Un cartello indica i giorni di detenzione di Zeynep Yıldırım - foto di Francesco Brusa

Un cartello indica i giorni di detenzione di Zeynep Yıldırım - foto di Francesco Brusa

Küçükarmutlu è un quartiere di Istanbul. Ha una tradizione di autonomia e autogestione di cui - data la continua repressione del regime di Recep Tayyip Erdoğan - sembra rimanere ora ben poco. Un reportage

15/05/2019 -  Francesco Brusa

È il 26 aprile 2019 a Küçükarmutlu, piccolo distretto di Istanbul adagiato su una collina a ridosso del Bosforo, e sono passati 272 giorni dall’arresto di Zeynep Yıldırım. Allo scoccare dell’una di pomeriggio - all’una di pomeriggio di ciascuno dei 272 giorni passati dall’arresto di Zeynep Yıldırım – alcuni abitanti si ritrovano nel cortile del cemevi (centro culturale e religioso alevita) del quartiere per chiedere la sua liberazione. "Continuiamo a portare avanti questo gesto simbolico", racconta un ragazzo. "Quando mesi fa è arrivata la polizia, eravamo riuniti a discutere in una sala del centro. Hanno circondato la stanza e ci hanno intimato di uscire. Ci hanno immobilizzati e ci hanno picchiati. Infine, per sfregio, alcuni dei poliziotti hanno pisciato dentro al cemevi". All’indomani Zeynep Yıldırım, presidentessa del centro alevita di Küçükarmutlu, indiceva una conferenza stampa per denunciare l’accaduto. In meno di 24 ore, lei e suo marito venivano arrestati, accusati di far parte di un'organizzazione terroristica.

Una zona autonoma

"Oramai viviamo in un clima di paura, siamo costantemente sorvegliati", prosegue il ragazzo. "Ci ritroviamo qui al cemevi per pregare e per discutere, oppure per un funerale. Quasi sempre, gli 'scorpioni' (akrep in turco, così vengono chiamate le camionette antisommossa della polizia) girano qualche metro più in là".

Una veduta di Küçükarmutlu - foto di Francesco Brusa

Küçükarmutlu è un quartiere che ha poco a che vedere con le attrattive turistiche di Sultanahmhet e Fatih, o con lo sfarzo di divertimenti e consumi a Taksim e Osmanbey. Nato negli anni ‘50, si sviluppa attorno alle sommità di una collina nella zona nord della parte europea di Istanbul. Come per tanti altri distretti della città sul Bosforo, i primi abitanti arrivarono con le grandi ondate migratorie del dopoguerra. Principalmente ex-contadini che, persa la propria occupazione a causa dell’ingresso dei moderni macchinari in agricoltura, si riversavano nei grandi centri per trovare lavoro. "Attorno a Küçükarmutlu c’erano numerose fabbriche", spiega un altro abitante della zona, "e gli operai avevano edificato qui le loro case con i pochi mezzi a disposizione. Si trattava di uno dei tanti gecekondu (letteralmente, “comparso all’improvviso di notte”), quartieri auto-costruiti in breve tempo dagli immigrati provenienti dalle campagne. Poi sono iniziati i contatti con movimenti di sinistra, soprattutto con gli attivisti dell’Halk Cephesi (“Fronte Popolare”): grazie alla collaborazione fra operai e militanti, le case hanno acquisito una struttura più solida ed è stato elaborato anche un piano regolatore".

Quella di Küçükarmutlu è una storia che intreccia lotte operaie, autogestione, militanza e scontri spesso aperti e frontali con lo stato turco. Il Fronte Popolare è infatti una sigla legata al DHKC-C, formazione di estrema sinistra sviluppatasi durante la dittatura militare degli anni ‘80 e dichiarata organizzazione terroristica sia dalla Turchia che dall’Unione europea. Nel corso del tempo ha rivendicato numerosi attentati e numerose operazioni di guerriglia e - per alcuni analisti - ha subito anche infiltrazioni da parte di forze politiche opposte che hanno tentato di manovrarla ai propri fini. "La polizia non fa altro che accusarci di proteggere terroristi", dicono al cemevi. "La realtà è che il nostro quartiere è una zona libera e aperta. Non neghiamo mai un pasto a chiunque passi di qua".

Interessi e repressione

La madre di Zeynep Yıldırım vive a pochi passi dal cemevi del quartiere, in una strada appartata e silenziosa. Dalla finestra del salotto si scorge il Bosforo, con la parete della collina che declina verso l’acqua. "Spesso tira un’aria fredda", sussurra buttando un occhio al panorama. Alla parte opposta della stanza, un mobile su cui si accatastano foto e foto per ogni ripiano. "Quella in alto sono io, un po’ di anni fa. Nell’immagine non si vede ma in mano ho una bandiera rossa". Il marito è scomparso prematuramente, mentre il figlio è morto durante uno scontro con la polizia. In questo momento, dunque, si ritrova sola con la figlia e il genero in carcere. "Sta venendo meno anche la solidarietà degli altri abitanti di Küçükarmutlu. Martedì al tribunale ci sarà un’udienza per Zeynep: fino a qualche tempo fa tutti i vicini sarebbero venuti qui in sostegno, invece non c’è nessuno. Pure al cemevi, quando si svolgono i presidi simbolici per il suo caso ci vanno in pochi".

A Küçükarmutlu aveva sede la TAYAD, associazione dei famigliari dei detenuti politici. Una realtà che si occupava di offrire supporto a quanti avessero un proprio parente in carcere e che è stata recentemente dichiarata fuori legge dal governo turco. "Stanno colpendo tutte quelle esperienze che creavano un po’ di unità e coesione. In più, nessuno si sente al sicuro: capita che le persone vengano arrestate all’improvviso, magari per aver partecipato a un funerale o per essere state individuate a un corteo. L’altro giorno hanno suonato anche da me alle 2 di notte. Non ho aperto ed è andata bene, ma so che potrà accadere di nuovo da un momento all’altro. Da quando sono riusciti a spostare la centrale di polizia all’interno del quartiere, sono aumentati fermi, detenzioni e rastrellamenti".

Della tradizione di autonomia e autogestione di Küçükarmutlu sembra rimanere ora ben poco. Un numero altissimo di abitanti è stato colpito da misure repressive o da gesti intimidatori, mentre tanti attivisti che militavano nella zona sono fuggiti per timore di ripercussioni. Si dice che sul quartiere penda ormai da tempo una sentenza: le strade scoscese verso il Bosforo devono far spazio a nuove costruzioni residenziali. La sua posizione lo rende una zona appetibile per le grandi ditte immobiliari turche, che sono sempre più legate a Erdoĝan in un unico blocco di potere politico-economico, e la lotta al terrorismo da parte delle autorità sarebbe allora anche un pretesto per perseguire interessi finanziari.

Dal basso

Verso sera, nel cemevi di Küçükarmutlu si svolge un altro presidio per Zeynep Yıldırım. I primi abitanti della zona provenivano per la maggior parte dall’Anatolia centrale ed erano di fede alevita. Perciò il centro di culto ha assunto un’importanza che va al di là della sua funzione religiosa: esso è anche un luogo di aggregazione, uno spazio di elaborazione culturale e politica per l’intero quartiere. Arrestare e incarcerare la sua presidentessa significa dunque colpire un punto di riferimento di tutta la comunità su più livelli.

"Chiediamo la liberazione immediata di Zeynep", dicono i partecipanti al presidio. "In fondo, si trova in prigione solo per aver detto la verità sulla repressione della nostra identità e sull’attacco al nostro centro. Il governo e la polizia vogliono solo eliminare la comunità di Küçükarmutlu per fare i propri interessi: oramai non ci fidiamo più di nessuno e l’unica istituzione in cui ci riconosciamo è quella della resistenza popolare. Sappiamo che se un giorno ci sarà giustizia, non potrà che arrivare dal basso". In lontananza – non troppo distante dal cemevi – si scorgono alcuni “scorpioni”.


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