Istanbul (foto L.Zanoni)

Istanbul (foto L.Zanoni)

"La Turchia come paese e noi in quanto membri della società di questo paese siamo stati sottoposti a un esperimento che prende il nome di 'Islam moderato e democrazia'". Conversazione con la scrittrice e giornalista Ece Temelkuran

06/07/2018 -  Francesco Brusa

Ece Temelkuran

«La Turchia è un ponte, tutto e tutti sono sempre di passaggio» ci dice, fra le voci più autorevoli del giornalismo turco e scrittrice di romanzi, già collaboratrice dei quotidiani Milliyet e Habertürk prima del licenziamento avvenuto nel 2011 perché troppo critica verso il governo. Di recente, è stato tradotto in italiano il suo libro Turchia folle e malinconica per la casa editrice Spider and Fish (titolo originale in inglese: Turkey, the Insane and the Melancholy). Una ricognizione appassionata della storia del paese, che parte dalla fondazione della Repubblica per mano di Atatürk fino ad arrivare ai giorni nostri, intrecciandosi profondamente con le vicende personali e i sentimenti dell’autrice. In un certo senso, è anche la storia delle “occasioni mancate” della Turchia. Ece Temelkuran si sofferma infatti molto su quei momenti in cui pratiche e ideali “progressisti” sembravano sul punto di diventare egemoni nel paese (gli istituti di villaggio degli anni ‘40 e ‘50, le contestazioni studentesche dei ‘70…), per poi invece finire “vittime” dei colpi di stato e della repressione governativa. Passaggi e movimenti che, sinistramente, ricordano la fase attuale del paese, di cui discutiamo con l’autrice.

“Folle”, “malinconica”… fin dal titolo, nel Suo libro si pone molta attenzione alle emozioni che aleggiano nell'inconscio collettivo della società turca. Se provassimo a considerare la Turchia come un paziente con qualche disturbo psichico ed emotivo, quale sarebbe la Sua diagnosi?

Non definirei la Turchia “malata”. Piuttosto, direi che siamo di fronte a un soggetto che è stato sottoposto a un prolungato esperimento medico clandestino e che ora, comprensibilmente, mostra i sintomi delle reazioni ai farmaci che gli sono stati somministrati. Fuor di metafora, la Turchia come paese e noi in quanto membri della società di questo paese siamo stati sottoposti a un esperimento che prende il nome di “Islam moderato e democrazia”, e ora ne stiamo vivendo le conseguenze. Questo è il progetto che si è provato ad applicare alla Turchia e metà del suo corpo sociale si rifiuta di accettarlo. Perciò siamo entrati in una fase folle e per niente sana della nostra storia.

Nel libro afferma che la Turchia è immersa in un processo di “Dubaizzazione”. Ci può spiegare meglio?

Non so se avete presente Dubai. Dubai è una sorta di “spazio artificiale”, caratterizzato da uno sviluppo forzato e per nulla spontaneo. Non ci sono luoghi pubblici, non esistono sfere né individuali né sociali. È un gigantesco monumento alla “vita parallela” che si è venuta a creare attraverso l'ipocrisia dell'islam politico; ha la parvenza di un paese islamico ma, a ben guardare, le classi dominanti e gli stranieri sono completamente esenti dagli obblighi che invece opprimono quotidianamente la parte più povera della popolazione. In pubblico, tutti sono conservatori ma poi in privato chissà… è l'espressione del matrimonio forzato fra neoliberalismo e Islam, un matrimonio che genera appunto un “mutante”. La mia opinione è che la Turchia stia andando nella medesima direzione.

Erdoğan non ha mai perso le elezioni negli ultimi 16 anni. Come mai ha così tanti sostenitori? Che tipo di “narrazione” è riuscito a elaborare?

Visto quello che è successo nelle ultime elezioni, credo sia sbagliato provare a rispondere a questa domanda. Non è possibile semplicemente accantonare le frodi e i brogli che sono stati commessi su vari livelli. Se il meccanismo elettorale è stato un meccanismo inaccettabile, questo deve rimanere il punto centrale della discussione politica. Mantenendo fermo tale punto, l'argomento di un vasto e genuino supporto a Erdoğan diventa privo di fondamento.

Nel libro si descrive il modo in cui il governo attuale tende a presentarsi molto spesso come “vittima” degli eventi. Allo stesso tempo, però, esiste una retorica che fa leva sulla grandezza e sul passato glorioso della Turchia. Come è possibile una tale coesistenza di atteggiamento vittimista e postura da vincitore?

È una questione che richiederebbe un intero libro per essere sviscerata (e infatti sto cercando di trattarla in una mia pubblicazione di prossima uscita, Lose a Country – The New Ice Age of Politics). Credo sia un fenomeno che va oltre la realpolitik. Le nostre società sono strutturate in maniera tale che diventano in qualche modo “negligenti” verso il principio stesso di non-contraddizione. La coesistenza degli opposti non è solo un problema politico, ma una questione che ha a che fare con la vita umana in generale. Penso comunque che, riferito all'oggi, i valori promossi dal neoliberalismo giochino un ruolo fondamentale in tutto ciò.

Parliamo di Gezi Park. Si tratta di un'esperienza ormai conclusa, ma possiamo dire che il suo “spirito” è ancora presente nella società? Come si può dare una corretta valutazione storica di quell'esperienza?

Lo spirito diventa uno “spettro sarcastico” nel momento in cui viene soppressa la possibilità di azione politica. Credo che adesso ci troviamo in una fase di questo tipo. Tantissimi avvenimenti hanno scosso la Turchia e tanti la stanno scuotendo ora. In un contesto del genere, è praticamente impossibile fare un passo indietro e analizzare le questioni sociali e politiche da una prospettiva obiettiva e distaccata. Inoltre, come succede in molte delle nazioni mediterranee, gli eventi collettivi sono fortemente influenzati dalle emozioni. Penso che per riuscire a capire quello che sta succedendo da un punto di vista strettamente storico e analitico ci vorranno molti anni.

Ultimamente, gli episodi di violenza contro le donne sono aumentati nella società turca. Perché, secondo Lei?

La misoginia è parte integrante del populismo di destra, non solo in Turchia ma in qualsiasi parte del mondo in cui esiste il fenomeno. Ma penso che non riguardi solo le donne. Il concetto che sta al cuore del pensiero populista di destra è l'adorazione del potere, la volontà di attaccare qualunque cosa venga considerata “debole”: donne, bambini, alberi, qualsiasi cosa. Questa è forse anche la ragione per cui gli uomini si rendono conto del pericolo solo quando è troppo tardi.

Oltre alla sua attività di giornalista, ha scritto numerosi romanzi. Cosa ci può dire la letteratura contemporanea dell'attuale situazione in Turchia?

L'arte e la letteratura possono certamente aiutarci a comprendere quello che sta succedendo e, anzi, potrebbero pure essere un mezzo per cambiare la situazione attuale. Per quella che è la mia visione, la letteratura turca odierna, la più popolare perlomeno, si basa molto sulla sofferenza maschile. Credo che gli uomini progressisti della nostra generazione si sentano come “inadeguati” di fronte al periodo storico che stiamo vivendo. Perciò si leggono molti libri scritti da “uomini piagnucolosi”.


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