenissima. È questa la prima tappa di una lunga camminata veneziana alla ricerca di Creta, dieci chilometri di sestiere in sestiere, per fondamenta, rive, terrà, campi e campielli. Una geografia urbana che rimanda molto concretamente a quella isolana. Perché anche Creta, letteralmente acquistata dal doge al prezzo di mille marche d'argento da papa Bonifacio I che ne era diventato titolare dopo la caduta di Bisanzio nel XIII secolo, era stata suddivisa in sei sestieri corrispondenti a quelli veneziani e amministrati in stretta relazione con quelli della città. Così appena sceso dal treno, camminando per Canareggio, immaginavo il corrispondente territorio orientale di Creta, la città di Sitia, Gerapetra, Lasiti e Mirabello. Luoghi suggeriti e fantasticati, ma anche incontri inaspettati. Come con un musicista che suonava un liuto nel Campiello Barbaro, vicino alle Gallerie dell'Accademia. Come con la Mesopanditissa, una Madonna con Bambino conservata dietro all'altare maggiore della Chiesa di Santa Maria della Salute, capolavoro barocco, oggi impacchettato per restauro alla maniera di Christo e perciò ancora più misteriosa.
Prima tappa quindi alla Chiesa del Giglio, per vedere la pianta di Candia, un bassorilievo che insieme agli altri della facciata della chiesa, di monumenti e sarcofagi visibili in città, volevano far conoscere a tutti i veneziani i luoghi dello Dominio da mar, cioè dei vicini e lontani possedimenti d'oriente. Di questi il regno di Candia è stato bello, ricco e potente, "maggior nervo [...] della forza et reputatione" di tutta la Serenissima, riprendendo parole cinquecentesche. Chiesa del IX secolo, rifatta in stile barocco dalla famiglia Barbaro, per celebrarne ricchezza e potenza, attraverso un ricco corredo statuario e vedute planimetriche di Padova, Roma, Zara, Spalato, Corfù e la lontana Candia. Statue di angeli musicanti, putti, divinità e uomini, quelli della famiglia Barbaro, in una commistione che lo storico dell'arte inglese John Ruskin riteneva una “manifestazione di insolente ateismo”.
Di qui vado alle Gallerie dell'Accademia, per immergermi anche visivamente nei secoli d'oro della Repubblica, della sua espansione militare, commerciale culturale su coste e isole, piccole e grandi. Tra i tanti splendidi quadri mi soffermo su due intitolati entrambi Ratto di Europa, dipinti da Giambattista Tiepolo e da Francesco Zuccarelli. Tele di medio formato, settecentesche e ispirate alle vicende narrate nelle Metamorfosi di Ovidio. Scene divine, amorose e insieme terribili. Tiepolo ritrae Europa seduta sul dorso di un Toro mansueto, mentre alcune dame la imbellettano. Zuccarelli invece ritrae la principessa in groppa al Toro che già fugge in acqua e “tremolando le vesti si gonfiano di brezza”, riprendendo le parole di Ovidio. E proprio a Creta Giove, che conosceva bene l'isola per essere stato nascosto dalla madre in una grotta del Monte Ida e lì allattato dalla capra Amaltea, fece tappa con la bella Europa. Un viaggio mitico e fondativo, di relazione tra oriente e occidente mediterraneo, di cui Creta è il trait d’union, un meraviglioso trattino che tiene insieme l'Eur-Asia.
ps
Ho esplorato Creta per due settimane, muovendomi con i bus di linea, a piedi e in bici. Ma ben più lunghi sono i miei viaggi cretesi, fatti leggendo libri e cronache, ascoltando dischi e genti. Si può mettere la prua su Creta, incominciando a leggere: Sulle rotte della Serenissima. Con il «Vistona» verso gli scali veneziani del Levante di Franco Masiero (Mare di Carta, 2016) e Arcipelago. Isole e miti del Mar Egeo di Giorgio Ieranò (Einaudi, 2018).
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!