Dal film "Quattro mesi, tre settimane e due giorni" di Cristian Mungiu

Storie di donne raccolte nell'antologia "Compagne di viaggio". 17 donne, 17 racconti che fanno emergere la realtà silenziosa e tragica dell'essere donna in Romania al tempo di Ceauşescu

12/07/2011 -  Daniela Mogavero

Un'antologia di genere che getta un fascio di luce su un periodo storico che molti tentano troppo spesso di dimenticare piuttosto che ricordare: il regime comunista di Ceausescu. Un tema trattato da molti testi ma che in “Compagne di viaggio”, edito nella versione italiana da “Sandro Teti Editore”, ritrova una visione peculiare e del tutto diversa dalle altre: quella delle donne. Elementi della società al pari degli uomini, nell'idea di “società socialista multilateralmente sviluppata” del Conducator, le donne in quegli anni dovevano sommare su di sé i tradizionali valori e doveri di mogli e madri con quelli della “moderna Romania”. Nell'antologia di 17 racconti, voluta in Romania da Radu Pavel Gheo e Dan Lungu si trovano testimonianze diverse e toccanti della vita sotto la dittatura di Ceausescu vista attraverso gli occhi spesso disincantati ma sempre sognanti delle donne.

Come hanno sottolineato nella prefazione Gheo e Lungu “la radiografia del comunismo romeno sarebbe incompleta in assenza di tale prospettiva”. Affermazione che fa comprendere a pieno l'importanza delle donne in quell'epoca di sofferenze, portata agli occhi dell'opinione pubblica prima dal documentario di Florin Iepan “Nati a comando. I figli del decreto” e poi dalla pellicola di Cristian Mungiu “Quattro mesi, tre settimane e due giorni”. I due film raccontato l'orrore della legge sul divieto di aborto che ha causato la morte di circa 10mila donne.

Agli occhi di una giovane donna del XXI secolo sembrerebbero privazioni senza pari anche i più piccoli disagi descritti dalle autrici: primo fra tutti quello legato alla mancanza di cosmetici, beni legati all'igiene personale (saponette Fa e deodoranti Rexona), calze e abiti alla moda, i jeans. Anamaria Beligan nel suo racconto descrive la vita di una prostituta zoppa che riesce a ritagliarsi un po' di femminilità grazie a una vestaglia di seta che fa da contraltare alle temute “mutandine tetra”, le uniche in circolazione. “Il sordido si manifestava nella difficoltà di avere un aspetto attraente”, dice Ioana Ocneanu-Thierry, sottolineando l'immagine della donna romena, dovuta sia alle ristrettezze economiche che alla mancanza di un modello femminile reale a cui aspirare e ispirarsi. Elena Ceauşescu non era presa ad esempio come donna elegante, ma come donna colta, per la fama di esperta di chimica e per i suoi successi, rivelatisi falsi dopo la caduta del regime.

Mariana Codrut sottolinea che “la parità assicurata alle donne per legge era solo una bella teoria senza valore pratico. Le donne avevano ora anche un lavoro, ma gli obblighi domestici erano uguali a quelli dei tempi delle loro nonne, poiché nella coscienza degli uomini tutto era rimasto praticamente immutato”. Lavori stancanti e mansioni spesso maschili in mezzo a cui le donne romene dovevano trovare il tempo per la famiglia. Per Ocneanu-Thierry però, “tutti, uomini e donne, eravamo parimenti sciagurati. Tutti compagni uguali nella miseria”. Nei diversi racconti si percepisce la complessità della vita quotidiana, con le code per il cibo e il razionamento della luce e le difficoltà nel procurarsi il minimo indispensabile per vivere. Emerge anche come spesso i romeni e soprattutto le romene fossero assuefatti a queste privazioni croniche. 

Nel libro viene dedicato ampio spazio alla triste vicenda del decreto 770 per l'incremento demografico che portò alle visite ginecologiche coatte e alla scelta di molte donne di abortire da sole, con conseguenze spesso devastanti che in alcuni casi portarono alla morte. Doina Rusti nel racconto autobiografico “I miei ginecologi” racconta la sua storia, dalla prima visita obbligatoria al ricovero per un'emorragia indipendente dalla gravidanza: “Ma esistono altri metodi per sapere se sono stata incinta. Non potete farmi un raschiamento se non ho nulla” dice la protagonista. “Se ti rifiuti ti registriamo come incinta e se più tardi la gravidanza non viene confermata si riterrà che hai abortito”, risponde senza mezzi termini il medico alla presenza di un rappresentante del governo.

Storie di vita quotidiana al tempo di Ceauşescu che evocano immagini che lasciano l'amaro in bocca. Una realtà per troppo tempo taciuta che in Romania ancora stenta ad emergere, come una ferita troppo fresca per essere guardata con distacco.


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