Dalla Jugoslavia all'Unione europea. La metafora della ragazza serba e di quella croata, gli incredibili cambiamenti di due paesi del sud est Europa sullo sfondo dell'anniversario della Prima guerra mondiale. Un ironico e tagliente commento
(Quest'articolo è stato originariamente pubblicato sul blog Virtual Vita Nuova, il 2 gennaio 2014)
In ex Jugoslava girava una barzelletta su come distinguere una ragazza serba da una croata. Se dici ad una ragazza croata che è carina, lei sorride. Se lo dici ad una serba, lei ti fulmina con lo sguardo.
Bene, nel 2013 una sorridente Croazia è entrata nell'Unione europea. Lo stesso anno, una Serbia accigliata, dopo una pesante attività diplomatica ed una brusca sterzata della sua politica nazionale, è riuscita ad ottenere lo status di candidato che la porterà, verosimilmente entro il 2020, ad entrare nell'Unione.
Le due ragazze, quella accigliata e quella sorridente, torneranno infine a fare parte della stessa struttura politica, come già accadeva in seno alla Jugoslavia, prima che la rovinassero. Attualmente sono divise da un confine pesante, anche se il resto del mondo non riesce a distinguere queste due ragazze, a meno che non venga fatto loro un complimento.
Lasciando da parte il sorridere della Croazia e l'accigliarsi della Serbia, si notano cambiamenti simili avvenuti nel vivere quotidiano: lo stato delle strade è migliorato, gli spazi pubblici sono più ordinati, le facciate degli edifici rifatte e ritinteggiate e il cibo nei ristoranti è migliore. Ma parlando con chi nei Balcani vi vive, quelli dentro e quelli fuori l'UE, si viene a conoscere la dark side dell'integrazione europea: meno potere locale, meno soldi, meno identità.
La Serbia di questi giorni ha una politica veramente bizzarra ed affascinante. L'attuale primo ministro appartiene al partito di Slobodan Milošević, il defunto malfattore che ha portato la guerra nei Balcani negli anni '90. Nonostante questo, vi sono voci di una certa consistenza sul fatto che potrebbe ottenere – assieme al premier kosovaro - il Nobel per la pace per i negoziati sul Kosovo.
Il primo ministro serbo ha sottolineato con stupefacente franchezza: ho fatto quella guerra, quindi sono titolato per firmare gli accordi di pace.
In centro a Belgrado alcuni giorni fa è stata inaugurata una mostra; foto di atrocità commesse in Kosovo contro civili albanesi durante la guerra da parte degli “Scorpioni”, paramilitari serbi. Un evento pubblico ad alto rischio, con famiglie in lutto, una massiccia presenza di polizia, minacce da parte dei soliti hooligan e nazionalisti: una storia ben nota.
Poi è arrivato il primo ministro, tra lo stupore generale, ed ha stretto le mani a tutti. Non ha sembrato fare alcun favoritismo tra organizzatori, sopravvissuti di famiglie distrutte, gioventù alienata; si è congratulato con tutti davanti alle molte telecamere: non ci sono più “nostre” e “loro” vittime. E come per un qualche gioco del destino, per mano della dea della vendetta Nemesis, il leader del gruppo paramilitare degli Scorpioni è morto, insieme alla sua famiglia, in un incidente d'auto qualche giorno dopo, mentre stava rientrando in prigione!
Sembra incredibile affermarlo, ma il lavoro degli attivisti per la pace in Serbia, lungamente isolati, è ora divenuto programma della politica estera del paese. Anche se il primo ministro della Serbia sta togliendo loro dalle mani il Premio Nobel, è comunque una vittoria cruciale.
Poi vi è anche un vice-ministro in Serbia, egualmente degno di nota. E' un membro preminente del redivivo “Partito radicale”, un ex gruppo nauseabondo il cui famoso leader Šešelj è all'Aja in attesa di giudizio in un processo a suo carico per atrocità. Anche il vice primo ministro ha stupito la nazione quando ha dichiarato che anche il suo partito è stato responsabile per l'uccisione di un dissidente durante l'epoca di Milošević.
E poi – dato che è in posizione di sapere – ha insistito sul fatto che andrà sino alle radici della questione, arrestando e punendo tutti coloro i quali sono coinvolti. Il caso è relativo all'uccisione “di stato” di un famoso giornalista; tutti hanno saputo per anni che era stato ucciso dal governo, ma allo stesso tempo tutti hanno fatto finta di credere che gli assassini erano morti di vecchiaia.
In una sorridente Croazia, per contrasto, un sentimento cattolico reazionario ha votato aspramente contro i diritti dei gay al matrimonio, uno schiaffo in faccia ai valori progressisti dell'Unione europea e un ritorno al passato per il lavoro duro degli attivisti. E' meglio quindi non dire alla ragazza croata che è una lesbica carina.
In Serbia, anche quest'anno, è stata vietata la parata gay. Il primo ministro ha dichiarato di non essere sicuro di riuscire a proteggere i gay dagli hooligan. Forse, una volta che avrà vinto il Premio Nobel, i gay si sentiranno più sicuri.
Il paradosso della storia dei Balcani è che gli assassini diventano legislatori, i guerrieri diventano pacifisti, le sorelle nemiche e poi nuovamente sorelle, seppur in altri termini, e la legge esiste in gran parte per fare in modo che questo circolo vizioso appaia come normale.
Nel 2014 il mondo sottolineerà il centenario dall'inizio della Prima guerra mondiale. La Grande guerra è iniziata a Sarajevo, nei Balcani, quando un anarchico serbo adolescente appartenente al gruppo militante della Mano Nera ha ucciso l'arciduca Ferdinando e la moglie. Quest'atto violento si è dimostrato essere fatale all'Impero austroungarico.
Dopo 100 anni le polemiche ancora sono presenti: Gavrilo Princip era un liberatore o un terrorista o forse l'anticipatore dei moderni killer suicidi? Era spinto da idealismo o risentimento oscuro o desiderio di distruzione? Saggi, atti teatrali e libri sono stati scritti sulle questioni di identità relative a Gavrilo Princip.
A Belgrado Princip ha una via dedicata a lui, che scende dalle sette colline di Belgrado, sino alle rive dei due fiumi, Sava e Danubio. Proviamo ad immaginare Gavrilo Princip fare, oggi, un bel complimento alla ragazza croata e a quella serba. Chi s'acciglierebbe, chi sorriderebbe e chi premerebbe il grilletto?
Forse quelle due ragazze potrebbero offrire allo storico terrorista l'occasione per lasciar cadere la sua pistola, nell'abbraccio tra un bacio e un cipiglio, tra la carota e il bastone, in modo che possa vivere in un paese senza confini invece di uccidere e morire per idee prese da lontano.
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