Un'immagine tratta dal fim "Parada"

Un'immagine tratta dal fim "Parada"

Sono passati 20 anni da quando il clown Miloud si è messo al fianco dei ragazzi di strada di Bucarest. Attraverso la storia dell'associazione che nacque da quella straordinaria esperienza, Parada, si ripercorrono questi ultimi anni in cui la Romania è cambiata radicalmente ma dove i bambini dimenticati dagli adulti sono ancora molti

20/09/2012 -  Silvia GenettiElia Luzzi

Ci sono molti modi per raccontare Parada: il più semplice e immediato è quello di limitarsi a raccontare la sua nascita, che coincide con la storia di Miloud Oukili, il clown franco-algerino che per primo avvicinò col sorriso i ragazzi di strada di Bucarest; un altro, forse più complesso, è quello che cerca di capire come Parada è nata, cresciuta e si è sviluppata in modo strettamente connesso alle vicende attraversate dalla Romania durante gli ultimi quindici anni.

L'illusione della "Rivoluzione"

Con la caduta di Ceauşescu molti in Romania erano convinti della possibilità di un reale cambiamento: la rivolta di Timişoara che si propagava di città in città e raggiungeva Bucarest, la tentata fuga del conducător in elicottero dal Palazzo Presidenziale davanti alla folla che lo fischiava e gli intimava di dimettersi, avevano ridato speranza e dignità alla gente rumena, che da anni viveva in uno stato di reale abbandono da parte delle istituzioni del paese. Le speranze della popolazione sarebbero state infrante di lì a poco.

Le cariche amministrative e pubbliche vennero ricoperte da figure appartenenti al vecchio regime dittatoriale, a partire dal neo presidente della Repubblica, Ion Iliescu; il mancato ricambio politico pertanto non aveva portato a nessun evidente cambio di rotta.
E' quindi lo scenario di un paese che doveva ancora ricominciare da zero quello che si presentava agli occhi del giovane Miloud Oukili, arrivato a Bucarest nel 1992 come animatore all’interno dell’associazione Handicap International.

Le laceranti contraddizioni che dividevano da una parte le speranze del popolo rumeno e dall’altra l’avida conservazione dello status quo da parte della classe politica, venivano esasperate nel disinteresse di quest’ultima nei confronti dei minori. Con la fine del regime ebbe termine anche il delirio megalomane di Ceauşescu in merito alla Grande Romania: entro il 2000 la popolazione sarebbe dovuta raddoppiare, così la dittatura emanò leggi che vietavano l’aborto e l’utilizzo di metodi contraccettivi e stanziò assegni familiari ai nuclei numerosi. La perdita di questi finanziamenti e la forte ondata di disoccupazione conseguente alla caduta del regime resero poi impossibile a molte famiglie, soprattutto nelle zone rurali, provvedere al sostentamento dei propri figli, che spesso venivano abbandonati o erano costretti a fuggire e vivere d’espedienti nella capitale.

I ragazzi di Bucarest

Da quel momento in poi si comincerà a parlare del fenomeno dei ragazzi di Bucarest, una generazione di giovani cresciuta in strada, che di notte trova rifugio nei canali sotterranei della città riscaldati dai tubi dell’acqua calda, e di giorno riemerge dai tombini fumanti alla ricerca di un modo per sopravvivere: lavare i vetri ai semafori delle strade, elemosinare, prostituirsi, tutto pur di rimediare qualcosa da mangiare, qualche sigaretta, un po’ d’alcool o la colla da sniffare, fattore onnipresente e distintivo di questa realtà, abusato anestetico di una condizione umana insopportabile.

A loro Miloud decise di donare il suo interesse e il suo impegno, cercando di stabilire un contatto calandosi nella loro realtà, nei canali sotterranei. Viveva e dormiva con loro, si batteva per dare loro un’alternativa di vita, utilizzando l’arte del circo per stimolare la loro curiosità e la loro voglia di cambiare. Accettandoli venne a sua volta accettato, e nacque così un rapporto basato sul rispetto e sulla fiducia, capace di offrire loro per la prima volta una possibilità concreta di cambiamento.

“Non ho mai amato questi bambini per compassione ma perché non ho voluto altro che essere con loro e che la mia rabbia fosse uguale o più grande della loro”.

Per quattro anni, con il supporto di altre ong e di personale che già operava a Bucarest, Miloud tentò di dare vita ad un progetto strutturato che vedeva nell’uso dell’arte circense il metodo per coinvolgere i ragazzi di strada in un percorso di riabilitazione. Si arrivò così alla costituzione della Fundatia Parada, riconosciuta ufficialmente come Ong dal governo rumeno nel 1996.

Parada

Con la nascita di Parada i ragazzi che prima abitavano nei canali sotterranei ora erano pronti a salire sui palcoscenici d’Europa. Le tourné organizzate dall’associazione rappresentavano un’importante occasione di crescita sotto vari punti di vista: in primo luogo, il ragazzo non si sentiva più vittima dell’indifferenza ma protagonista del suo cambiamento, che vedeva nell’esibizione un importante traguardo di riscatto sociale ottenuto grazie al suo duro lavoro. Le tourné, inoltre, permettevano di dare maggiore visibilità alla problematica situazione di Bucarest e all’operato di Parada, consentendo la realizzazione di campagne di sensibilizzazione e di raccolta fondi negli stati che toccavano; in Italia e Francia, paesi con i quali l’associazione manteneva più rapporti, vennero create due organizzazioni che si dedicavano principalmente a questo scopo.

L’autofinanziamento e le donazioni di enti privati contribuirono in buona parte nella realizzazione degli interventi dell’associazione; un ulteriore contributo venne dato dai fondi europei, particolarmente considerevoli nel periodo compreso tra il 2000 e il 2006, quando la Romania entrò a far parte del programma di pre-adesione all’Unione europea.

A 10 anni dalla sua fondazione, Parada poteva vantare dei risultati nettamente positivi. Con sei appartamenti sociali, 400 beneficiari solamente nel 2006 e un organico di trenta operatori, la Fundatia Parada era in grado di fornire un ottimo servizio d’assistenza e di recupero. Alcuni di questi operatori erano gli stessi ragazzi che per primi ricevettero il sostegno dell’associazione come ci ricorda Paola, un’operatrice italiana che ha svolto il suo tirocinio universitario con Parada.

Lontani dalla strada

Tenere il ragazzo il più lontano possibile dalla strada e dalle sue dinamiche era il principio che stava alla base di tutti i suoi progetti: l’assistenza sociale diurna e l’unità mobile notturna, detta anche “Caravana”, erano le modalità con cui l’associazione tentava di instaurare un primo contatto con il giovane in strada, fornendogli un supporto medico di base, stimolando la sua curiosità attraverso l’equipe di animazione e invitandolo a frequentare quello che era il vero e proprio punto di riferimento dell’associazione, il centro diurno.

Qui aveva inizio il percorso di recupero del ragazzo, come descrive Paola, al quale era proibito innanzitutto l’uso di sostanze psicotrope come alcool e stupefacenti; si provvedeva quindi a fornirgli cibo, vestiti puliti e la possibilità di lavarsi. A seconda delle necessità di ogni ragazzo, gli operatori strutturavano un percorso individualizzato che partiva dal suo riconoscimento a livello legale e dalla sua regolarizzazione, procurandogli i documenti d’identità nel caso ne fosse sprovvisto. Dopo avergli garantito il necessario supporto sanitario-psicologico, il ragazzo veniva coinvolto in attività formative per il reinserimento scolastico dirette al conseguimento di un titolo, e in attività artistiche come i corsi di giocoleria con l’equipe circense.

Per i ragazzi più grandi o con particolari necessità economiche venne istituito APEL, un servizio di avviamento al lavoro che provvedeva alla ricerca di offerte di impiego adatte alle loro capacità. L’obiettivo finale era quello di dare ai ragazzi una più stabile e serena opportunità di vita: nel caso in cui fosse stato possibile, gli operatori seguivano il giovane nella sua reintegrazione all’interno della famiglia di origine, fornendogli assistenza economica e il necessario supporto educativo. Il nucleo familiare non sempre, però, poteva garantire un ambiente ottimale per lo sviluppo dei ragazzi, molti di loro infatti erano volontariamente scappati da genitori violenti o dediti all’alcolismo; in questi casi Parada metteva a loro disposizione gli appartamenti sociali, dove i giovani potevano ricostruire una loro dimensione indipendente.

La Romania europea

Franco Aloisio, uno dei primi operatori dell’ong e il suo attuale presidente, ricorda che a fronte dei grandi risultati ottenuti da Parada a partire dalla sua fondazione fino al 2006, il biennio seguente avrebbe spinto l’associazione a rivalutare la sua struttura e il suo intervento, a causa dei grossi cambiamenti socio-economici che la Romania stava per affrontare.

La fase di pre-adesione della Romania all’Unione Europea aveva portato all’interno del suo tessuto sociale ed economico molte speranze di cambiamento e di crescita, dovute soprattutto alla massiccia presenza di investitori ed aziende estere che vi delocalizzavano la produzione. Questi ultimi erano attratti, come afferma Aloisio “oltre che dal basso costo della forza lavoro, anche dai cospicui incentivi statali che venivano elargiti attingendo ai fondi europei per lo sviluppo”: un’industria con una partecipazione italiana al 100%, ad esempio, riceveva la copertura del 60-70% delle spese di vario tipo sull’acquisto di macchinari, attrezzature e licenze, grazie ai fondi strutturali destinati al sostegno degli investimenti delle imprese.

Le istituzioni rumene prestavano grande attenzione alle imprese estere, convinte che queste avrebbero contribuito allo sviluppo non soltanto della precaria economia del paese, ma anche al miglioramento delle sue infrastrutture. “Le grandi aziende straniere” continua Aloisio “esportando la produzione in Romania, avevano anche la necessità di ricrearsi una rete di vie di comunicazione, di potenziare le reti elettriche esistenti e di creare, più in generale, un sistema di servizi conforme alle loro necessità, di cui avrebbe beneficiato la stessa popolazione rumena”.

Principalmente grazie ai finanziamenti di privati esteri e della Commissione Europea, la Romania fu in grado, sulla carta, di raggiungere gli obiettivi che le erano stati prefissati per il suo passaggio a membro effettivo dell’UE, che avvenne il primo gennaio 2007. Ma la transizione da “paese in via di sviluppo”, a cui indirizzare fondi per la creazione e il consolidamento delle strutture istituzionali, a “paese sviluppato”, che non dovrebbe necessitare di aiuti economici per assicurare i servizi di base alla sua popolazione, a conti fatti non rispecchiava la reale situazione della Romania del 2007.

Ciò divenne particolarmente evidente con la crisi finanziaria del 2008 quando le grandi multinazionali, che nella fase di pre-adesione erano accorse anche grazie ai finanziamenti europei, si ritirarono dal paese, aggravando ulteriormente la sua già provata situazione economica. I fondi UE previsti dal programma di post-adesione, che dovevano servire alla Romania per il raggiungimento dei livelli standard comunitari, con la crisi non solo erano profondamente insufficienti per poter permettere al paese uno sviluppo in questo senso, ma non riuscivano nemmeno a garantire il mantenimento dei risultati raggiunti fino a quel momento.

La crescita e lo sviluppo dello stato rumeno si rivelarono, in ultima analisi, profondamente legati alla presenza degli investimenti stranieri sul territorio. Nonostante il continuo stanziamento dei fondi europei, i beneficiari di tali politiche risultarono in primo luogo i grandi investitori esteri: nei primi tre anni come membro a tutti gli effetti dell’UE, la Romania infatti aveva assorbito appena il 10% dei fondi strutturali ad essa destinati, ed aveva utilizzato solo il 4,8% dei 4,3 miliardi di euro stanziati dall’UE per le politiche occupazionali, come ha dichiarato l’ex ministro del lavoro Mihai Șeitan.

L’economista Cristian Socol ha individuato nell’assenza di una strategia di sviluppo di largo respiro e nell’incompetenza all’interno dell’amministrazione pubblica le cause della cattiva gestione dei fondi europei, attualmente orientati più verso la copertura delle politiche anti-crisi; questa tendenza venne riproposta anche nell’ambito del sociale, dove i finanziamenti potevano essere utilizzati per compensare almeno in parte l’austerità economica voluta dal governo nei confronti delle fasce più colpite. Anche i fondi dei privati subirono un brusco arresto in questo campo come afferma Franco Aloisio: “La crisi ha portato alla perdita del 30% dei finanziamenti destinati a fornire i servizi per l’infanzia, causando grosse difficoltà alle associazioni che lavoravano in questo campo: nel caso di Parada, a partire dal 2008, i principali finanziatori, come banche ed imprese di costruzione, si sono ritirati”.

Niente più appartamenti sociali

La necessità di rivedere l’operato dell’associazione era già emersa nel 2006, quando si decise di staccare ufficialmente APEL da Parada, e si riconfermò nel 2008 portando ad una vera e propria riduzione della sua attività. Attualmente la Fundatia Parada vede una drastica diminuzione dei suoi operatori, dovuta anche alla chiusura di tutti i suoi appartamenti sociali, l’ultima avvenuta nel settembre 2011. Tale chiusura ha rappresentato una scelta necessaria da parte dell’ong al fine di poter garantire la salvaguardia delle sue attività fondanti. Sono sempre attivi infatti i servizi notturni offerti da Caravana che, dopo 15 anni di attività, rappresenta un punto di riferimento stabile per la popolazione di strada a cui poter rivolgersi in caso di qualsiasi necessità, oltre che per la fornitura di cibo, coperte, vestiti e supporto medico-psicologico. Il centro diurno mantiene le sue attività basilari tra cui quella circense, che permette tuttora la realizzazione delle tournèe dell’associazione e tenta inoltre di proporre iniziative alternative ad essa per i ragazzi che non ne sono particolarmente attratti.

Javier, educatore spagnolo che da circa due anni lavora con Parada, si occupa di organizzarne alcune come, ad esempio, partite di calcetto settimanale, escursioni, lezioni su varie tematiche, in ottica anche di poter coinvolgere gradualmente nuovi volontari che le portino avanti. Il servizio di formazione viene portato avanti sia all’interno del centro, con attività extrascolastiche di doposcuola o recupero, sia grazie ad un progetto di collaborazione all’interno di due classi della scuola pubblica 95; l’obbiettivo di quest’ultimo è quello di reinserire nell’ambiente scolastico i giovani a rischio di abbandono o di dare un’opportunità a chi non lo ha mai frequentato di portare a termine un percorso formativo. Il servizio di avviamento al lavoro è gestito da APEL, di cui è presidente lo stesso Aloisio, che ne denuncia le attuali difficoltà: “Con la crisi lo stipendio è poco più superiore ai cento euro mensili. Dato che il lavoro che si riesce a trovare alle persone prevede un salario molto basso, che può essere raggiunto dalla somma dei sussidi per i disoccupati, piuttosto si sceglie di non lavorare, tanto si fa la fame comunque”.

La strada e le metamfetamine

Nonostante lo sforzo impiegato per portare avanti il progetto di Parada, con la chiusura degli appartamenti sociali si è venuto a creare un importante limite nel percorso di recupero proposto dall’associazione: una volta terminate le attività del centro diurno, il ragazzo non ha più la possibilità di essere seguito e quindi torna sulla strada mettendo a rischio l’intero processo di riabilitazione, poiché rivive le dinamiche a cui gli appartamenti sociali avevano dato un’alternativa fondamentale.

Dalla metà degli anni novanta ad oggi, la realtà dei ragazzi di strada in Romania è profondamente cambiata. “Alla fondazione di Parada il fenomeno era più massiccio”, sottolinea Aloisio “i ragazzi di strada a Bucarest erano circa 4000; oggi la cifra è un quarto di quella e si attesta intorno ai 1100-1200 minori. Gran parte di loro, il 50%, è di etnia rom, e se si tiene conto che questa popolazione rappresenta il 10-12% di quella totale, si può capire chiaramente l’incidenza del fenomeno all’interno di questo gruppo. Attualmente, il numero dei ragazzi di strada a Bucarest si sta stabilizzando, ma sta crescendo nelle altre città, come a Constanța, Braşov e Timişoara. Inoltre, con l’ondata di disoccupazione causata dalla crisi e il forte abbassamento degli stipendi, molte persone che non hanno più lavoro, e che quindi vivono una condizione economica precaria, si vedono costrette temporaneamente a vivere in strada”.

Una nuova generazione di minori si aggiunge alla situazione appena descritta: si tratta dei ragazzi che in strada ci sono nati. L’intervento nei confronti dei figli risulta molto più difficoltoso rispetto a quello che sarebbe stato possibile mettere in atto verso i padri: non si può più parlare di percorso di recupero, come si poteva fare con i ragazzi di strada che avevano già sperimentato un’alternativa di vita, poiché con i loro figli la prima necessità è quella di illustrarne l’esistenza, di renderli coscienti della possibilità di un cambiamento.

Javier aggiunge che, diversamente dagli anni novanta in cui la colla era la principale sostanza assunta dai ragazzi di strada, attualmente si è diffuso l’utilizzo di droghe pesanti, in particolar modo di una vasta gamma di sostanze chimiche presenti sul mercato in qualità di fertilizzanti e aromatizzanti, quindi non riconducibili direttamente alla categoria delle sostanze stupefacenti. Comunemente conosciute con il termine di etnobotanica, queste sostanze facilmente acquistabili vengono direttamente iniettate in vena producendo degli effetti simili a quelli delle metamfetamine, generando un comportamento aggressivo in chi le assume; la durata e l’intensità del loro effetto è maggiore rispetto a quelle della colla, rendendo ulteriormente difficoltosa l’interazione con il ragazzo.

Rilanciare

La precaria situazione economica di Parada correlata alla nuova complessità raggiunta dal fenomeno in questi ultimi anni non ha fatto desistere dal perseguire il loro obiettivo le persone che credono fermamente nell’operato di questo centro. Grazie al loro impegno è stato possibile recuperare alcune attività che erano state interrotte a causa della mancanza di fondi; come precisa Franco Aloisio una di queste è “la compagnia stabile di arte circense Agorà, progetto iniziato nel 2005 e sospeso l’anno successivo, che ripartirà a gennaio 2012 grazie ai finanziamenti di una fondazione svizzera che ne garantisce la copertura economica per due anni. L’altro progetto riguarda la costruzione di un alloggio che ospiterà dalle 15 alle 20 persone, dimensione ottimale per un ambiente che intende mantenere un contatto umano con i ragazzi. La realizzazione di questo alloggio rappresenta un risultato fondamentale per l’associazione in quanto le permetterà di nuovo di poter seguire il ragazzo continuativamente per un completo percorso di recupero.

Dopo 15 anni di attività, molti ragazzi di strada hanno beneficiato dell’operato di Parada, alcuni si sono reinseriti nelle famiglie d’origine, altri si sono creati un futuro attraverso l’istruzione ed un nuovo lavoro, altri ancora sono diventati educatori e artisti ed hanno contribuito a far conoscere e a combattere il problema; una parte tuttavia, non è riuscita ad abbandonare per sempre la strada. Nelle strade di Bucarest il fenomeno è ancora presente ma il numero dei ragazzi è diminuito rispetto agli anni novanta e si è stabilizzato, mentre sta crescendo nelle altre grandi città della Romania. Tutto ciò rende molto più complesso definire le reali dimensioni e l’andamento del fenomeno all’interno del paese, nonché le sue origini effettive.
Si dice che i ragazzi di strada siano un’eredità sociale lasciata dal precedente regime comunista. Altri leggono questo fenomeno utilizzando gli stereotipi sui rom, interpretandoli superficialmente come uno dei tanti aspetti della loro difficoltosa integrazione. Considerare solamente queste come le uniche cause del problema non è realistico.

Se ci si trova davanti ad un fenomeno che esiste da oltre vent’anni e che attualmente si sta addirittura sviluppando in altre città, non basta più andare ad indagarne le cause servendosi di pregiudizi e falsi miti, è necessario soprattutto chiedersi come mai questa realtà persista ancora. Alla base di tutto ciò sta l’indifferenza da parte delle autorità nell’adoperarsi realmente nel combattere il problema dei ragazzi di strada. Impedire l’accesso ai canali sigillando i tombini ed emanare leggi proibizioniste rincorrendo l’ultima droga uscita sul mercato non basta. Quello di cui c’è realmente bisogno è un deciso impegno da parte delle istituzioni per la creazione di un servizio che collabori con le ong attive già da tempo in questo campo al fine di conoscere a fondo il fenomeno e di prevenirlo, aiutando chi già è in strada ed evitando che altri vi finiscano.

Certamente c’è da rendere atto alle associazioni che, come Parada, con pochi mezzi hanno ottenuto risultati notevoli. Ma un paese non può delegare alle sole ong la cura delle generazioni che rappresentano il suo futuro. “Ho capito che non esistono bambini di strada, ma esistono bambini dimenticati dagli adulti e questi adulti siamo tutti quanti noi”, chiosa Franco Aloisio


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