Grecia - Macedonia

Pixabay

Quella del nome è una questione che tiene bloccati i rapporti tra Atene e Skopje dagli anni '90. Il 2018 potrebbe essere l'anno della svolta: dalla Macedonia arrivano aperture, ma in Grecia il dibattito resta rovente

02/02/2018 -  Gilda Lyghounis

“Porti, aeroporti e terreni si vendono. I nostri valori nazionali no”. Lo ha dichiarato la campionessa olimpionica greca Anna Korakaki, vincitrice di una medaglia d’oro per il tiro a segno ai Giochi di Rio De Janeiro 2016, appoggiando l’adunata oceanica avvenuta a Salonicco il 21 gennaio con bandiere elleniche e striscioni che inneggiavano “La Macedonia è greca e solo greca da 3000 anni a questa parte”. A guardare questa folla di 100mila manifestanti (secondo i dati della polizia) o 400mila (secondo gli organizzatori) sembrava di essere tornati ai giorni del 1992, quando la tensione fra Atene e l’ex Repubblica democratica socialista di Macedonia (FYROM) era ai massimi livelli. Il motivo? Il nome da attribuire al nuovo stato indipendente con capitale Skopje, all’indomani dello scioglimento della Jugoslavia. Un’altra adunata simile è stata annunciata dai partiti dell’opposizione al governo Tsipras: appuntamento per il prossimo 4 febbraio in piazza della Costituzione ad Atene, il cuore della capitale greca.

Perché adesso?

Il punto è: perché è riscoppiato il caso Macedonia proprio ora? Agendo da pomo della discordia non solo fra il movimento Syriza di Alexis Tsipras, al potere dal 2015, e l’opposizione del centro destra di Nuova democrazia, ma persino all’interno dello stesso governo ateniese, che si regge su una fragile alleanza fra Trsipras e i nazionalisti del piccolo partito Anel di Panos Kammenos, che con il suo drappello di dieci deputati è vitale per la coalizione al potere ad Atene con soli 145 parlamentari in tutto su 300?

Iniziamo dal principio: la questione del nome da dare alla Fyrom (Former Yugoslav Republic of Macedonia, con questo acronimo è stata finora riconosciuta dall’Onu, anche se già 103 Paesi nei rapporti bilaterali la chiamano Macedonia tout court) è più che mai d’attualità ora perché la Nato, Stati Uniti in testa, ritiene strategico l’ingresso di Skopje nell’Alleanza atlantica, visto che Turchia (membro della Nato ma ritenuto poco affidabile con Recep Tayyip Erdoğan al potere) e Russia hanno già una grande influenza nell’Europa orientale. Tanto più che Mosca non vede di buon occhio un allargamento della Nato ad un altro stato nella regione, dopo il recente ingresso nell’Alleanza occidentale del Montenegro.

Non solo: Skopje vuole a tutti i costi entrare nell’Unione europea. Di qui la sua nuova disponibilità a discutere molti aspetti che disturbano la Grecia, unico stato della zona a essere sia membro della Nato sia della Ue. Risultato? Il premier ellenico riformista Tsipras e quello dello stato confinante, Zoran Zaev, si sono incontrati per ben tre ore il 24 gennaio scorso nell’ambito del World Economic Forum 2018 a Davos. Entrambi si sono detti d’accordo nel rappresentare la nuova generazione dei rispettivi paesi, di diverso orientamento politico rispetto ai governi conservatori che li hanno preceduti. Per ora l’accordo ufficiale sul nome ancora non c’è, ma sono palesi gesti di buona volontà: da parte di Zaev quello di ribattezzare da subito l’aeroporto internazionale di Skopje con un nome che non coinvolga Alessandro Magno, così come di cambiare nome all’autostrada Skopje-Grecia che nel suo paese porta il nome del condottiero allievo del filosofo Aristotele. L’autostrada si intitolerà all’”Amicizia”.

Le richieste della Grecia

Da parte greca invece l’impegno a facilitare l’ingresso di Skopje nell'Ue, a patto “che ogni segno di irredentismo sia inequivocabilmente tolto di mezzo”. Sì, perché - come sottolinea il quotidiano conservatore ellenico Kathimerini, vicino all’opposizione di centro-destra di Nuova Democrazia - elementi di irredentismo sono presenti anche nella Costituzione dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia. Soprattutto là dove scrive, nell’articolo 49, che “la Repubblica macedone si interessa alle condizioni di vita e ai diritti di coloro che appartengono al popolo macedone negli stati confinanti” (anche se negli ultimi anni c’è stata l’aggiunta “nell’esercizio di questa protezione la Repubblica non interverrà nei diritti basilari degli altri stati”).

Il centro destra greco, il cui leader è Kostantinos Mitsotakis, lamenta che Tsipras non ha ufficialmente chiesto al collega Zaev un cambiamento di alcuni passi della Costituzione che possono sembrare irredentisti e celare possibili rivendicazioni nei confronti dell’identità culturale e territoriale ellenica. Zaev, dal canto suo, essendo a capo di un governo traballante, sa di non potere al momento impegnarsi al riguardo: una riforma costituzionale a Skopje richiede il voto di due terzi del Parlamento.

Ma a reclamare un cambiamento della Costituzione a Skopje, in modo da togliere ogni possibile elemento irredentista nei confronti della Grecia, è stato lo stesso Presidente della Repubblica ellenica Prokopis Pavlopulos, nell’ambito delle sue dichiarazioni durante la recentissima visita ad Atene, il 29 gennaio scorso, del Presidente israeliano Reuven Rivlin: “La Grecia vuole favorire l’ingresso della Fyrom nella Nato e nell’Unione europea - ha dichiarato Pavlopulos - ma questo presuppone la scelta di un nome da parte di Skopje che non lasci spazio ad aperture irredentiste, contrarie al diritto internazionale. Inoltre il nostro vicino settentrionale deve fare in questo senso i necessari cambiamenti alla propria Costituzione. Uno stato non può, inoltre, appropriarsi della storia e dell’eredità culturale di un altro stato, come fanno i nostri vicini da 25 anni. Questo deve essere chiaro”.

Anche all’interno del governo Tsipras, dicevamo, c’è una spina: l’alleato nazionalista Kammenos leader di Anel, i cui 10 deputati sono importanti per la coalizione al potere ad Atene con soli 145 parlamentari in tutto su 300.  Dopo l’incontro Tsipras-Zaev, il gruppo parlamentare di Anel si è riunito e ha annunciato che sosterrà in ogni caso la coalizione con Syriza fino alla fine della legislatura nel 2019, escludendo così ogni congettura sulla caduta dell’attuale governo di Atene, ma che è contrario a qualsiasi nome dello stato confinante che implichi la dicitura “Macedonia” anche sotto forme composite come Nuova Macedonia o Macedonia Superiore, riproposte in queste settimane dal mediatore Onu Matthew Nimits, che fa freneticamente la spola fra le due capitali. Kammenos si è detto però fiducioso che i negoziati fra i due paesi porteranno a una soluzione accettabile.

L'anno della soluzione?

Ad aggiungersi ai problemi di Tsipras, l’appoggio della Chiesa ortodossa all’adunata del prossimo 4 febbraio ad Atene. Anche i seguaci di Anel sono stati lasciati liberi di parteciparvi a titolo personale da Panos Kammenos. Dipenderà anche dalle dimensioni che avrà questa adunata la “serenità” ostentata finora dal leader di Syriza. Per ora, l’unica cosa certa è che il nome di Alessandro Magno scomparirà dalle insegne dell’aeroporto di Skopje e dall’autostrada che collega Skopje alla frontiera ellenica. Non solo: Zaev e i suoi, secondo la stampa ellenica, hanno istituito una commissione per rivedere alcuni manuali scolastici analizzando carte geografiche che comprendono regioni che appartengono da secoli alla Grecia - la Macedonia è la regione con capoluogo Salonicco nella Grecia settentrionale - ma anche inglobando nella propria storia nazionale la dinastia di Alessandro Magno e la sua eredità culturale.

Non a caso non solo l’attuale aeroporto di Skopje è (era, su questo Zaev si è impegnato) intitolato al grande condottiero, ma persino nella bandiera macedone, creata ex novo nel 1991, campeggia fiera la stella a sedici raggi, simbolo dell’antica dinastia Argeade. Peccato, però, che il simbolo sia stato rinvenuto negli scavi della grecissima Vergina, vicino a Salonicco. A esasperare Atene, ci sono state anche le banconote stampate dalla zecca di Skopje nel 1992, che riportavano come emblema la Torre Bianca di Salonicco. Se non è irredentismo questo... hanno sempre lamentato i greci. Su questi temi si agiteranno le bandiere  e gli slogan dell’adunata in piazza della Costituzione il 4 febbraio. È poco, quello che per ora ha promesso Zaev, ossia di cambiare nome all’aeroporto e all’autostrada? Forse, ma sono segni tangibili, che faranno sicuramente colpo sull’opinione pubblica dei due paesi. Chissà se il 2018 sarà l’anno giusto per una soluzione.