Slavoj Žižek, pop star della filosofia mondiale e icona della sinistra ha acceso la scena della Fiera del libro di Francoforte. Al centro della polemica la sua posizione sulla questione israelo-palestinese
“Il terrorismo contro Israele contraddice tutti i valori della Fiera del libro di Francoforte, lo stesso fa la punizione collettiva di milioni di persone a Gaza, così come la decisione scandalosa di cancellare la premiazione di Adania Shibli. Per questo non sono soltanto orgoglioso di essere qui, ma un po’ mi vergogno”.
Il filosofo sloveno Slavoj Žižek non misura le parole all’apertura della Buchmesse e scoppia la polemica tra chi lo applaude e chi lo accusa di “antisemitismo”.
La questione israelo-palestinese aveva contraddistinto la manifestazione sin da prima della sua apertura. Alla luce dell’attacco di Hamas ad Israele si era anche deciso di voler rendere le voci ebraiche e israeliane particolarmente visibili.
Il suo direttore Jurgen Boos aveva annunciato, persino, che non si sarebbe svolta la consegna di un importante premio letterario alla scrittrice palestinese Adania Shibi, autrice di un libro che racconta uno stupro di una ragazza beduina da parte di soldati israeliani.
Alla fine del discorso di Žižek è trapelato tutto l’imbarazzo degli organizzatori tedeschi. Il peso della storia fa stare la Germania graniticamente schierata con Israele ed ogni critica allo stato ebraico viene vista in tinte antisemite.
Diversa la posizione in Slovenia (ed anche nel resto dell’ex Jugoslavia), dove fermo restando l’unanime condanna agli attacchi di Hamas, tradizionalmente non manca la sensibilità per la causa palestinese. Miha Kovač uno dei curatori del programma di Lubiana a Francoforte ha tagliato corto precisando che si era ottenuto quello che si si erano prefissati: “Siamo visibili e siano qui”. Non accade spesso alla Slovenia.
Andiamo con ordine. Quest’anno la Slovenia è ospite d’onore della Fiera del Libro di Francoforte. Una partecipazione che per Lubiana ha più o meno il valore che in Italia ha la presenza ad un mondiale di calcio. I libri sono uno dei simboli nazionali più importanti. L’indipendenza slovena, infatti, è stata costruita più che su grandi battaglie sulla lingua scritta. In sintesi, una “repubblica letteraria” in cui due milioni di persone in un anno producono 6000 volumi, dove 1400 editori stampano almeno un libro e dove nelle biblioteche si prendono a prestito 23 milioni di volumi.
La Slovenia stava preparando da anni questo evento. Una serie di libri era stata tradotta in tedesco, mentre in questi giorni sono in corso presentazioni di una settantina di autori. L’intento è di far conoscere il meglio del passato e presente della realtà letteraria nazionale.
Alla vigilia del festival gli organizzatori sloveni avevano lanciato anche un Manifesto con l’intento di promuovere la lettura. Nel testo si denuncia che nell’epoca digitale sta diminuendo la capacità di comprendere scritti approfonditi e complessi. L’indice è puntato contro l’analfabetismo di ritorno. La tesi è che solo leggendo libri complicati si possono comprendere tempi complicati. A firmarlo anche una stella della letteratura mondiale come Margaret Atwood, autrice de “Il diario dell’ancella”. Per la scrittrice canadese “la capacità di leggere in maniera approfondita e critica è indispensabile per la sopravvivenza della democrazia”.
La Slovenia, questa volta, sembra aver avuto l’intento di far riflettere i visitatori della fiera ed anche la società in generale. Una scelta poco in linea con il garbo istituzionale che di solito accompagna queste manifestazioni, dove si bada spesso più alla forma che alla sostanza. La cosa non ha sorpreso più di tanto i conoscitori della scena culturale contemporanea slovena, che affonda le sue radici negli anni Ottanta. Un periodo fantastico, che segnò il crollo del regime comunista, dove tutto sembrava consentito. Ne uscì un nutrito gruppo di intellettuali della sinistra liberale, dove la stella più brillante era proprio quella di Slavoj Žižek.
Ervin Hladnik Milharčič, il più autorevole giornalista sloveno in circolazione, dice che da quell’esperienza ha appreso che la libertà di parola è un concetto assoluto, non negoziabile e nemmeno adattabile a seconda delle circostanze e delle opportunità. Oggi quando gli chiedono di intervenire ad una qualsiasi manifestazione domanda sempre agli organizzatori se si rendono conto chi stanno invitando.
La cosa naturalmente vale anche per Slavoj Žižek, pop star della filosofia mondiale, icona della sinistra, ma soprattutto fine pensatore. Alcuni mesi fa si presenziò a Lubiana, insieme a Hladnik Milharčič, ad un infuocato dibattito sulla guerra in Ucraina. In un vero e proprio spettacolo retorico, giocato su contraddizioni, paragoni ed immagini, i due forse non convinsero i molti filorussi in sala che quella condotta da Mosca è una invasione bella e buona, ma almeno riuscirono a scalfire le loro granitiche certezze.
Proprio per la sua posizione favorevole alla resistenza in Ucraina, Žižek non mancò di essere subissato dalle critiche della sinistra radicale, che lo aveva oramai elevato ad icona. Non se ne preoccupò più di tanto, visto che la libertà conta più dei consensi dei politici e dei potenti di turno.
Con lo stesso atteggiamento è andato a Francoforte, parlando in libertà. A chi lo critica risponde che il suo unico rammarico è quello di non essere stato più duro, precisando di non aver detto nulla che non sia già stato scritto nei media liberali occidentali ed israeliani. Per lui quello che è accaduto in fondo non è altro che una iconica dimostrazione di ciò che significa oggi rispetto della diversità: “quando qualcuno non la pensa secondo i nostri canoni allora vogliamo toglierli la parola”.
Il merito di Žižek è stato comunque quello di non aver lasciato indifferente la platea e di averla fatta riflettere. Così se da una parte c’è, anche in Slovenia, chi si inorridisce dall’altra c’è chi dice che per una volta s’è sentito veramente orgoglioso di essere cittadino di questo paese.
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