Un'opera scritta negli anni '40 e pubblicata solo ora in Italia. Protagonista la scrittrice e poetessa Musine Kokalari. Una memoria restituita
(Articolo originariamente pubblicato da AlbaniaNews il 7 ottobre 2016)
La mia vita universitaria è l’autobiografia giovanile di Musine Kokalari, oggi riconosciuta quale prima, grande scrittrice e poetessa albanese, scritta tra il 1937 e il 1941 durante gli anni di studio alla Sapienza.
Si tratta della prima sua opera che, a settant’anni circa dalla stesura, oggi ha visto la luce in Italia, paese per il quale era stata pensata, e nella prestigiosa collana La memoria restituita dell’editore Viella, patrocinata dalla stessa Sapienza e dall’Archivio di Stato di Roma. Frutto di un lungo lavoro di ricerca storica, archivistica e antropologica svolto tra Roma e Tirana da Simonetta Ceglie e Mauro Geraci, il volume contiene anche un corposo inserto di immagini e documenti in gran parte inediti e un originale saggio del poeta Visar Zhiti.
Composta a Roma durante il fascismo e direttamente in lingua italiana, La mia vita universitaria testimonia, intanto, l’entusiasmo di chi aveva visto negli studi universitari la «più grande e nuova aspirazione per una ragazza albanese»; l’impegnativa formazione di una coscienza critica e politica tuttavia spezzata alla radice dalla condanna, dai lunghissimi anni di reclusione e isolamento forzato che Musine Kokalari, rientrata in Albania nel ’42, dovette subire fino all’83, anno della sua morte, quale tenace organizzatrice di un articolato progetto di democrazia e libertà nazionale fortemente temuto e stroncato dall’incipiente regime comunista di Enver Hoxha.
Molteplici sono le ragioni che rendono preziosa dal punto di vista storico, letterario ed etico questa scrittura del sé che ci accompagna tra le dolcezze e le paure, le gioie e le tristezze, le amicizie e gli abbandoni, le ambizioni e gli smarrimenti sentimentali della studentessa che ama perdersi e ritrovarsi nella Capitale del Mondo. Pensate per essere libro, queste memorie rivelano la sensibilità umana, po-etica, antropologica per la quale la giovane Musine era già nota in Albania come giornalista e autrice di finissimi racconti ambientati nel mondo popolare albanese di cui aveva perfetta conoscenza, come il cimentarsi in una lingua e un paese stranieri. Una lingua e una penisola, però, anche sue dal momento in cui, tra il 1939 e il 1942, l’Albania si trovava sotto l’occupazione dell’Italia fascista.
La mia vita universitaria è quindi il risultato di due punti di vista dialettici, l’albanese e l’italiano; testimonianza d’antiche controversie che emergono attraverso i piccoli, grandi drammi vissuti dall’autrice giorno per giorno, negli anni che la videro frequentare la Sapienza, di cui descrive ambienti, relazioni, complicità studentesche, e far la spola tra Roma e Tirana. È un testo “adriatico”, differenziale, che coltiva il dolce, malinconico «sguardo da una certa distanza» di verghiana memoria.
Interessantissimo per i continui scarti narrativi della ragazza albanese e musulmana che riesce a fronteggiare un mondo romano, maschile, fascista, cristiano vissuto con la curiosità osservativa e introspettiva dell’intellettuale. Vi è infine la costante attenzione a una nascente “questione femminile”, per la quale Muza era stato lo pseudonimo con cui aveva già firmato inchieste davvero spavalde per una ragazza di quei tempi, che denunciavano i problemi sociali della donna nell’Albania anni Trenta. Per l’appassionata ricerca di una via democratica ostile a ogni dittatura, Musine, condannata a vita dalla morsa del comunismo albanese, resta una «ragazza uragano» che ancor oggi sa infondere alle future generazioni l’amore per la giustizia e la libertà.