Turchia nucleare

Nucleare in Turchia

Sorgerà sulla costa del Mediterraneo la nuova centrale nucleare turca. L'impianto sarà costruito in intesa con la Russia che lo gestirà per i primi 60 anni. Per i contrari al progetto, il nucleare accrescerà la già forte dipendenza della Turchia dalla Russia

21/12/2010 -  Fazıla Mat

La Turchia è decisa: farà costruire sul suo territorio almeno due centrali nucleari entro il 2023. L’obiettivo, secondo quanto affermato dal ministro dell’Energia Taner Yıldız, è quello di arrivare a coprire entro il 2020 il 10% del suo fabbisogno energetico da fonti nucleari. L’accordo per la costruzione del primo impianto ad Akkuyu (Büyükeceli), sulla costa del Mediterraneo, siglato tra la Turchia e la Russia lo scorso maggio, dopo l’approvazione del presidente russo Medvedev  il 29 novembre scorso, ha superato anche l’ultimo vaglio istituzionale. La Corea del Sud, invece, con cui a marzo di quest’anno la Turchia aveva siglato un protocollo di collaborazione per l’edificazione di una centrale nucleare a Sinop, sul Mar Nero, ha recentemente ritirato la sua proposta perché in “disaccordo su alcuni punti” del progetto. Il ministero dell’Energia ha ora lanciato la palla al Giappone, ma si starebbero valutando anche proposte provenienti dall’Europa e, in particolare, dalla Francia.

Il governo turco sta perseguendo il suo progetto nucleare sostenendo che è “segno di sviluppo industriale” del Paese, che creerà “nuove prospettive di occupazione per i cittadini” e che produrrà “energia pulita”. Di fatto però le condizioni che Ankara ha accettato per la realizzazione dello stabilimento di Akkuyu, indicano una direzione opposta e hanno sollevato dubbi sulla “convenienza” dell’affare anche tra i sostenitori dell’energia atomica.

Le ragioni dei contrari alle centrali nucleari

La prima contrarietà deriva dal fatto che il progetto, costituito da quattro unità VVER-1200  (progetto AES 2006) con potenza di 4,8 GW, sia stato assegnato alla Russia senza ricorrere ad alcuna gara d’appalto. Secondo l’accordo, la Russia si accollerà i costi di circa 20 miliardi di dollari e manterrà in ogni caso una quota azionaria non inferiore al 51%. L’appaltatore principale sarà la Atomstroyexport  (sussidiaria dell’agenzia nucleare russa Rosatom), mentre la società russa Inter RAO UES  si occuperà del processo di vendita dell’energia elettrica. Inoltre, una società russa costituita ad hoc, che si farà carico anche della costruzione e della gestione della centrale per circa 60 anni, sarà la proprietaria dei quattro reattori, degli impianti secondari e dell’elettricità prodotta.

Le autorità turche daranno in concessione il terreno su cui costruire la centrale fino al momento del suo smantellamento, mentre riceveranno dopo quindici anni dall’attivazione di ciascuna unità il 20% del loro profitto netto. Sempre per quindici anni, la società energetica pubblica turca TETAŞ (Türkiye Elektrik Ticaret ve Taahhüt AŞ) sarà tenuta ad acquistare il 70% dell’elettricità prodotta dalla prima e dalla seconda unità della centrale, e il 30% di quella prodotta dalla terza e quarta unità a 12,35 centesimi di dollaro a KW/h. Un prezzo di molto superiore alle cifre attuali del mercato dell’elettricità all’ingrosso e che si rifletterà inevitabilmente sulle bollette dei consumatori.

C’è poi il fatto che i reattori progettati per Akkuyu, essendo di nuova produzione, non sarebbero ancora attivi in nessuna parte del mondo e quindi non ancora effettivamente testati. Non è inoltre chiaro in che modo verrà risolto il problema dello smaltimento e dell’immagazzinamento delle scorie radioattive.

Il problema dello smaltimento delle scorie

“Il primo ministro Erdoğan e il ministro dell’Energia”, spiega la responsabile di Greenpeace Mediterraneo per il clima e l’energia Hilal Atıcı, “hanno incluso nell’accordo una clausola non vincolante che prevede l’invio delle scorie in Russia per il loro riciclaggio. Ma in Russia non c’è uno stabilimento per riciclare le scorie adatto alla tecnologia dei reattori VVER. E anche se ne costruissero uno, le scorie dovranno passare per il Bosforo. Nessuno poi parla dei prezzi astronomici applicati dalla Russia per il riciclaggio, e del fatto che le parti non riciclabili verranno rispedite indietro”.

Gli esperti, ricordando che in Turchia c’è ancora molto lavoro da fare anche solo per adeguare la gestione dei rifiuti industriali e generici alle norme avanzate dell’ingegneria ambientale, denunciano la loro preoccupazione riguardo il problema della gestione dei rifiuti radioattivi. Un esempio noto è l’incidente  (catalogato al terzo livello secondo la classifica dell’International Atomic Energy Agency di cui la Turchia è membro) che si verificò a Istanbul nel 1999, dove due pacchi utilizzati per trasportare fonti di cobalto-60 altamente radioattivi e appartenenti ad una struttura ospedaliera vennero venduti come metalli da rottamare e causarono l’intossicazione di diverse persone.

La dipendenza dalla Russia

Sono però alquanto fumose anche le prospettive di lavoro per i cittadini presentate dal governo. Nell’accordo firmato con la Russia una clausola prevede genericamente di “impiegare nell’impianto molti cittadini turchi”. Ali Rıza Öztürk, deputato del Partito repubblicano del popolo (CHP), in un discorso presentato in parlamento, ha messo in evidenza la contraddittorietà della proposta di voler impiegare gli abitanti delle aree interessate dal progetto, per lo più agricoltori e allevatori di bestiame, in un’opera tecnologicamente così avanzata. Öztürk ha però anche annunciato che la parte russa avrebbe chiesto che venga insediata ad Akkuyu una colonia di 10mila operai russi specializzati, con uno status facilitato sia per i movimenti che per gli acquisti di beni mobili e immobili.

Molti definiscono il progetto un passo che servirà principalmente ad accrescere la già forte dipendenza della Turchia dalle fonti energetiche della Russia che ne costituisce il rifornitore principale (con il 64% di metano e il 33% di petrolio). La presenza russa sembra però destinata a intensificarsi sempre di più nel mercato energetico turco, dato l’interesse della società Gazprom, a prendere parte, oltre che nel rifornimento del gas in Turchia, anche nella distribuzione dell’elettricità e del metano. La società russa starebbe conducendo a tal scopo delle trattative con alcune società locali, tra cui la Aksa Enerji e Çalık Holding, note entrambe per essere vicine al Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) del premier Erdoğan.

La vera meta della Gazprom sarebbe quella di ottenere, con uno dei succitati partner turchi, l’appalto sulla privatizzazione della İGDAŞ, la società di distribuzione del gas più grande della Turchia, che copre l’area di Istanbul. Al termine del 2011 si concluderà anche l’accordo  di un’altra società semi-pubblica, la BOTAŞ, che distribuisce in turchia buona parte del metano proveniente dalla russia. Tra i candidati per il nuovo accordo di distribuzione risultano ancora la Gazprom, la società Bosphorus Gas, già partner di quest’ultima, e la stessa Aksa, che possiede un terzo della rete di distribuzione del gas in Turchia.


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