Una riflessione che parte dal Trentino, terra di confine e molto legata ai Balcani, sul Giorno della memoria. Un invito a farsi carico della memoria, a fare i conti col passato ed elaborare il conflitto. Un invito a non avere paura dell'altro
E' paradossale che il tema della memoria conosca una stagione di particolare attenzione proprio nel momento in cui l'effimero, l'idea che la rappresentazione del mondo sia riducibile ad un "qui ed ora" privo di passato e di futuro, pervade in profondità tanto i comportamenti individuali come quelli collettivi.
Niente di male, si potrebbe dire. Si tratta di un doveroso ricercare nella storia le ragioni del presente, in un tempo che appare smarrito. Ma non possiamo far finta di non vedere come il richiamo al passato assuma sempre più frequentemente un connotato identitario, spesso funzionale ad un uso manipolatorio della storia, che ben poco ha a che vedere con l'elaborazione del passato per imparare ad agire nel presente e pensare il futuro.
Sono il sangue e il suolo i segni delle appartenenze post-ideologiche. Si nutrono di ampolle e miti tribali, dei quali abbiamo stoltamente sorriso. E quando questi rituali si sono accompagnati allo stridore dei carri e al sordo rumore dei colpi dei cecchini, eravamo distratti o abbiamo girato il nostro sguardo da un'altra parte.
Oppure è la banalizzazione della memoria, come quando cattivo gusto e superficialità si sono incontrate nella scelta di intitolare alla "strafexpedition", ovvero ad uno dei capitoli più tristi di quella mattanza che va sotto il nome di "grande guerra", una pista da sci nell'altipiano di Folgaria.
O, ancora, quando si riduce la memoria alla retorica, dove le celebrazioni prendono il sopravvento rispetto ad un interrogarsi severo di come siano potute accadere le tragedie che hanno segnato la storia, nostra e altrui. Di come si pensi alla pace "dimenticandosi" di costruirne le premesse culturali o destinando agli armamenti quote crescenti di risorse pubbliche. O anche nella riduzione semplicistica della riconciliazione ad una sorta di richiamo buonista al perdono, con tanto di invito pragmatico a mettere da parte il passato.
Per fortuna in questa terra c'è anche molto altro. C'è un lavoro di grande profilo portato avanti da istituzioni culturali e da una miriade di soggetti e di realtà locali attorno alle pagine che hanno segnato il Trentino nel corso della storia. C'è un'attenzione verso la rivisitazione del "tempo degli assassini" e della "industria della morte" simboleggiata non a caso dalla scritta "Arbeit macht frei" che campeggiava all'entrata di Auschwitz. C'è una cooperazione internazionale che considera l'elaborazione dei conflitti come parte essenziale del proprio impegno. Ci sono luoghi formativi nei quali il valore dell'ascolto delle narrazioni "altre" è prassi concreta. Ci sono esperienze teatrali che affrontano nella loro programmazione temi di straordinario valore come la "banalità del male". C'è un "treno della memoria" che porta nei luoghi dell'olocausto centinaia di giovani coinvolti in un articolato percorso educativo. E c'è una realtà come il Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani che sta cercando di dialogare con le paure attraverso la valorizzazione delle nostre radici euromediterranee.
Tutto questo ci aiuta non solo a fare i conti con la storia, ci soccorre anche per affrontare il presente. Ma sbaglieremmo ad accontentarci di tutto questo, perché basta che solo usciamo da questi spazi di civiltà per evidenziare l'incapacità di avere buoni conflitti persino nei nostri microcosmi famigliari o condominiali, come l'incertezza verso il futuro diventi paura, come nei conflitti le narrazioni rimangano divise.
Non lasciamo questi temi ad una giornata pure importante. Non lasciamo che tutto attorno cresca il deserto e l'oblio. Cerchiamo di riconoscere la paura, prendendola per mano. Proviamo a dialogare con il dolore e la solitudine, prima che diventino rancore. Investiamo nella conoscenza e nelle relazioni. Coltiveremo così la memoria come qualcosa che ci aiuta ad abitare il presente.
*Michele Nardelli è Presidente del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani
*Giuseppe Ferrandi è direttore del Museo Storico del Trentino
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