A più di un mese dalle elezioni la Turchia ancora non ha un esecutivo. E se la soluzione più probabile sembra una grande coalizione AKP-CHP, non si possono escludere nuove elezioni anticipate
A quaranta giorni dalle elezioni politiche del 7 giugno scorso, l’incertezza sul futuro governo della Turchia si sta lentamente dissipando. Il presidente della Repubblica Tayyip Erdoğan, dopo aver atteso un tempo record di 32 giorni, giovedì 9 luglio ha conferito al premier uscente Ahmet Davutoğlu il compito di formare un esecutivo, mentre all’inizio di questa settimana è iniziato il primo turno degli incontri ufficiali tra i partiti. A dirigere l’orchestra è il Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) che, dopo aver amministrato il paese da solo per 13 anni, è uscito per la prima volta dalle consultazioni privo della maggioranza necessaria per formare un governo monocolore. Trattandosi comunque del partito con il numero di seggi parlamentari più alto (258 su 550), spetta all’AKP trovare un alleato per un’eventuale coalizione che si dovrà formare entro il prossimo 23 agosto, allo scadere dei 45 giorni stabiliti dalla legge turca.
Se all’indomani delle consultazioni le combinazioni previste per formare un governo erano almeno sei, ora il raggio delle possibilità risulta drasticamente ridotto. Scartata la possibilità di trovare un accordo tra le tre forze d’opposizione, soprattutto per via dell’inconciliabilità di posizioni tra il Partito democratico dei popoli (HDP - Filo-curdo e di sinistra) e il Partito di azione nazionalista (MHP - la destra estrema dei lupi grigi), come pure l’opzione di formare dei governi di minoranza, restano al momento in piedi solo due possibilità concrete: una coalizione dell’AKP con il Partito repubblicano del popolo (CHP - kemalista e socialdemocratico - seconda formazione del paese con 132 seggi parlamentari) oppure nuove elezioni anticipate.
Le linee rosse dell'MHP...
Dopo l’incontro avuto martedì tra il gruppo di Davutoğlu e quello dei nazionalisti di Devlet Bahçeli, è emersa una posizione di netta contrarietà del MHP a prendere parte ad una coalizione. “Il popolo turco ci ha dato il ruolo d’opposizione”, ha detto Bahçeli in una nota diffusa dopo l’incontro. Il leader, ha aggiunto che non oltrepasserà le proprie “linee rosse”, le condizioni per prendere parte ad un’eventuale coalizione: far rientrare l’azione politica di Erdoğan all’interno dei limiti di rappresentanza tracciati per il capo di Stato dalla Costituzione e riavviare l’inchiesta di corruzione che nel 2013 ha rischiato di travolgere l’AKP e lo stesso Erdoğan.
La terza “linea rossa” per il MHP è l’interruzione del processo di pace tra le autorità turche e il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), visto dai nazionalisti come un progetto mirato a dissolvere l’unitarietà dello Stato turco. L’eventualità di una coalizione AKP-MHP non è completamente da escludere secondo alcuni analisti, che ritengono ci possano essere delle sorprese nella seconda tornata di incontri con Davutoğlu, ma accantonare il processo di pace significherebbe per l’AKP, che nelle ultime consultazioni ha visto il 4,5%-5% dei propri elettori di origine curda trasferire il voto all’HDP, perdere anche l’ultima fetta di sostenitori curdi – circa un 3% secondo alcuni sondaggi. Forse proprio tenendo conto di questo fattore il leader del MHP ha affermato che “il partner di coalizione più adatto per l’AKP è senza dubbio l’HDP”.
...e quelle dell'HDP
Un’opzione prontamente scartata dall’HDP nell’incontro avuto ieri con Davutoğlu e la sua delegazione. Per l’HDP, che ha messo sul piano delle trattative le stesse due “linee rosse” del MHP – la limitazione dei poteri esercitati da Erdoğan e l’inchiesta di corruzione, comuni tra l’altro anche al CHP – la questione centrale resta il processo di pace. L’incontro di ieri è il primo realizzato tra le parti da quando, quattro mesi fa, una crisi dovuta a posizioni diverse tra il governo e il presidente Erdoğan ha congelato le trattative. La tensione del periodo pre-elettorale si è acuita con alcuni episodi di violenza messi in atto dal PKK nelle scorse settimane. La situazione si è distesa con una dichiarazione del co-leader del partito filo-curdo Selahattin Demirtaş che due giorni fa ha di nuovo ribadito l’importanza di portare a compimento il processo e la necessità per il PKK di abbandonare le armi. Dichiarazioni accolte con favore dall’AKP emerso anche dall’approccio conciliante della delegazione AKP nell’incontro di ieri. Nel corso dello stesso meeting Demirtaş avrebbe inoltre affermato che il suo partito supporterebbe una coalizione AKP-CHP e sarebbe anche disposto a discutere di un eventuale rinnovo delle elezioni.
Grande coalizione AKP-CHP, una questione di fiducia
Una grande coalizione AKP-CHP è la soluzione auspicata dal mondo degli affari, come dai paesi occidentali e dallo stesso HDP. L’incontro di lunedì scorso, il primo dei “tour esplorativi” di Davutoğlu – per usare le parole del premier – si sarebbe svolto in maniera “amichevole”. Il CHP non si sarebbe impuntato sulle 14 condizioni poste in precedenza come condizioni sine qua non di una coalizione con l’AKP, mentre entrambe le parti si sarebbero soffermate sulla necessità di dare vita ad un “governo forte” e si sarebbe addirittura discussa l’eventuale spartizione delle poltrone ministeriali.
La questione più problematica tra le due formazioni resta tuttavia la “fiducia”, o meglio la mancanza di fiducia tra le parti, un capitolo cui si sarebbero dedicati quaranta minuti dell’incontro. Trattandosi di due formazioni con una visione politica diametralmente opposta resta da vedere se si riuscirà a stabilire un terreno di incontro. L’ostilità è tale che diversi politici CHP si sono detti contrari ad un accordo con l’AKP, altri hanno minacciato di presentare addirittura le dimissioni. Non è inoltre da escludere che la questione della limitazione del potere di Erdoğan, un tasto sensibile per il CHP, tornerà a galla nel secondo ciclo di incontri, indicando se e come l’AKP possa smarcarsi dalla costante interferenza del presidente.
Il ruolo di Erdoğan
Quest’ultimo continua a intervenire attivamente nel processo di formazione del governo rilasciando dichiarazioni e convocando all’occorrenza i deputati delle diverse formazioni, dando così l’impressione di essere ancora la persona che tiene in mano le redini del paese, mentre le altre formazioni assistono inermi. L’iniziale situazione di vantaggio ottenuto dalle formazioni d’opposizione all’indomani del risultato elettorale sembra infatti aver ceduto il passo al ruolo di guida del presidente Erdoğan.
Secondo diversi analisti l’obiettivo del capo di Stato sarebbe quello di guadagnare tempo con una coalizione temporanea, per portare il paese a elezioni rinnovate. Anche il temporeggiamento attuato da Erdoğan, prima di assegnare a Davutoğlu il compito di formare un nuovo governo, sarebbe l’esito della stessa tattica. E difatti, per quanto incompatibili, il blocco d’opposizione CHP-MHP-HDP, che detiene 292 seggi in parlamento, ha la stessa posizione sui limiti entro cui dovrebbe rientrare Erdoğan e il fascicolo corruzione riguardante l’AKP. Un rischio troppo alto per il presidente.
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