Nell'estate 2016 un gruppo di persone del CAI di Perugia hanno preso parte ad un trekking in Bosnia Erzegovina lungo il "percorso bianco" della Via Dinarica. Un diario di viaggio
(Pubblicato originariamente su viaggiaeribalcani.it)
Bosnia Erzegovina, un paese distante e remoto nell'immaginario comune che di certo non rientra nella top 10 delle mete turistiche europee, conosciuta (superficialmente) dai più per la sanguinosa guerra di cui è stata teatro nei primi anni '90 ed etichettata come luogo misterioso, pericoloso e primitivo. Parzialmente plagiati da questi pregiudizi e vagamente spaventati dalle indicazioni fornite dalla Farnesina, che dipinge il paese come un campo minato in cui stare attenti agli scippatori, ci imbarchiamo sommessamente sul traghetto Ancona-Spalato in un appiccicoso venerdì sera di fine estate.
Sin da subito il gruppo CAI a cui mi sono aggregato spicca per la sua eterogeneità anagrafica e caratteriale, un valore aggiunto che ha consentito un felice arricchimento reciproco, a cui fa da collante la comune passione per la montagna e la curiosità di scoprire un paese di cui tanto si è parlato in passato ma di cui pochissimo si sa effettivamente.
Sbarcati a Spalato ci concediamo un breve ma completo tour autoguidato dell'affascinante palazzo di Diocleziano rimanendo incantati dalla sua eclettica stratificazione architettonica. Veniamo prelevati nel primo pomeriggio dal proprietario dell'Hotel in cui soggiorneremo a Sarajevo. I chilometri scorrono velocemente grazie all'eccellente manto autostradale croato, la campagna è pulita e curata, la precisione geometrica dei campi coltivati e delle vigne sono il frutto maturo dei semi gettati durante la dominazione asburgica.
Entriamo in BiH (utilizzerò questo acronimo per completezza e praticità in luogo di Bosnia Erzegovina) attraverso un posto di frontiera secondario, “si risparmia tempo, my friend” mi fa il conducente, dopo aver abbandonato la comoda autostrada per una tortuosa e pigra statale; sarà questo il leit-motiv stradale della vacanza: un purgatorio per chi ha fretta, una manna per chi vuole assaporare il fantastico paesaggio e lo slow-living bosniaco. A partire dal momento in cui l'annoiato poliziotto di frontiera ci rende i documenti percepiamo le differenze con la prospera Croazia: il florido parco auto precedente è qua sostituito in larga parte da fumose Golf serie I, buona parte delle abitazioni sono incomplete o disabitate e la curata campagna dalmata ha lasciato il posto a campi disordinati e spesso incolti. Ma tutto ciò ha il suo fascino ed un equilibrio inspiegabile, l'atmosfera è pervasa da un senso di profonda dignità che trasforma le apparenti mancanze nel valore aggiunto che ti fa innamorare di questa terra: la capacità di resistere all'attrattiva dei bisogni superflui e di amare ciò che si possiede.
Giunti a Sarajevo rimaniamo ammaliati, purtroppo è questo il termine giusto per descrivere l'oscuro fascino che i posti in cui si è consumato un dramma esercitano sugli uomini, dalle “cicatrici” che praticamente ogni edificio ancora ostenta con un misto di orgoglio e tristezza. La mano dell'uomo che tanto chirurgicamente ha sventrato palazzi e vite ha preferito ricucire alla meglio gli effetti del suo scellerato operato, sia per testimonianza che per mancanza di risorse. In serata conosciamo Massimo, il nostro “tramite” con la guida Edin, che si rivelerà essere una persona di grandissimo cuore e competenza, devoto da anni alla causa di questo paese martoriato dalla guerra, la corruzione politica e la crisi economica; a lui va un sincero ringraziamento per la professionalità e la cortesia dimostrateci. Il centro storico di Sarajevo è qualcosa di emozionante, un vero e proprio crogiolo di religioni, culture ed etnie, ma su questo punto ritornerò più avanti durante la descrizione della visita guidata che abbiamo effettuato l'ultimo giorno.
La mattina dopo, domenica 4 settembre 2016, ci svegliamo di buon'ora e conosciamo finalmente la nostra guida Edin che si presenta a bordo di un vetusto ma efficiente furgoncino Volkswagen. Edin è semplicemente una forza della natura, un autentico concentrato di energie e buonumore che dispensa attraverso sorrisi sinceri e battute azzeccate, esperto conoscitore delle sue amate montagne ed infaticabile lavoratore alla costante ricerca della soddisfazione dei suoi clienti. La passione con cui descrive il suo territorio e le rischiose imprese alpinistiche effettuate nel primissimo dopoguerra unita all'inesauribile voglia di rilanciare e promuovere la sua terra mi fanno capire che gli interessi di Edin vanno ben al di là di un mero calcolo economico; la sua è una sincera affezione alla BiH che travalica ogni difficoltà economica e sociale.
Nel pomeriggio ci apprestiamo alla nostra prima uscita dopo aver percorso svariati chilometri di strade perse fra le incantevoli Alpi Dinariche, la voglia di “trekkare” è molta ed il buon Edin non ci delude facendoci guadagnare velocemente la vetta di una brulla ma appassionante montagna dalla cui cima godiamo di una vista impareggiabile.
La notte pernottiamo nell'accogliente struttura ricettiva a gestione familiare del buon Tafa, un omone simpatico e sorridente che distribuisce generosamente la sua rakija fatta in casa e ci sfama con delle ottime pietanze; essendo il posto dirimpetto al Boracko Lake ci scappa anche un bagno tonificante nelle sue fredde ma pulitissime acque. Il tempo, ahimé, non è benevolo come le persone che ci accolgono e ci costringe a rivedere il programma; decidiamo di anticipare all'indomani il rafting e saltare la notte che dovevamo passare al bivacco con sommo dispiacere di tutti.
Iniziamo la settimana con un coinvolgente rafting sul fiume Neretva le cui acque cristalline e potabili passano attraverso canyon mozzafiato e pareti rocciose maestose; risulta quasi incredibile pensare che in mezzo ad un simile paradiso tanto sangue sia scorso nel corso del secolo precedente; anche qui i segni dell'ultima guerra sono ben visibili soprattutto sotto forma di cartelli che delimitano le zone tuttora minate.
Salutati gli allegri ed operosi ragazzi del rafting passiamo ad una chicca fuori programma organizzata da Edin in extremis a causa delle pioggia: la visita del bunker anti-atomico costruito durante la guerra fredda da Tito. L'Atomska Ratna Komanda di Konjić è uno dei più grandi bunker al mondo ed era destinato a proteggere Tito in caso di guerra atomica, la colossale struttura oltre ad essere visitabile ed in perfetto stato di conservazione ospita una suggestiva biennale di arte contemporanea che rende il complesso un must da visitare.
Martedì affrontiamo il trekking più impegnativo del viaggio che ci conduce in cima allo Zelena Glava a quota 2155 metri, sfortunatamente il fitto manto nuvoloso ci preclude il magnifico panorama che si gode dalla vetta ma siamo comunque appagati per l'ottimo passo tenuto durante l'ascesa e l'adrenalina provata nei brevi ma intensi tratti esposti.
Il giorno seguente effettuiamo un soft-hiking defaticante seguendo la Neretva, il cui corso abbiamo modo di apprezzare da una prospettiva diversa e sopraelevata. Durante quest'uscita più rilassata Edin ci parla di quella che è probabilmente la più pesante delle eredità della guerra: le mine. Nei 51.197 km2 della BiH sono stimati esserci ancora fra i 2 e 3 milioni di mine antiuomo attive che rappresentano un pericolo reale per coloro che incautamente si allontanano dai sentieri tracciati. Nel pomeriggio ci spostiamo nel parco naturale Blidinje da dove il giorno dopo partiamo per l'ultimo trekking del viaggio. L'obiettivo è una delle principali quote del comprensorio (Veliki Vilinac mt. 2100) che conquistiamo in tarda mattinata sudati ma felici; il tempo clemente ci consente di godere dello splendido panorama ed apporre con il cuore più leggero le nostre firme sul libro di vetta.
Soddisfatti del felice esito dell'escursione del giorno precedente ripartiamo nel tardo pomeriggio alla volta di Blagaj dove alloggiamo a casa di una famiglia musulmana la cui ospitalità e cortesia è superata solo dalla bontà dei piatti tipici locali che ci cucinano per cena. Riposati e rifocillati dedichiamo il venerdì alla visita del suggestivo monastero derviscio e della maestosa fortezza vecchia presenti nella quieta cittadina per poi spostarci nel pomeriggio alla volta di Mostar, la cui bellezza è assolutamente all'altezza della fama di cui gode. Ci perdiamo nei pittoreschi vicoli del centro storico e con un po' di fortuna assistiamo anche alle performances di due tuffatori che si gettano dal bellissimo ponte vecchio nel tripudio generale dei turisti. La giornata volge al termine così come il viaggio e con un pizzico di malinconia salutiamo Mostar alla volta di Sarajevo, la nostra ultima meta prima del rientro. L'ultima cena in terra bosniaca trascorre piacevolmente in un ristorante tipico del centro storico, dove la moltitudine dei sapori si mescola con i ricordi felici dei giorni trascorsi assieme in questa terra speciale.
Sarajevo, la Gerusalemme d'Europa. Mai espressione più calzante poteva essere coniata per descrivere questa città così variegata ed eterogenea, specchio della grande mescolanza di popoli, religioni e culture che da sempre hanno caratterizzato l'essenza della BiH. La mattina di sabato grazie alla competenza della guida turistica Luca ci lasciamo andare al mistico viaggio fra diverse etnie che solo qua si può sperimentare con tanta semplicità: svoltando l'angolo dietro ad una moschea trovi una sinagoga, accanto alla chiesa ortodossa campeggia il campanile della cattedrale cattolica, facendo un passo al di fuori della città vecchia di stampo ottomano sprofondi nello stile neo-classico dell'Impero. Sorge spontanea la domanda di come sia possibile che la centenaria convivenza architettonica, e quindi umana, di simboli religiosi e culturali così differenti possa essere sfociata poco più di vent'anni fa in una crudele ed insensata guerra, in cui un minareto non era più simbolo della religione del vicino ma un'ingombrante presenza su cui fare il tiro a segno dalle montagne circostanti.
Con il cuore un po' ingombro di questi pensieri ma felice per le bellissime esperienze vissute e le persone conosciute rivolgiamo un ultimo sguardo a questa città maledettamente affascinante, che al pari di una persona particolarmente ammaliante riesce a trasformare i suoi difetti fisici, per esempio la grigia architettura periferica dei palazzoni simil-sovietici, in qualcosa di unico che ti fa innamorare.
Non facciamo in tempo a realizzare la fine del viaggio che già l'oleoso traghetto ci deposita in terra italiana. Arriviamo di prima mattina con gli occhi gonfi di sonno ma decisamente più aperti su quello che è un paese straordinariamente umano e sincero, naturalisticamente emozionante ed immacolato, in cui la grande distribuzione è arrivata poco e male vuoi per le strade lente e tortuose, vuoi per lo spirito della gente più incline a conoscerti sorseggiando un caffè bosniaco che a correre dietro al business, vuoi per le mine. E chissà che queste ultime, in fondo in fondo, almeno una cosa buona non l'abbiano fatta?