Dopo il fallito colpo di stato in Turchia, lo stato di emergenza aggrava la discriminazione e gli attacchi contro la comunità LGBT
In una Turchia reduce da un colpo di stato fallito, dove dallo scorso 21 luglio è in atto lo stato d’emergenza, la Convenzione europea sui diritti umani risulta sospesa e l’attualità è segnata da migliaia di arresti e licenziamenti.
Un omicidio di estrema violenza e crudeltà ha portato alla ribalta un altro stato d’emergenza, quella della comunità LGBT (Lesbiche, gay, bisessuali, transessuali). La vittima è Hande Kader, una ventitreenne transessuale il cui corpo mutilato e bruciato è stato ritrovato il 12 agosto scorso a Zekeriyaköy, alla periferia di Istanbul. Kader era un'attivista LGBT e lo scorso giugno si era trovata in prima linea nei Trans e Gay Pride di Istanbul, brutalmente ostacolati dalla prefettura della città. L’attivista, per potersi mantenere, faceva la prostituta così come la maggior parte delle transessuali in Turchia cui raramente sono aperte altre strade di impiego.
Tutele legali assenti
In Turchia non è considerato reato avere rapporti omosessuali o transessuali. Ma mancano leggi specifiche che tutelino i diritti degli LGBT, rendendoli estremamente vulnerabili. Nell’ultimo decennio, la lotta condotta da parte di diverse associazioni per il riconoscimento di tali diritti ha coinvolto anche alcuni partiti politici, in particolare il partito filo-curdo e progressista HDP (Partito democratico dei popoli, che nel 2015 ha presentato anche un candidato LGBT alle elezioni politiche) e parte del Partito repubblicano del popolo (CHP), contribuendo a dare maggiore legittimazione alle richieste della comunità.
Tuttavia, considerate le posizioni del governo conservatore islamista dell’AKP, le rivendicazioni delle persone LGBT appaiono attualmente come una lontana chimera. Il Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) ha infatti sempre escluso l’introduzione di una legge che punisca i crimini di matrice omofoba, mentre in anni più recenti ha bocciato la proposta, sostenuta dall’HDP e dal CHP, di inserire nella nuova Costituzione una norma che vieti qualsiasi tipo di discriminazione sulla base all’orientamento sessuale. Eppure nel 2002, proprio all’inizio dell’ascesa politica dell’AKP, il presidente Recep Tayyip Erdoğan (allora unicamente leader della formazione) aveva affermato che era “obbligatorio tutelare con la legge gli omosessuali all’interno del quadro dei loro diritti e delle loro libertà”. Parole che si trovavano in linea con l’impegno preso in quegli anni da Ankara di perseguire l’obiettivo di adesione all’Unione europea.
A partire dal 2003 Istanbul ha ospitato numerose edizioni del Gay Pride, riflesso dell’atmosfera positiva creata dalla prospettiva di ingresso nell’UE. Nel 2013, anno delle proteste di Gezi Park, i trenta manifestanti che avevano preso parte alla prima edizione dell’evento erano diventati 50mila. Gli ultimi due anni sono stati caratterizzati da uno strenuo braccio di ferro tra le organizzazioni LGBT e le autorità, nonché dal massiccio intervento della polizia contro i manifestanti, ma fino al 2015 è stato comunque possibile realizzare i Pride. Quest’anno invece, per la prima volta dopo 13 anni, la manifestazione è stata vietata. La principale argomentazione per giustificare il divieto è stato “non urtare la sensibilità religiosa dei cittadini”, motivata dalla coincidenza del Gay Pride con il Ramadan, mese sacro per i musulmani. Una novità, vista la coincidenza delle due ricorrenze anche in anni passati.
Con l'edizione del 2016 si sono manifestate anche altre nuove “sensibilità” di carattere ultranazionalista. Così il gruppo Gioventù dell’Anatolia Musulmana (Mülsüman Anadolu Gençliği) che ha lanciato un appello per una contro-manifestazione per fermare “i pervertiti privi di orgoglio”, e i membri dei Focolai Alperen (Alperen Ocakları, braccio giovanile dell’ultranazionalista BBP-Partito di Grande Unione) che si sono detti pronti ad impedire il Pride “ad ogni costo” perché “ci prendono in giro ignorando i nostri valori in un mese sacro”.
Crimini sotto silenzio
Va tuttavia ricordato che paradossalmente il travestitismo è sempre esistito nella cultura ottomana, dove i köçek erano dei giovani maschi che avevano il compito di compiere delle danze con abiti femminili in occasione delle feste e delle cerimonie. Una tradizione che sopravvive anche oggi in alcune località anatoliche tra cui Kastamonu, dove uomini abbigliati con gonne, continuano l’usanza nei matrimoni e in altre celebrazioni. Alcune figure LGBT risultano inoltre molto popolari nel settore dell’intrattenimento, dove l’elemento transgender è accettato senza alcun problema. Il caso più celebre resta quello della cantante transessuale Bülent Ersoy, fervente sostenitrice di Erdoğan, che proprio il giorno del Gay Pride, mentre la polizia soffocava con i lacrimogeni alcuni gruppi LGBT, si trovava a tavola assieme al presidente e alla consorte.
Al di fuori della società turca elitaria e i quartieri alla moda di Istanbul dove i turchi omosessuali e transgender vivono all’interno di un ambiente relativamente confortevole, la vita degli LGBT in Turchia non è per niente facile. Nella società caratterizzata spesso da tratti patriarcali e maschilisti, l’emarginazione comincia già a partire dalla famiglia di origine e si estende all’ambito della scuola, dell’università fino al mondo del lavoro. Sono numerose le persone che a causa della pressione sociale preferiscono non esplicitare la propria identità sessuale, cosa che rende difficile anche realizzare a riguardo delle ricerche rappresentative a livello nazionale. Un'indagine effettuata dalla Pew Research Center nel 2013 metteva in luce che il 78% dei turchi non ritiene che l’omosessualità “debba essere accettata dalla società”. E secondo un rapporto presentato alle Nazioni Unite tra il 2010 e il 2014 si sarebbero registrati in Turchia oltre 40 “omicidi d’odio” contro persone LGBT.
Come ricorda Volkan Yılmaz, ricercatore e docente del Centro di studi sulla società civile presso l'Università Bilgi di Istanbul, un problema essenziale riguardo alla condizione degli LGBT in Turchia è “la situazione giuridica non equa e l’impunità nei confronti di chi è responsabile di atti discriminatori” a loro rivolti. L’ultimo rapporto dell’associazione Kaos GL , riferito al 2014, ha infatti rilevato che dei 351 casi riguardanti i crimini d’odio registrati – tra cui omicidio, tentato omicidio, violenza fisica e sessuale – solo 31 sono stati comunicati alla polizia e solo 4 sono stati oggetto di un ricorso presso il tribunale. Proprio i transgender risultano essere tra i gruppi LGBT maggiormente discriminati. Secondo il rapporto di Transgender Europe sugli omicidi commessi contro i trans negli ultimi 8 anni (la ricerca arriva fino all'aprile 2016), la Turchia risulta al nono posto al mondo e al primo in Europa con 43 omicidi (seguita dall'Italia con 34).
A fare sempre più i conti con la violenza e le discriminazioni c’è un altro gruppo, quello dei profughi LGBT fuggiti in Turchia dalle persecuzioni dei propri paesi. Alla lunga lista dei crimini impuniti contro gli LGBT si è aggiunto lo scorso luglio l’omicidio di un profugo siriano. Wisam Sankari, omosessuale, da un anno in Turchia. Secondo la testimonianza degli inquilini, Sankari era già stato rapito e violentato una volta, ma la denuncia alla polizia non aveva sortito alcun risultato. Sequestrato per la seconda volta, Sankari è stato ucciso con diverse pugnalate ed è stato ritrovato con la testa tagliata.
Nel clima di repressione emerso dopo il tentato golpe del 15 luglio scorso la comunità LGBT continua lo stesso a chiedere giustizia, anche se la sensazione di vulnerabilità è ancora più marcata.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato col titolo "Ankara e la caccia agli omosessuali " sulla rivista Affari Internazionali, edita dall'Istituto Affari Internazionali.
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