Alexis Tsipras

Alexis Tsipras - GUE/NGL/flickr

Dalla nascita della Grecia indipendente, nel 1830, tutti i premier ellenici hanno giurato (anche) nelle mani dell'arcivescovo di Grecia. Alexis Tsipras è il primo a rompere questa tradizione, pur mostrando attenzione ai rapporti con la Chiesa ortodossa

30/01/2015 -  Gilda Lyghounis

Nessun bacio alla sacra Bibbia, no al segno della croce impresso con tre dita, a ricordare la Santa Trinità come da tradizione cristiana ortodossa. Alexis Tsipras, per la prima volta dalla nascita dello Stato ellenico nel 1830, ha rifiutato di diventare capo del governo giurando con il rito religioso davanti alla veneranda presenza dell’arcivescovo di Grecia.

Il suo pronunciamento alle 16.00 del 26 gennaio davanti al solo Presidente della Repubblica Karolos Papoulias è stato laicissimo e sobrio: “Vi assicuro sul mio onore che rispetterò la Costituzione e le Leggi e che servirò gli interessi dell’intero popolo greco”. Un rivoluzionario mangiapreti?

Una scelta personale

Nulla di tutto questo: prima di andare al palazzo presidenziale per diventare il primo premier ellenico con il poster di Che Guevara nel suo ufficio, l’astuto Alexis aveva già fatto una capatina dal Capo della Chiesa greca Ieronimos, per dichiarargli di tenere nella massima considerazione la collaborazione che le Ong laiche hanno avuto con la Chiesa in questi anni di crisi, in particolare nell’apertura di mense per i nuovi poveri greci e per gli immigrati in ogni angolo dell’Ellade.

E per spiegargli che la plateale scelta di prestare giuramento politico è semplicemente in linea con la propria storia personale: “Non sono sposato con la mia compagna Peristera (con la quale vive un amore dai tempi del liceo ndr), non abbiamo battezzato i nostri due figli”. Tsipras non ha tuttavia impedito ai ministri del suo governo di giurare fedeltà alla Chiesa, oltre che alla Patria, debitamente cosparsi di sacro incenso.

In particolare si è ben guardato di vietarlo allo strano alleato di destra che Tsipras ha scelto per condividere l’avventura di portare la Grecia fuori dalla povertà in cui l’hanno sprofondata cinque anni di draconiane misure imposte dalla “troika” formata dai rappresentanti del Fondo monetario internazionale, della Commissione Europea e della Banca centrale europea: cure a base di tagli lineari a stipendi e pensioni, di supertasse sulla prima casa, di svendite di gioielli del patrimonio nazionale come la società telefonica, e di licenziamenti in massa di dipendenti pubblici.

Il ruolo dei “Greci indipendenti”

Panos Kammenos, leader del piccolo partito conservatore “Greci indipendenti”, ha in comune con il partito della sinistra radicale Syriza, che ha stravinto le elezioni elleniche guidato da Alexis Tsipras, solo un severo programma anti-austerità. Ma oltre a portare in dote un drappello di 13 deputati che assicurano stabilità al governo di Tsipras - che ha conquistato 149 seggi sui 300 del parlamento ellenico -, hanno il pregio di rassicurare quella parte dell’elettorato che non aveva mai votato Syriza prima d’ora e che questa volta l’ha fatto in massa, pur spaventato dal gettarsi nell’avventura prospettata da un premier che ha chiamato il suo figlio minore Ernesto in onore del “Che”.

Un voto di massa per liberarsi dalla coalizione fra socialisti del Pasok e i conservatori di Nuova democrazia che negli ultimi anni hanno firmato il patto di sacrifici, lacrime e sangue con Bruxelles in cambio del megaprestito di 240 miliardi di euro alla Grecia.

Uno spavento, quello dei neo-sostenitori di Syriza, attenuato dalle nette posizioni del partito di Kammenos non solo in difesa dell’identità nazionale umiliata da Bruxelles, ma anche in difesa di una rassicurante continuità culturale ellenica anche in nome di Dio, Patria e Famiglia, parole tipiche del vocabolario politico dei “Greci indipendenti”.

Chiesa e Stato: in Grecia un legame profondo

Ma torniamo al rifiuto del rito religioso e dei suoi significati nella realtà greca, spesso ignorati al di fuori dell’Ellade. L’intreccio fra Stato e Chiesa, inteso non tanto come l’espressione di una nazione di “baciapile” ma come essenza dell’identità nazionale, risale ai cinque secoli del dominio ottomano su Atene. La rivoluzione vincente per l’indipendenza greca dalla Sublime Porta risale, ricordiamo, solo al 1821. Furono proprio i “pope” cristiano orientali, i sacerdoti dai lunghi capelli annodati a chignon, a tramandare la lingua ellenica e il suo studio da parte della popolazione in quei secoli bui. Addirittura molti monaci non esitarono a imbracciare lo schioppo contro i turchi dominatori in quella rivolta del 1821, a fianco degli insorti popolari e di intellettuali venuti da ogni parte d’Europa come l’inglese Lord Byron e l’italiano Santorre di Santarosa.

Religione: “cristiano ortodosso”

Non è dunque così straniante che i greci non abbiano ritenuto fuori luogo non solo che i loro governi giurassero alla presenza dell’arcivescovo di Atene. Ma persino di dichiarare con orgoglio la propria appartenenza religiosa sulle proprie carte d’identità fino al 2001, anno in cui l’allora premier socialista Costas Simitis ebbe l’ardire di recepire una direttiva dell’Unione europea che imponeva di togliere ogni riferimento alla fede dai documenti, in nome della privacy.

Da parte della Chiesa si assistette allora a una vera e propria crociata contro le nuove carte d’identità laiche emanate dallo “Stato Satana”: l’allora arcivescovo Christodoulos riempì le piazze di Atene e Salonicco con i suoi comizi, raccogliendo ben tre milioni di firme - su una popolazione di circa undici milioni di abitanti - per chiedere un referendum che ripristinasse la dicitura “Cristiano ortodosso” sui passaporti. L’Europa assisteva perplessa: quando mai si era visto, persino in Italia all’ombra di San Pietro, il dovere dichiarare di essere “cattolici” su una carta d’identità? Del resto dobbiamo arrivare al 2012 perché i neolaureati, nella cerimonia di consegna dell’agognato documento di studi, non dovessero limitarsi a stringere la mano ai professori dell’università, ma anche di baciare la mano a un alto rappresentante della Chiesa e di giurare fedeltà alla Bibbia.

Sono passati solo due anni: e ora Alexis il neolaureato primo ministro ha rifiutato orgogliosamente di farsi la croce e di indossare la cravatta. Strizzando però l’occhio alla Chiesa e agli elettori moderati, invitando comunque l’arcivescovo Ieronimos - che si è limitato a rifiutare bonariamente - alla cerimonia della sua apoteosi come primo premier targato “sinistra radicale” della storia greca.